Dino De Angelis

Dino De Angelis

Dino, “potentino doc”!

È riuscito e riesce a farmi riflettere su tutto ciò che scorre intorno a noi. Il suo modo di parlare, la sua padronanza di linguaggio, la chiarezza, il contenuto dei suoi pensieri sono un toccasana.

Estrapolo, dal suo blog, un piccolo stralcio della sua descrizione:

“Un curioso prima di tutto. Ma anche uno un po’ pigro. Uno, cioè, che non fa nulla senza qualcosa in cambio. E quel che voglio in cambio di quel che faccio è: divertimento. Che sembra infantile, e infatti lo è. Ma non mi muovo dalla sedia se non mi diverto, qualunque cosa faccia. Poi viene tutto il resto. Ed è un limite, spesso.

Anni e anni fa, dopo aver fatto il liceo classico, mi sono laureato in scienze politiche (dovessi riscrivermi oggi, la risceglierei, non perché serva a qualcosa ma perché resta ancora una delle facoltà che mi piace di più), e poi da lì ho iniziato a girovagare nel mondo del lavoro, in un tour che spero non finisca mai. Ci sono così tante cose belle da fare e da scoprire che spero di scoprirne ancora altre.

Infatti ho fatto di tutto, dall’imprenditore all’allenatore, dallo scrittore al divulgatore, e di alcune di queste cose ancora me ne sto occupando……”

La collaborazione è iniziata più di dieci anni fa, lui come capo allenatore ed io preparatore fisico vincendo, alla fine, il campionato. Le nostre strade, da allora, non si sono più separate. Ho sempre cercato di coinvolgerlo sia in scelte lavorative sia in progetti scolastici dove ero sicuro potesse contribuire positivamente al binomio docenti – alunni e ho voluto fortemente il suo supporto in questo progetto che sto tentando di mettere in atto. Di seguito un video, inserito nel suo blog, tanto significativo e profondo da volerlo riproporre qui.

Grazie caro Dino per aver accettato di collaborare!

Dino De Angelis

Dino, “potentino doc”! È riuscito e riesce a farmi riflettere su tutto ciò che scorre intorno a noi. Il suo modo di parlare, la sua padronanza di linguaggio, la chiarezza, il contenuto dei suoi pensieri sono un toccasana.

Dino De Angelis

Estrapolo, dal suo blog, un piccolo stralcio della sua descrizione:

“Un curioso prima di tutto. Ma anche uno un po’ pigro. Uno, cioè, che non fa nulla senza qualcosa in cambio. E quel che voglio in cambio di quel che faccio è: divertimento. Che sembra infantile, e infatti lo è. Ma non mi muovo dalla sedia se non mi diverto, qualunque cosa faccia. Poi viene tutto il resto. Ed è un limite, spesso.
Anni e anni fa, dopo aver fatto il liceo classico, mi sono laureato in scienze politiche (dovessi riscrivermi oggi, la risceglierei, non perché serva a qualcosa ma perché resta ancora una delle facoltà che mi piace di più), e poi da lì ho iniziato a girovagare nel mondo del lavoro, in un tour che spero non finisca mai. Ci sono così tante cose belle da fare e da scoprire che spero di scoprirne ancora altre.
Infatti ho fatto di tutto, dall’imprenditore all’allenatore, dallo scrittore al divulgatore, e di alcune di queste cose ancora me ne sto occupando……”

La collaborazione è iniziata più di dieci anni fa, lui come capo allenatore ed io preparatore fisico vincendo, alla fine, il campionato. Le nostre strade, da allora, non si sono più separate. Ho sempre cercato di coinvolgerlo sia in scelte lavorative sia in progetti scolastici dove ero sicuro potesse contribuire positivamente al binomio docenti – alunni e ho voluto fortemente il suo supporto in questo progetto che sto tentando di mettere in atto. Di seguito un video, inserito nel suo blog, tanto significativo e profondo da volerlo riproporre qui.

Grazie caro Dino per aver accettato di collaborare!

finale scudetto 21-22

Milano – Bologna: finale scudetto!

