Webinar si o webinar no?

Webinar: si o no?

Quando la mia attività come preparatore fisico me lo permette, mi piace soffermarmi e osservare come i giovani colleghi si impegnano nel loro lavoro.

Rimango più attratto da chi lo fa in modo accurato e senza mettersi troppo in evidenza perché riesco ad immedesimarmi, andando indietro nel tempo, a quando mi accingevo a formare gli allievi che le società mi affidavano.

Le tecnologie che abbiamo a disposizione oggi sono di grande aiuto.

Tecnologie

In passato si tentava di sbagliare il meno possibile mettendo in pratica ciò che si era studiato a volte immaginandolo (non c’erano video “da copiare”) a volte inventando nuovi esercizi da far eseguire.

Vado al dunque!

Uno strumento a cui tutti, o quasi, hanno partecipato o contribuito a realizzare negli ultimi anni, sono i cosiddetti webinar.

Libro Ann Handley
Libro di Ann Handley e C.C. Chapman

Purtroppo spesso l’unico obiettivo di chi li organizza è il guadagno a discapito della qualità per i fruitori finali: i ragazzi, gli allievi o gli atleti.

Poiché mi affascinava l’argomento mi sono imbattuto in un libro di Ann Handley e C.C ChapmanContent Marketing” dove si dispensano consigli e indicazioni su come utilizzare i mezzi informatici per fare business.

“I webinar sono seminari che si svolgono sul web, e possono essere visualizzati o ascoltati online.

I webinar si svolgono sulle piattaforme di conferenza online, che possono consistere in un’applicazione scaricata sul computer di ogni partecipante, oppure in una piattaforma web.

I partecipanti e le aziende amano i webinar perché possono essere: efficaci, interattivi e sociali, meno impegnativi, a buon mercato, ad ampio raggio e geograficamente neutri, utili e catalizzatori di comunicazione.”

Tutto vero o quanto meno detta così dà la voglia di partecipare o organizzarne uno subito, non credete?

Purtroppo no! Non è così!

La maggior parte dei webinar a cui ho partecipato da uditore mi hanno fatto spendere un bel po’ di soldi.

(anche se il singolo webinar è economico è la “somma che fa il totale”)

e per quelli gratuiti un bel po’ di tempo

(sappiamo che il tempo è denaro).

Prendendo spunto da quanto letto nel libro e riportato alla mia esperienza, posso asserire che sia quelli gratuiti che quelli a pagamento si focalizzano più ad attirare le persone che al contenuto.

In realtà, a chi li organizza interessa più raccogliere nomi di potenziali clienti o utilizzare la piattaforma per vendere prodotti e servizi, compromettendone la credibilità.

Ciò mi ha portato ad essere scettico sul valore della gran parte dei webinar siano essi gratuiti o no.

Scettico
Foto di Andrea Piacquadio

Per essere relatori bisogna non solo conoscere profondamente un argomento ma anche essere in grado di proporlo e soprattutto riuscire a trasmettere ciò che si è costruito con la propria esperienza.

Inoltre è necessario tenere alta la concentrazione del pubblico proponendo argomenti dai contenuti interessanti, pratici, essenziali e di facile comprensione.

“Quando si è online, bisogna tenere viva l’attenzione degli spettatori coinvolgendone solo gli occhi e le orecchie”, dice Shelley Ryan “altrimenti, si metteranno a controllare l’email e a leggere l’oroscopo”.

Come comportarsi quando si deve relazionare ad un webinar o cosa mi aspetto da un relatore?

Semplicemente:

  1. Mostrare (evitando di raccontare) i protocolli di lavoro evidenziando come vanno eseguiti dai propri atleti.
  2. Realizzare slide con informazioni essenziali ma con immagini in grado di stimolare sempre di più l’attenzione.
  3. Presentare una unica idea in ogni slide per evitare di confondere, usando video e immagini autentiche magari prese dai propri lavori evitando di riciclare immagini viste e riviste.
  4. Evitare l’autocelebrazione a favore della concretezza

“Il formatore non trasmette concetti ma agisce come veicolo e acceleratore nello sviluppo di competenze da parte del fruitore”

di Tiziano Megaro

Allenamento donna

Triade della donna

Esercizio fisico amatoriale – agonistico

Aumenta l’interesse delle donne per queste discipline

Grazie ai cambiamenti sociali degli ultimi trent’anni, l’interesse da parte delle donne nei confronti dell’esercizio fisico, amatoriale e agonistico, e in particolare per le attività di tendenza come il CROSSFIT, il POWERLIFTING, la corsa ad ostacoli (SPARTAN RACE), risulta essere più coinvolgente.

Il più delle volte, le motivazioni che portano una donna ad iscriversi in palestra sono date da un fattore…

estetico o da un fattore competitivo estremo, solo secondariamente per stare bene o per motivi di salute.

Nonostante sia ben noto il ruolo benefico dell’esercizio nella promozione della salute fisica e mentale, l’attuale tendenza generale è volta a volerne aumentare considerevolmente, durata, frequenza ed intensità.