Gara 2
La gerarchia

Al di là della cifra tecnica, per me va rispettata una regola che riguarda tutte le dinamiche di gruppo, in particolar modo per quei gruppi che sono formati per il raggiungimento di obiettivi (orchestre, militari, squadre) e questa regola, piaccia o meno, ha a che fare con il concetto di gerarchia.

La gerarchia definisce in modo chiaro le…

…responsabilità, e questa è una cosa decisiva per raggiungere l’obiettivo.

In un gruppo deve essere chiaro chi comanda e chi porta l’acqua, e in mezzo le figure intermedie.

Poi può anche capitare che chi porta l’acqua a volte si trasformi in protagonista, ma dentro un sistema molto chiaro e accettato da tutti.

Bologna questa gerarchia l’ha individuata in maniera precisa:

Teodosic
Teodosic Milo Virtus Segafredo Bologna – A|X Armani Exchange Milano Playoff – Finale – Gara 3
Foto Ciamillo-Castoria/ Gianluca Checchi

Milano è un’orchestra di splendidi esecutori ma con un unico difetto:

non si capisce chi dirige l’orchestra e chi accompagna.

Un piccolo difetto che sul campo diventa macroscopico specie quando deve compattarsi nelle fasi decisive della battaglia quando ogni piccola decisione può portare a vincere o perdere.

E questo non lo puoi cambiare o modificare in due giorni.

O lo hai individuato ex ante oppure continuerai ad affidarti alla vena dei singoli.

Milano 0 – Bologna 2

Gara 3
Primo aspetto: l’identità

Responsabilità e pressione.

Si dice spesso che ad avvertire più pressione sia la squadra in vantaggio.

Se a questo aggiungi il fatto di giocare la prima partita in casa, la bilancia avrebbe dovuto pesare tantissimo per la Virtus ed essere molto più leggera dall’altra parte.

Ma gli occhi vitrei di Messina e Datome hanno reso chiaro il fatto che Milano abbia una certa difficoltà a gestire il clima psicologico.

Lo si capisce davanti alle reazioni sui primi errori della squadra.

Punter sbaglia un tiro libero:

apriti cielo.

Non è così che si affronta sul piano mentale una partita.

La parola d’ordine dovrebbe essere: tolleranza; la seconda: positività.

Secondo aspetto (collegato al primo): sicurezza.

Milano (opportunamente) sceglie di cambiare le carte e giocare con un centro puro per alzare l’energia e l’intimidazione di Bologna.

Scelta che produce più solidità, rimbalzi, secondi tiri.

Ma dopo pochi minuti il centro non si vede più in campo.

Risultato: confusione tattica.

Chi siamo? Quelli più atletici e dinamici di sempre o quelli più muscolari di stasera?

L’identità della squadra va in vacanza.

Terzo aspetto

Quegli altri difendono ogni palla come se non ci fosse un domani. Risultato: una corazzata come Armani lasciata a 58.

Saranno pure stanchi, ma mi sembra che ci sia anche qualcos’altro.

Quarto aspetto

Qualcuno saprebbe spiegarmi che giocatore è Micov? No, perché io non riesco a definirlo.

Non di poco conto è il fatto che, tranne rarissimi istanti, in tutte e tre le partite, i bolognesi sono per larghi tratti (circa 38 minuti su 40), davanti nel punteggio.

Non voglio parlare di supremazia, ma siamo vicini.

E se questa cosa non è sorprendente, allora dimmi tu cosa lo sia.

Milano 0 – Bologna 3

Gara 4
La riconoscenza

Il primo pensiero va alla dirigenza di Bologna.

Come si sentiranno dopo aver esonerato e poi aver dovuto ingoiare il richiamo dell’allenatore che poi li ha portati allo scudetto? Un minimo di vergogna sarebbe il minimo, oltre alle scuse.

Miopi.

Il secondo va a un ragazzo di 21 anni che accanto a giganti che hanno vinto titoli europei e mondiali non solo non sfigura ma è quello che dà la carica, difende per tre, non perde una palla e fa canestri decisivi.

Talento.