Talvolta però l’atleta, nella convinzione di migliorare le proprie prestazioni, eccede con l’esercizio fisico e scompensa con il ridotto introito alimentare, arrivando a sbilanciare il fabbisogno energetico fino a compromettere il normale funzionamento del ciclo mestruale.

Triade
Foto di Andrea Piacquadio
Cosa è la Triade?

Nel 1992 la Task Force on Women’s Issues of the American College of Sports Medicine, definisce la “Triade dell’atleta femminile” (TRIADE) la combinazione di:

  1. Bassa disponibilità di energia (con o senza disturbi del comportamento alimentare).
  2. Ridotta densità minerale ossea (BMD) manifestata con osteoporosi e osteopenia.
  3. Inibizione dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadico (HPG) e alterazione degli ormoni FSH e LH con conseguente disfunzione mestruale fino all’amenorrea vera e propria (FHA).

Viene definita “amenorrea delle atlete”, l’assenza di mestruazioni spontanee che si protrae per almeno 3 mesi.

Le amenorree delle atlete possono essere classificate in:

  • «Amenorree primitive», ovvero quando la donna non presenta la comparsa del menarca (prima mestruazione);
  • «Amenorree secondarie», nel caso in cui la mestruazione scompaia dopo un periodo più o meno lungo di flussi mestruali spontanei.
Davide-Antoniella-Functional-training
Il prof. Davide Antoniella
Vediamo differenze e cause delle amenorree delle atlete

L’amenorrea da esercizio fisico, assieme all’amenorrea da disturbi alimentari (come da bulimia e da anoressia nervosa), fa parte delle amenorree ipotalamiche funzionali.

Quest’ultime vanno differenziate dalle amenorree ipotalamiche da causa organica, che comprendono quelle secondarie a patologia tumorale, ischemica o flogistica.

Le cause più accreditate che possono determinare lo stato di amenorrea sono:

  • Inadeguata alimentazione.
  • Modificazioni ormonali dovute all’esercizio fisico, perché alterano la produzione di GnRH, importante “regolatore” del ciclo mestruale e di cortisolo (ormone dello stress).

La prevalenza di amenorrea tra le atlete non è ben documentata, ma è stimata tra il 5% e il 40% (2-3% della popolazione generale) a seconda del tipo di disciplina sportiva e del livello competitivo.

Gli sport più a rischio sono quelli che richiedono

intensità particolarmente elevata:

molta resistenza, come le gare di fondo:

oppure quelli come:

che invece richiedono un aspetto fisico particolarmente definito con bassissime percentuali di grasso.

Anche lo stress emotivo è associato all’amenorrea (FHA) ed è stato considerato sia causa sia effetto della condizione.

Donna in allenamento
Come si manifesta la Triade dell’atleta femminile?

Il primo campanello d’allarme solitamente riguarda l’alimentazione.

Il rapporto con il cibo ritenuto troppo calorico, diventa una vera e propria ossessione fino a manifestare, in alcuni casi, sintomi anoressici.

Dal punto di vista clinico, i sintomi più significativi della scarsa disponibilità di energia legata anche a questo atteggiamento, sono i suoi effetti sul ciclo mestruale e sulla salute delle ossa.

Com’è noto, l’esercizio fisico incentiva l’attività degli osteoblasti, ovvero le cellule che producono matrice ossea, ma la carenza di estrogeni ne peggiora la struttura trabecolare.

Barrack et al. (2010) hanno dimostrato come le atlete di endurance (40%) abbiano, infatti, una densità ossea più bassa rispetto alle ballerine o alle ginnaste (10%).

Molti sono anche gli studi che hanno evidenziato quanto la quantità di massa scheletrica acquisita durante l’adolescenza, sia uno dei fattori più importanti nel determinare l’osteoporosi e il rischio di fratture nel corso della vita.

Approssimativamente il 50% della massa ossea viene acquisita proprio in questo periodo;

l’aumento maggiore è tra 11 e 14 anni e solo a 18 anni le donne riescono a raggiungere il 95% della loro densità ossea (BMD) totale.

Il picco di massa ossea al collo del femore avviene all’età di 16 anni ma, nella colonna lombare, la massa ossea continua ad aumentare fino al terzo decennio di vita.

Durante i periodi di limitata disponibilità di combustibile, l’energia viene deviata o ripartita lontano dalla crescita e dalla riproduzione al fine di dare priorità ai compartimenti vitali per la sopravvivenza dell’individuo.

Questo dimostra l’enorme importanza di considerare l’allenamento in funzione delle fasi di crescita e di quanto sia fondamentale dosare attentamente l’attività motoria per quanto riguarda volume, intensità, tipo, recupero, progressione, frequenza e durata.

triade 2
Diversi studi hanno dimostrato come ci siano numerose conseguenze se questa condizione interessa un lungo periodo
  1. Aumentato rischio di infortuni muscolo-scheletrici
  2. Alterazioni cardio-circolatorie
  3. Fratture da stress
  4. Profilo lipidico anormale
  5. Disfunzioni endoteliali
  6. Perdita irreversibile di massa ossea
  7. Depressione
  8. Ansia
  9. Scarsa autostima
  10. Aumentata mortalità (Weiss Kelly et al. 2016)

La combinazione di questi fattori influirà inevitabilmente sulle prestazioni e sulla qualità della vita aumentando il rischio di lesioni, depressione, irritabilità, diminuendo coordinazione, forza muscolare e concentrazione

alterando lo sviluppo psico-fisico in fase di crescita e attivando processi degenerativi che a lungo termini porteranno ad aumentare il rischio delle malattie legate all’invecchiamento.

di Davide Antoniella

Specificità e contesto

SPECIFICITÀ E CONTESTO-VISIVO

UN ESEMPIO DAL BASKET

In questo articolo vorrei portare in evidenza un concetto molto interessante sviluppato da alcuni autori riguardo alla specificità degli apprendimenti, ovvero quello dell’ipotesi del contesto-visivo.

Dopo una breve introduzione sul concetto di percezione visiva legata al movimento andremo ad analizzare uno studio interessante proposto dal gruppo di ricerca di A. Schmidt  presso l’Università della California a Los Angeles e pubblicato sul Journal of Sport and Exercise Psychology nel 2008.

Introduzione

Quando si parla di specificità si affronta un argomento molto complesso che richiede l’analisi di diverse componenti del movimento.

Frans Bosch definisce la specificità di un movimento (che poi si riflette nella sua trasferibilità) su cinque dimensioni, una delle quali riguarda quella percettivo-sensoriale.

Frans Bosch
Frans Bosch foto da: blog.performancelab16.com

All’interno di questa dimensione ritroviamo la percezione propriocettiva delle forze, delle posture, dei movimenti, e anche la percezione dell’ambiente circostante.

L’ambiente circostante è caratterizzato da due tipologie di informazioni.

Le “vuote” che devono essere processate dal cervello per far si che acquisiscano di significato.

Quelle che invece possiedono già un significato e sono percepite grazie a quella che viene definita “percezione diretta”, attraverso processi automatici ed inconsapevoli.

LA VIA DEL COSA E LA VIA DEL DOVE

Le visualizzazioni di oggetti che devono essere convertite in percezione nel cervello vengono solitamente definite “il cosa” del processo d’informazione.

Questa via ci consente di riconoscere gli oggetti attraverso il flusso ventrale della corteccia visiva.

Oltre al “cosa” esiste anche “il dove” dell’informazione, l’informazione del movimento, che invece è processata dal flusso dorsale della corteccia visiva.

Quello che sorprende è quanto le due vie siano effettivamente separate.

Il “cosa” dell’informazione viaggia lungo la via parvocellulare, mentre quella del “dove” lungo quella magnocellulare.

Il risultato di questa distinzione nelle vie del processo è che vi sia una significativa differenza tra i due flussi d’informazione.

Il “cosa” dell’informazione viene percepito consapevolente, mentre questo è in parte impossibile nel caso del “dove” dell’informazione, che è processato inconsapevolmente. (F.Bosch)

La via del “dove” è ultimamente conosciuta anche come la via del “come”.

Un termine che enfatizza la forte correlazione tra le informazioni visive sul movimento e la progettazione del movimento automatizzato controllato inconscio.

LE INFORMAZIONI DELL’AMBIENTE CHE GIÀ INCLUDONO LE INFORMAZIONI

Il cuore della teoria della percezione-diretta (J. Gibson) riguarda il fatto che nel “flusso ottico”:

il complesso spostamento della luce nel campo visivo come risultato del movimento relativo

è già incluso il significato della percezione.

Quindi non necessita di un ulteriore sforzo del cervello per processare l’informazione, creando una connessione diretta tra la percezione e l’azione.

(Teoria delle affordance: Leggi l’articolo ALLENARE LE AFFORDANCES su www.tss.academy) .

Proprio come il “dove” dell’informazione, la percezione-diretta dell’informazione è principalmente processata inconsapevolmente.

LO STUDIO DI SCHMIDT

Pubblicato nel 2008 sul Journal of Sport and Exercise Psychology dal titolo: “Especial Skills: Specificity Embedded Within Generality”

Questo articolo affronta lo spinoso e sempre molto acceso confronto tra il concetto di generalità e specificità nelle teorie dell’apprendimento e del controllo motorio.

Da sempre esiste questa dicotomia tra le teorie che sostengono l’esistenza di modelli generali di movimento.

Possibile poi attingere per lo sviluppo di abilità più specifiche, e le teorie che invece identificano nella specificità il processo migliore per l’acquisizione di abilità.

Nella parte iniziale dello studio vengono presentate due ricerche effettuate su giocatori di basket che identificano una caratteristica molto importante dell’apprendimento:

la specificità del contesto che determina i comportamenti.

Ricerca 1

La prima ricerca è stata effettuata su giocatori maschi della NCAA (Schmidt, Lee, & Young, 2005) e consisteva nel farli tirare a canestro da distanze sempre maggiori, comprese tra 9 e 21 piedi.