Il terzo è per un veterano che in NBA ha fatto i numeri, torna in Italia, accetta la sfida di una società che non vinceva lo scudetto da 16 anni, e nonostante cerchino di asfissiarlo, continua a segnare in ogni modo: da fuori, da sotto, su due piedi e pure palleggiando su un piede solo.

Stoico.

No, sul direttore d’orchestra non dico nulla. Tranne il fatto che continuare a incantare e fare assist come manna dal cielo e punti decisivi non è affatto scontato.

Vincente.

Infine la difesa. Qui basta vedere i parziali dei quarti per capire anche la gara 4 che tipo di trend abbia avuto: 19-24, 22-19, 14-8, 18-11, e capire che Virtus ha progressivamente spento gli avversari come una candela.

Supremazia.

E allora se sei un giovane allenatore, chiudi i libri, smetti di andare ai corsi, tagliati la partita e guarda una decina di volte al giorno soltanto le azioni difensive della Virtus. Ne uscirai un allenatore migliore.

Didattica.

Milano 0 – Bologna 4

di Dino De Angelis

Nessuna lacrima vada sprecata

L’angolo della cultura

Nessuna lacrima vada sprecata: 1^ parte

Questa è la prima parte della ricostruzione della vita di uno dei maggiori interpreti e autori della canzone e anche della cultura italiana.

Uno che non ha mai avuto paura di sfuggire alle omologazioni e a percorrere nuove strade.

Un esempio di originalità e di creatività controcorrente che può essere di insegnamento anche per chi si occupa di altro.

Lunedì la seconda parte.

di Dino De Angelis

La chimica dei fattori interni

La chimica dei fattori interni

Uno dei più classici oggetti che fanno parte della vita di un allenatore e che lo accompagna non solo la domenica, è il taccuino.

Sul taccuino l’allenatore ci scrive DI TUTTO.

Non si può fidare della sua sola memoria, e allora il taccuino serve a raccogliere ogni tipo di informazione che gli servirà a definire meglio il suo lavoro quotidiano e i suoi obiettivi.

Su quei taccuini si sono…

…vinte più partite di molte faticose sedute di allenamento e in quelle pagine non ci sono soltanto schemi ed esercizi.

Ci sono anche frasi e annotazioni che aiutano il coach a focalizzare meglio i suoi obiettivi.

Gli sbagli

Nei lunghi decenni in cui ho avuto la fortuna di allenare, trascrivevo ogni anno alla prima pagina di ogni nuovo taccuino la seguente frase, mutuata da un sillogismo aristotelico:

Allenare è scegliere. Scegliere è escludere. Escludere è sbagliare = Allenare è sbagliare.

Questo monito serviva a ricordarmi, ogni giorno della mia carriera, che un allenatore è, prima di tutto, quello che sbaglierà più di tutti.

La ragione di questo è molto semplice.

Il dubbio
Foto di Nathan Cowley

Il basket è lo sport in cui per eccellenza un allenatore opera delle scelte continuativamente:

mentre qui possiamo, sì e no, limitarci a dare dei piccoli input, soggettivi e limitati alla sola esperienza di chi scrive.

Le gerarchie

La dinamica insita nelle scelte di chi far giocare prima, chi dopo, e chi solo se scende la Madonna, la definizione di chi giocherà i minuti decisivi, sono decisioni connesse ad un altro sacramento non scritto che vige nello sport in generale e in particolare nel basket:

la presenza di gerarchie indispensabili.

Ogni squadra ha la sua intrinseca chimica dei fattori interni, nella quale si può intravedere chiaramente un mix tra giocatori di esperienza, giocatori di media affidabilità, la presenza di una o più star, e giovani.

Questo mix definisce le dinamiche di una squadra e la àncora ad un principio gerarchico che è necessario conoscere, definire e condividere.

Qui pure si aprirebbe un capitolo che si trova a metà strada tra la chimica e le dinamiche di gruppo.

La chiarezza

È altamente raccomandabile che l’allenatore chiarisca preliminarmente alla squadra il criterio gerarchico da lui individuato per risolvere immediatamente la prima e più importante minaccia a cui il gruppo è sottoposto:

non creare false aspettative e quindi ingenerare un processo di delusioni/demotivazioni.