La tipologia di tiro che veniva richiesta era quella che prevedeva entrambi i piedi a terra, tipica del gesto del tiro libero.

L’ipotesi di partenza era che all’aumentare della distanza sarebbe aumentata la percentuale di errore, ed in effetti questo si verificò puntualmente.

L’aspetto interessante della ricerca è che alla distanza precisa di 15 piedi, quella del tiro libero (gesto tecnico molto ripetuto nel gioco del basket poiché previsto dal regolamento) il valore ottenuto si discostava da quella che era la previsione attesa.

Dimostrando un valore “anomalo” rispetto alle altre distanze che invece rispettavano la predizione (vedi figura 1).

Perché succede questo?

L’ipotesi degli autori fu quella appunto di un adattamento specifico a quel tipo di gesto, grazie alle innumerevoli ripetizioni effettuate durante la quotidiana pratica della disciplina.

Figura 1. Immagine tratta da: “Especial Skills: Specificity Embedded Within Generality” A.Schmidt, 2008
Ricerca 2

La seconda ricerca presentata nella prima parte dell’articolo (Keetch et al., 2005) fu condotta invece su giocatrici femmine sempre di alto livello in cui gli autori, sulla base dei risultati del precedente studio.

Volevano verificare se al variare della tipologia di tiro, in questo caso inserendo un salto durante l’esecuzione, si verificasse la stessa cosa vista precedentemente.

Ripeterono quindi l’esperimento facendo tirare le giocatrici sia in modalità “tiro libero” che in modalità “tiro in sospensione”.

Nella figura 2 notate quello che si è verificato.

Solo nella modalità di esecuzione con i piedi a terra si verificò nuovamente questa differenza rispetto alla predizione.

Dimostrando un’altra volta la specificità di questo apprendimento che solo se eseguito in quel preciso modo manifestò un risultato maggiore grazie alle numerose volte che è stato praticato.

L’inserimento di una variazione come quella del salto impedisce alle giocatrici di attingere a quello specifico apprendimento e sfruttare l’abilità speciale del tiro dai 15 piedi.

Figura 2. Immagine tratta da: “Especial Skills: Specificity Embedded Within Generality” A.Schmidt, 2008
CHE FINE HA FATTO IL MODELLO GENERALE DI MOVIMENTO?

Capite bene che questi risultati rendono difficile la vita a tutte quelle teorie che tendono a considerare l’esistenza di un modello generale di movimento dal quale poi si specializzino alcune forme di esso.

In questo caso la dimostrazione del fatto che una semplice variazione, come la presenza di un salto durante il movimento, abbia di fatto annullato “l’esperienza” di quella specifica tipologia di tiro.

Ci porta a considerare molto difficile la trasferibilità tra due gesti diversi, anche solo per qualche dettaglio, figuriamoci per quelli molto diversi tra loro.

Se esistesse uno schema di movimento generale del “tirare a canestro”, o addirittura semplicemente del “lanciare” diventerebbe difficile spiegare i risultati appena mostrati.

Questi risultati suggeriscono che anni di pratica sulla linea del tiro libero:

  • producono un’abilità che ha uno specifico vantaggio di controllo del movimento a quella particolare distanza
  • fornisce poco o nessun vantaggio rilevabile per qualsiasi altra distanza
    • indipendentemente dalla sua vicinanza alla linea di tiro libero.
L’IPOTESI DEL CONTESTO VISIVO

Ora le spiegazioni potrebbero essere due sul perché si sia manifestato questo specifico apprendimento.

Una che potremmo definire “ipotesi dei parametri appresi”, ovvero il fatto che gli atleti avendo ripetuto molte volte in carriera questo gesto specifico abbiano imparato esattamente la gestione dei parametri di movimento per eseguirlo al meglio:

  • quantità di forza,
  • velocità della palla,
  • velocità di estensione delle braccia,
  • grado di flessione delle ginocchia, ecc…

L’altra spiegazione invece la definiamo “ipotesi del contesto visivo”, ovvero il fatto che questo specifico apprendimento dipenda dall’aver sviluppato una comprensione del contesto estremamente precisa riguardante quindi:

  • la presenza del tabellone,
  • l’angolo di visuale rispetto al canestro,
  • tutto quello che riguarda la visione da quella specifica distanza in quel punto specifico del campo da basket.
Come fanno gli autori a stabilire quale delle due ipotesi sia la più probabile?

Conducono uno studio in cui a delle giocatrici di basket di alto livello viene chiesto di tirare a canestro dalla distanza di 15 piedi:

ma da diverse angolature, non solo da quella del tiro libero (90° rispetto al canestro).

Le giocatrici dovranno tirare a canestro da:

  • 3 angolature diverse a sinistra dal canestro
    • (45°, 60°, e 75°)
  • tre angolature diverse a destra dal canestro
    • (105°, 120°, e 135°)

Se fosse confermata l’ipotesi dei parametri appresi non si dovrebbero registrare differenze poiché essendo la distanza la medesima, anche i parametri restano gli stessi.