Ciascun giocatore deve sapere esattamente il suo peso all’interno della squadra: “l’accettazione di quel ruolo (non in senso tecnico ma come rilevanza) definirà il grado di compattezza di tutto l’assieme”.

Giocatore esperto
Foto di Gustavo Linhares

Se sono un giocatore importante devo sapere che la squadra, l’allenatore e i compagni, si aspettano da me:

  • che giochi un certo minutaggio
  • che mi assuma determinate responsabilità
  • che porti sulle mie spalle un certo peso sul buon andamento della partita
    • e che sia pronto a farmi pienamente carico di tutto questo.

Se sono un giocatore giovane, arrivato per fare esperienza, devo sapere:

  • di non aspettarmi grandi minutaggi
  • che dovrò faticare per conquistare la fiducia di tutti
  • che devo aiutare gli altri ad allenarsi bene
    • tutto quello che verrà di più sarà guadagnato.
Il motivo della gerarchia

Dentro queste gerarchie si suddividono proporzionalmente anche le percentuali di merito/demerito che vanno redistribuite di pari passo con i successi o gli insuccessi della squadra.

La pallacanestro da questo punto di vista raramente ha commesso errori nell’attribuzione esatta delle responsabilità, nel fermo convincimento che è poi tutta la squadra a far fronte comune davanti ai successi o agli insuccessi.

La definizione delle gerarchie aiuta l’allenatore anche a compiere le scelte migliori nei famosi frangenti decisivi delle partite.

Se devo scegliere a chi affidare la conclusione che mi farà andare in paradiso o all’inferno, credo sia difficile che quella conclusione possa metterla nelle mani di un giovane con poca esperienza:

verosimilmente mi affiderò alle mani di chi quelle situazioni le ha già vissute molte volte.

Questo è quello che capita nella stragrande maggioranza delle squadre.

L’eccezione che conferma la regola

Poi un giorno, un allenatore di Caserta che allena la squadra della sua città, arriva a giocarsi una finale scudetto in trasferta a Milano, e sul time out della quinta e decisiva partita, a meno di due minuti dal termine della gara che avrebbe assegnato l’unico scudetto della storia ad una squadra del Sud, si avvicina non al giocatore esperto, ma ad un ragazzo poco più che ventenne e gli chiede:

Nando secondo te cosa facciamo adesso in difesa: uomo o uno tre uno?”.

di Dino De Angelis

Il gradino

Il gradino vuoto: 9^ ed ultima puntata

La fine di un viaggio è un regalo che in questo caso porta il nome e il cognome di un anonimo velocista australiano.

La fine di un viaggio rappresenta solo l’inizio di una nuova consapevolezza.

Quella di sapere che ci sono nel mondo persone che si sono battuti e si batteranno ancora per una coesistenza più giusta tra gli uomini.

DINO DE ANGELIS

di Dino De Angelis

Il gradino

Il gradino vuoto: 8^ puntata

Penultima puntata

“Io lo sapevo che non c’era tempo, che non c’era il rallentatore, così sposai la loro causa per istinto o amore”

Alberto Cantone

Attraverso le parole di Alberto Cantone comprendiamo il gesto di un piccolo grande uomo che a suo modo ha cambiato la storia dei diritti umani.
Il suo nome è Peter Norman e il suo gesto silenzioso sarà ricordato a lungo.


di Dino De Angelis

Il gradino

Il gradino vuoto: 6^ puntata

Hanno rischiato di saltare quelle Olimpiadi, e sarebbe stato un peccato mortale, perché hanno toccato livelli assoluti, anche dal punto di vista sportivo.

Chi si ricorda, ad esempio, di un giovanotto americano che avrebbe cambiato per sempre il modo di saltare?

di Dino De Angelis

Il gradino

Il gradino vuoto: 5^ puntata

Anno 1968

In questo viaggio nei diritti umani siamo arrivati al 1968.

Prima di andare allo stadio Olimpico di Città del Messico, cerchiamo di capire le contestazioni studentesche avvenute i giorni precedenti le Olimpiadi.