Se fosse invece confermata l’ipotesi del contesto visivo dovremmo aspettarci dei risultati diversi poiché a quelle angolature cambierebbero le informazioni visive percepite dalle giocatrici durante l’esecuzione del tiro.

I risultati sono mostrati nella figura 3.

Soltanto nella posizione dei 90° rispetto al canestro, quella cioè specifica del tiro libero nel basket si registra un performance migliore di quella predetta.

Dimostrando come non sia esistente di per sé un’abilità legata ai parametri del movimento (aver appreso quanta forza, quale velocità, ecc) ma invece un’abilità estremamente legata alla posizione in campo ed alle informazioni disponibili da quella specifica posizione.

Figura 3. Immagine tratta da: “Especial Skills: Specificity Embedded Within Generality” A.Schmidt, 2008
CONCLUSIONE

Questo studio ci da conferma di quanto nella matrice di specificità sia presenta una dimensione di carattere percettivo-sensoriale.

Quando vogliamo allenare qualcosa di “specifico” non possiamo non considerare il contesto nel quale stiamo riproducendo quel gesto.

Non possiamo non considerare le informazioni visive a disposizione dell’atleta come un elemento fondamentale dell’apprendimento.

Non esistono lavori specifici fatti in zone di campo diverse da quelle reali, con distanze diverse da quelle reali, in posizioni di campo diverse da quelle reali.

La dimensione di specificità ci obbliga a definire “specifico” soltanto ciò che

il più fedelmente possibile rispecchia le richieste a cui il giocatore è sottoposto durante la performance.

di Alberto Pasini

Insegnare ad insegnare

Vi insegno a insegnare…

…fate star bene i vostri ragazzi!

“Finalmente ho tenuto le lezioni di pallacanestro “in presenza” al concorso di laurea in Scienze Motorie e dello sport all’Università Cattolica di Milano”

Dopo un anno di lezioni “in remoto”,  finalmente ho parlato con…

…i miei studenti, li ho osservati, li ho guardati negli occhi, mi sono emozionato e ho trasmesso loro questo messaggio:

“Non ho la pretesa di farvi diventare dei giocatori di pallacanestro, vorrei solo che voi diventaste dei
bravi Insegnanti, quindi ………. parleremo sì di basket, ma il mio obiettivo principale è quello di

INSEGNARVI A INSEGNARE!”. 

Ho detto loro, volete diventare Insegnanti speciali?

Follow me…queste sono le raccomandazioni da seguire.

1) l’autorevolezza

Deve essere la vostra prima qualità.

Vi dà credibilità e vi fa diventare un punto di riferimento per i vostri allievi e ciò che dite, assume per loro un significato di “verità”.

Se ne accorgono subito e vedono in voi la serietà e vi seguono.

L’autorevolezza diventa progressivamente sicurezza e rafforza la vostra personalità che, con il passare del tempo, diventa

  • coerenza
  • convinzione
  • capacità

di svolgere bene il vostro ruolo all’interno del gruppo.

L’autorevolezza non è autoritarismo, non è “potere”, l’autorevolezza:

affascina, coinvolge ed emoziona.

Emozionateli!

2) la seconda qualità è la partecipazione.

La vostra deve essere una presenza attiva, animata dalla voglia di fare, di fare sempre meglio, di dare e di arricchire.

Questa voglia si misura con il desiderio di entrare in palestra, nel campo di gioco, in piscina, con entusiasmo e con la voglia di trasmettere e di coinvolgere: non deve essere una “routine”!

Guardateli negli occhi, vi diranno subito di quello che hanno bisogno.

La vostra partecipazione è condizionata dal modo di pensare, dallo sforzo di percepire o di far
percepire qualsiasi esercizio o gioco in modo accattivante, interessante, curioso, in una versione
sempre nuova, perché:

nulla rimane immutato e voi dovete coglierne le novità.

La vostra partecipazione deve essere anche affettiva e deve esprimere la voglia di trasmettere ciò che sapete e che avete raggiunto in anni di studi, di ricerche, di confronti, di approfondimenti e di
aggiornamenti.

Il vostro deve essere un “sapere” che si coniuga con la passione e con il piacere di trasmetterlo agli altri.

Il “piacere di insegnare”, nessun lavoro, nessuna professione, senza il “gusto” di compierlo, può risultare gratificante, quindi efficace e proporzionato al gradimento dei vostri allievi, che lo dimostreranno stando attenti, coinvolti e appassionati a ciò che voi trasmettete.

Coinvolgeteli!

3) la terza qualità è il ruolo, il vostro ruolo

Ogni ruolo ha una sua liturgia che deve essere mantenuta.

Non vi è concesso di diventare amici dei vostri allievi.

Il vostro ruolo è sacro, non è una missione e la sacralità del vostro ruolo è fondata su un sapere razionale, ha un sapore fascinoso, misterioso, perché il mistero rimane dentro il pensiero umano.

Voi non siete il padre o la madre dei vostri allievi, non siete il loro amico, non siete lo psicologo che li deve accompagnare nel cammino della fanciullezza.

Siete un uomo o una donna con l’incarico di fare il direttore d’orchestra dove ognuno degli orchestrali suona il proprio strumento (chi bene e chi male, ma tutti suonano) e voi avete il dovere di accompagnarli e di farli “crescere”.

E ricordatevi che dovete indossare un abito consono alla cerimonia, alla cerimonia dell’insegnamento e dell’apprendimento.

Affascinateli!

4) la quarta qualità è “fateli star bene

La palestra, il campo di gioco, la piscina devono essere un’oasi di pace.

Fuori può regnare il caos, ma nella vostra palestra e nel vostro campo di gioco, i vostri allievi devono sentirsi al sicuro, deve regnare:

  • l’ordine
  • la giustizia
  • la stima
  • la collaborazione
  • la creatività
  • la voglia di sicuro,

fateli imparare.

Fateli stare bene i vostri allievi.

La palestra, il campo di gioco, la piscina sono un banco di prova per la vita futura e voi potete solo aiutarli ad essere pronti per affrontarla.

Fate capire loro che eccellere costa, imprimete nella loro mente che se vogliono veramente ottenere qualcosa di importante, devono impegnarsi e sacrificarsi.

Accompagnateli!

Conclusioni

“Voi dovrete diventare degli Insegnanti, degli Istruttori, degli Allenatori, degli Educatori… “in
gamba”.

Dovrete lasciare in eredità ai vostri allievi la gioia di giocare, di divertirsi e la voglia di migliorare!
Dovrete saper “leggere” nei loro occhi ciò che desiderano e se sarete in grado.

Cercate di far diventare lo sport che praticano un’avventura e non una marcia forzata per eccellere.

Dovrete essere una guida preziosa:

  • camminate accanto a loro
  • lasciateli esplorare
  • inventare
  • creare
  • indagare

e, se sarete stati per loro degli Insegnanti “speciali”, non vi dimenticheranno mai e sarete ricordati

per quello che siete stati e non per quello cha avete loro insegnato”.

Nelle mie lezioni ai Corsi A-B-D e C

Nelle mie lezioni, ho parlato poco di pallacanestro

Ho cercato di coinvolgerli, di affascinarli, di dare loro delle certezze ma anche di metterli in crisi e di creare dei dubbi.

Ho cercato di far capire loro che:

devono “essere messe assieme” per fare in modo di crearsi una “propria” metodologia d’insegnamento”.

Non si è bravi Insegnanti se si conoscono 100 esercizi, si è bravi Insegnanti se si conosce a che cosa
serve un esercizio, perché lo si propone e soprattutto che effetti produce.

Martedì e mercoledì: era come se fosse stata la mia prima volta da Insegnante!

Se non è EMPATIA non si può insegnare e nemmeno… apprendere!!!!!!

di Maurizio Mondoni

Libera esplorazione

Esercizi di libera esplorazione: 50 idee

Prima parte (esercizi di libera esplorazione del n. 1 al . n. 25)

Gli esercizi di libera esplorazione motoria, di seguito elencati, non servono a dare delle risposte, perché ogni soluzione irrigidisce il movimento divergente.

Sono solo delle proposte che…

…invitano a vedere il proprio corpo in movimento come il pennello di un artista.

Sono pensati per spingere i ragazzi ad ascoltare l’energia dei propri impulsi spontanei profondi in modo da articolarli in movimenti espressivi, visibili e organizzati.

1. L’accoglienza

In circolo, ognuno si predispone ad accogliere i compagni, per recuperare l’ascolto profondo del proprio corpo e dei propri movimenti.

Divaricare le gambe in modo da sostenere in modo equilibrato il corpo, con le mani lungo i fianchi e le palme rivolte all’interno, verso le gambe.

Al via tutti sollevano le braccia staccandole lentamente dal corpo, mani aperte, con le palme girate in su, il movimento si può concludere portando le braccia al petto incrociate nella posizione di abbraccio.

Questo gesto dell’accoglienza inizia il nostro lavoro di ricerca sostenendo una relazione serena e positiva. Ognuno è come se dicesse:

“io ci sono”, “io ho qualcosa da esprimere, da comunicare”.

2. Un saluto in movimento

In circolo, ognuno si presenta dicendo il suo nome e poi eseguendo un movimento libero.

I compagni ripetono il suo nome ed il suo movimento.

Dire il proprio nome è la prima cosa che ci mette in relazione con gli altri, dopo possiamo essere identificati e chiamati.

Inoltre ripetere in gruppo un qualsiasi movimento eseguito da un compagno implica accettazione e condivisione della libertà di espressione.

Fondamentale è l’osservazione del movimento dell’altro e quindi il suo ascolto.

3. La presentazione

In circolo, sulla musica, un ragazzo alla volta va al centro, ed esegue dei movimenti che gli altri ripetono dal loro posto.

L’animatore deve favorire lo spostamento al centro di tutti i ragazzi.

Le musiche possono cambiare perché ritmi diversi determinano differenti movimenti.