Ah, finalmente ascoltiamo, oltre la musica, anche le parole della canzone di Alberto Cantone, dedicata a Peter Norman, colonna sonora di questo lavoro.

di Dino De Angelis

Il gradino

Il gradino vuoto: parte 4^

Si avvicina il momento dell’aggancio con il tema del nostro blog

Tizano Megaro

Ancora una tappa nel lungo cammino per il riconoscimento dei diritti umani (anche attraverso lo sport).

Anche nella musica esistevano varie forme di espressione nei confronti della questione razziale.

Ci sono differenze tra la musica di protesta bianca e quella nera? Il problema si può dire risolto ai giorni nostri?

di Dino De Angelis

Il gradino

Il gradino vuoto: 3^ puntata

Musica e contestazione.

I leader della battaglia in favore dei diritti umani sapevano usare parole forti e incisive.

Alcune di quelle parole finirono poi dentro le canzoni a loro dedicate.

come si evince dall’immagine di copertina tutta la storia porterà a spiegare i collegamenti tra i diritti umani e una finale olimpica di atletica leggera

Tiziano Megaro

di Dino De Angelis

Il gradino

Il gradino vuoto: 2^ puntata

Il nostro pullman ci porta oggi in giro per il Sud degli Stati Uniti.

Scopriremo quanto costa il prezzo della libertà, e quanti sono quelli che tentano, con ogni mezzo, di impedire che essa possa essere uguale per tutti.

Alcuni di loro hanno strani cappucci e vanno in giro con croci infuocate e tanto, tantissimo odio.

Chi sono, e perchè lo fanno?

di Dino De Angelis

Video racconto

Il gradino vuoto: 1^ Puntata

Ben trovati.

Non so se avete fatto il biglietto, perché per questo primo blocco di puntate dovremo fare dei viaggi in pullman.

Si parte da Montgomery, in Alabama, in compagnia di una simpatica sarta di colore, per poi fare un tour nel sud degli States, a bordo di pullman che portavano in giro aria di libertà.

Ma si sa, la libertà ha un prezzo alto da pagare: oggi di questa cosa forse ce ne dovremmo ricordare più spesso.

Ma pronti a prendere posto, Rosa ci attende. Lei, il suo posto, lo ha già preso.

Ma non sa ancora quanto le costerà.

Buona visione.

di Dino De Angelis

Il gradino

Il gradino vuoto

Introduzione

Come annunciato vi lasciamo il promo – video del racconto a puntate di Dino De Angelis.

Il consiglio è di perdere qualche minuto perché ne vale davvero la pena.

Si raccolgono pareri.
E’ l’unico modo per migliorarsi.

Ogni giovedì su trainingconcept.it

Promo – video

Pirlo

Pirlo: grande giocatore!

Coach del domani?

Basta essere stati buoni giocatori per essere anche grandi allenatori?

Prescindiamo per una volta dai singoli sport, ma restringiamo però il campo almeno agli sport di squadra, che esigono dinamiche e competenze relazionali assolutamente diverse da quelli di tipo individuale. 

Il caso del giorno, è evidente, riguarda Pirlo, neo allenatore della Juve.

La nomina ha fatto scattare, inevitabilmente, parecchie osservazioni sull’opportunità di nominare un allenatore che non ha mai allenato. 

Provo a riassumere le principali osservazioni, assumendomi ogni rischio di tralasciare pareri importanti, ma solo a mo’ di sollecitare un approfondimento successivo che non ha alcuna pretesa di essere assoluto.

Tra le tante cose che lo sport insegna c’è il postulato che la sua dinamica è talmente complessa e mutevole da rendere impossibile una previsione che possa avere il requisito minimo dell’attendibilità.

La riflessione

Dunque, esattamente come hanno fatto i virologi parlando di un virus ancora sconosciuto, mi rendo perfettamente conto di addentrarmi in un terreno solo parzialmente conosciuto, per aver ricoperto un ruolo di allenatore per poco più di tre decenni (praticamente nulla), e di rischiare di intravedere dietro l’orizzonte un panorama dal pronostico complesso.

Secondo la mia concezione (ecco, con questa premessa rendo ogni argomentazione soggettiva, e quindi priva della presunzione dell’assolutezza), un allenatore è una somma perfetta ma non compiuta di una serie di competenze, delle quali l’ottima conoscenza del gioco ne costituisce solo una parte.