La gestualità libera favorirà l’improvvisazione.

4. L’incontro

Muoversi liberamente nello spazio ed incontrando un compagno salutarlo come si vuole:

  • con un gesto,
  • uno sguardo,
  • un saluto formale,
  • un contatto fisico.

Il movimento facilita la relazione, la coordinazione e l’interazione espressiva con l’altro ed il gruppo.

5.Lo spazio

Conoscere attentamente l’area motoria, camminare liberamente nello spazio osservando tutto e poi scegliersi il proprio posto.

Camminare ascoltando il ritmo della propria camminata e il respiro ad essa abbinato senza avere fretta.

E’ importante imparare ad occupare lo spazio rispettando quello dell’altro (se allargando le braccia si urta un compagno bisogna trovare un altro spazio).

Nello spazio si potrà riconoscere:

la forza e la leggerezza, la velocità e la lentezza, la respirazione e la propria musica interiore.

6. Il monologo motorio

Ogni ragazzo deve raccontarsi per due minuti attraverso il movimento.

Questa è una fantastica esperienza di corpo sentito per l’espressione di sensazioni, stati d’animo, azioni e situazioni.

7. Il volto dei colori.

I ragazzi devono associare i movimenti ai colori che, a mano a mano, vengono mostrati.

Alcuni tipi di luce possono:

irritarci, altri calmarci, il mondo esterno condiziona il nostro sentire, le nostre emozioni, le nostre azioni motorie.

gioco libera esplorazione 2
foto da: greenme.it
8. L’imitazione

Ciascuno cammina liberamente nello spazio ed imita prima immagini proposte dall’animatore (ad esempio il volo di un aquilone) e poi oggetti reali o fantastici creati liberamente.

La gestualità espressiva stimola l’ uso creativo del corpo proprio.

9. I due mondi

Si divide lo spazio motorio in due metà, in una si cammina come se si fosse nel mondo reale, nell’altra nel mondo fantastico.

Fra i due mondi c’è una linea di confine in cui ogni ragazzo può fermarsi a pensare prima di passare da un mondo all’altro.

Dopo aver sperimentato il proprio corpo nei due mondi i ragazzi, al via dell’animatore, decidono in quale mondo vivere.

Dopo questo esercizio si passa alla fase di verbalizzazione in cui si chiede ai ragazzi:

come ci si sentiva nei due spazi.

10. Il confine

Ci si dispone di fronte ad un filo teso (se non c’è la rete di pallavolo).

Ogni ragazzo, oltrepassando il filo, approda nel mondo della fantasia motoria e lì può muoversi come vuole.

Ritornato al suo posto deve cercare di convincere i suoi amici a passare dall’altra parte.

11. Lo spazio dell’inventore.

Si divide lo spazio in due metà, in una si posizionano gli inventori dei movimenti, nell’altra gli osservatori.

Al via dell’animatore gli inventori creeranno nuove azioni libere e gli osservatori sceglieranno  quelle più coinvolgenti.

Si chiede, nella fase di verbalizzazione, la motivazione della scelta.

Nella seconda fase si invertiranno le posizioni degli inventori e degli osservatori.

Si darà forma, corpo, suono, al proprio immaginario.

12. Il dialogo con il corpo

Ci si divide a coppie e ci si tiene per mano.

Un ragazzo compie un movimento e poi lo passa all’altro che lo ripete facendone a sua volta un altro che poi ripassa al compagno:

la comunicazione passa attraverso il contatto corporeo.

Quando due persone si incontrano e dialogano con il proprio corpo imparano ad ascoltare i reciproci movimenti.

Singoli movimenti messi in comune tra due persone diventano un’azione.

13. Lo specchio creativo

Ci si divide a coppie.

Un ragazzo esegue dei movimenti spontanei e l’altro li imita a specchio.

E’ importante, attraverso l’osservazione, impadronirsi dei movimenti dell’altro per imparare ad ascoltarlo.

In una fase successiva si osserverà prima il movimento del compago e poi lo si ripeterà, però trasformandosi in uno specchio deformato:

lo specchio che imbruttisce, che abbellisce, che caricaturizza, ecc…

Nella fase di verbalizzazione è importante verificare:

in quanti modi diversi può essere visto un movimento, come è possibile trasformarlo e a quante cose ci rimanda.

14. I condizionamenti

Giocare ad eseguire i movimenti normalmente assegnati dalla cultura e dai condizionamenti sociali, ai maschi ed alle femmine:

è bene far riflettere i ragazzi che i movimenti non hanno sesso, non ci sono movimenti maschili e movimenti femminili.

15. La sfida della tartaruga

Sentire le sensazioni dei movimenti eseguiti molto velocemente e molto lentamente.

Disporre i ragazzi sulla linea di partenza e farli sfidare in gare di corsa.

Nella prima vince chi corre più veloce e arriva primo.

Nella seconda chi corre più lento e arriva ultimo (bisogna comunque andare sempre avanti senza mai tornare indietro, chi si ferma è squalificato).

Col tempo si acquisisce naturalezza e spontaneità nel proprio movimento.

16. Entrare nella storia

Un ragazzo appena entra in un cerchio disposto a terra fa dei movimenti liberi immaginando di voler comunicare una storia.

Gli altri si avvicinano a lui e cercano di entrare nella sua storia continuandola.

Dopo questa esperienza si passa alla fase di verbalizzazione chiedendo al ragazzo che ha iniziato il movimento se il gruppo ha assecondato la sua storia o ne ha creato un’altra completamente diversa.

Entrando nella storia si ritrova la giocosità e la spensieratezza.

17. L’artista e il suo modello

I ragazzi si dispongono in coppie, uno è l’artista, l’altro il manichino.

L’artista fa compiere i più svariati movimenti al manichino muovendolo con le mani, poi si cambiano i ruoli.

Si prova gioia nel creare, nel modellare le parti del corpo, nel comporre.

Il gioco si allarga, poi, dividendo la classe in gruppi di quattro e organizzando una concorso per la definizione del miglior modello.

Nella fase di verbalizzazione il manichino comunicherà i movimenti che lo hanno fatto sentire meglio.

18. Il pezzo di argilla

Ci si divide a coppie disposte in due file parallele.

Una fila rappresenta i pezzi di argilla allo stato grezzo e l’altra i suoi modellatori.

Un pezzo alla volta di argilla viene modellato dagli “artisti”, poi le diverse composizioni vengono messe in relazione cercando dei punti un comune per creare il pezzo unico.

L’argilla si trasformerà attraverso l’ “opera” di tutti.

19. Muovere l’immobilità

Ognuno nello spazio esegue dei movimenti liberi.

Al battito delle mani dell’insegnante tutti devono restare immobili.

Il primo a cui viene l’idea di un nuovo movimento lo esegue, poi, al nuovo battito delle mani dell’insegnante, si ricomincia.

I movimenti del corpo, siano essi lenti o meccanici, veloci o sciolti:

indicano lo stato emotivo delle persone.

20. Tale e quale

Quattro ragazzi di spalle al gruppo devono comporre un’immagine fotografica su un argomento (medioevo, pollaio, sanremo…) che di volta in volta viene richiesta da chi li osserva.

La fotografia viene organizzata prima singolarmente poi cercando, senza mai parlare, di formare un’immagine con lo “scatto” proposto dai compagni.

Nella verbalizzazione si metterà in evidenza che il corpo non mente mai, è la parte più vera di noi.

21. Le slides

Quattro ragazzi, due faranno le slides e due le presenteranno.

Il primo presentatore inizia ad argomentare su una tematica da lui scelta e al suo click mostra le slide.

I due ragazzi slides devono immediatamente formare l’immagine richiesta.

Il secondo presentatore sulla slide formata collega un altro argomento, diverso dal precedente, per poi rilanciare al primo presentatore la sua nuova slide.

E così via fino alla fine della storia, o meglio delle storie.

22. La trasformazione

In circolo, ognuno compie un movimento libero.

L’insegnante chiede poi ad un ragazzo di eseguire il suo movimento al centro del cerchio in modo che tutti lo possano vedere.

Questo movimento viene poi passato ad un altro ragazzo che va al centro e deve trasformarlo.

E’ importante trasformare il movimento e non cambiarlo, quindi si deve ascoltare attentamente il movimento del compagno per inserirsi in esso cercando di modificarlo però nella continuità.

Andare al centro e cambiare totalmente un movimento proposto significa non aver osservato e sentito la proposta  del compagno.

L’immaginazione ci permette di trasformare e combinare i movimenti inventando nuove azioni.

23. L’osservazione

In circolo, si mette al centro un qualsiasi oggetto.

Ognuno a turno si avvicina ad esso, lo osserva e con questo oggetto esegue un movimento immaginando che sia qualcosa.

Gli altri a turno fanno anche loro l’esercizio, ma non possono ripetere la stessa azione del compagno.

E’ interessante immaginare la diversa funzionalità degli oggetti, osservandoli, toccandoli.

Solo in questo modo è possibile poi trasformarli seguendo la creatività di ognuno.

24. L’oggetto misterioso

In circolo, si mette al centro del cerchio un oggetto.

Ognuno a turno lo fa diventare con l’aiuto del suo corpo qualcos’altro, ciò che vuole, poi si ferma come se volesse farsi una fotografia.

I compagni devono indovinare cosa è diventato l’oggetto.

Si potrà poi partire da due oggetti, completamente scollegati tra loro, chiedendo di metterli insieme con un senso.

L’osservazione attenta dell’oggetto migliora le capacità espressive e creative.

25. La rappresentazione

In circolo, si mette un oggetto al centro del cerchio.

Ognuno,  a turno, si relaziona con esso in movimento, ci gioca come vuole:

è importante lasciare libera la fantasia per rappresentarsi l’oggetto in modi diversi.

La seconda parte (dal n. 26 al n. 50) sarà proposta con la prossima uscita.

La redazione

di Pasquale Iezza