Allenatore

Veniamo al caso. Pareri discordanti, dicevamo.

Partiamo dai pareri favorevoli.

Primo aspetto: Pirlo è stato eccellente giocatore

Dai piedi ottimi e dalla presenza sempre percepita favorevolmente dal gruppo dei giocatori e delle squadre per le quali ha militato. Requisito a mio avviso che dice molto di più del suo talento.

Pirlo alla Juve

Essere visto come parte integrante di squadre differenti testimonia una duttilità caratteriale, una personalità ed una identità non solo tecnica che non può che costituire un ottimo viatico per la carriera che si appresta a fare.

Secondo aspetto: conoscenza del gioco

Chi ha giocato molti anni a certi livelli il gioco lo conosce benissimo, ma se hai giocato nel ruolo di playmaker lo conosci senz’altro di più.

Non perché un difensore o una punta abbiano meno capacità di comprensione del gioco, ma indubbiamente se il gioco lo hai creato tu, e lo hai fatto benissimo e per molto tempo, penso che le tue capacità di compenetrarti in una dimensione che esula la tua individualità di giocatore costituisca un asset importantissimo per vedere le cose come coach.

Terzo aspetto favorevole: Pirlo, a detta di Ulivieri (uno dei responsabili dei corsi di Coverciano) è stato un allievo modello

Ha mostrato di conoscere il calcio a menadito (e questo lo avevamo supposto pure se non avesse frequentato il corso).

Non mi dilungherò su quanto un corso sia in grado di apportare significative competenze ad un allenatore specie per allenare a certi livelli, ma dirò subito che, sempre a mio sommesso avviso, da quel punto di vista la percentuale fa fatica ad arrivare alla doppia cifra.

Tra i pareri favorevoli si cita, in questi giorni, il paragone con esempi illustri che hanno fatto strabene nel passato, pur non avendo alcuna o poca esperienza come allenatore.

In casi simili si sono tirati in ballo mostri del calibro di Guardiola e Zidane. Paragoni difficili? Forse. Ma nella dinamica delle cose mi paiono azzeccati nel metodo, meno nel merito. Entriamo allora nel merito.

Cose negative:

Ovvio: la scarsa (o inesistente) esperienza di panchina. Vuol dire poco questo? 

Se esaminiamo i due big citati, non vorrei scomodare termini come carisma, personalità e via cantando, perché significherebbe porre il povero Andrea in una condizione di subalternità, e non me la sento per palese disconoscenza del suo livello nei temi suddetti.

Parlo solo di un’ultima cosa che a me pare evidente.

Un allenatore che si definisca efficace deve avere una certa capacità di persuasione, la qual cosa non equivale a manipolare, ma semmai a convincere i suoi giocatori ad abbandonare le proprie sacrosante individualità (la maggior parte dei giocatori nutre un egoismo che va spesso a discapito della complessità del gruppo).

Capacità di persuasione equivale in molti casi ad avere qualità comunicative e di estroversione che, devo essere onesto, in Pirlo ho notato assai poco.

Ovvio che il mio parere si fonda su quel che si vede (interviste, partecipazione a trasmissioni tv, ecc.) quindi mi rendo conto che, anche qui stiamo parlando di impressioni, ma non mi pare che il nuovo allenatore della squadra che è continuamente alla ricerca del tutto e subito, abbia mostrato scioltezza o approfondimento di argomenti e quindi concluso nel modo seguente.

Conclusione

Se Andrea dai piedi d’oro saprà unire alle indubbie conoscenze tecniche e tattiche da lui possedute, anche un netto miglioramento delle sue abilità di conoscenza dei complessi fattori umani che vanno sotto il nome di “dinamiche di gruppo”.

Dinamiche di gruppo

Saprà definire anche attraverso un netto incremento della sua capacità di comunicazione e di persuasione, un vocabolario che gli permetterà di gestire tanto la stella come l’ultimo ragazzo che viene dalle giovanili e coinvolgere tutti in una entusiastica partecipazione anche emotiva alle sorti del club che gli è stato affidato, beh, allora avremo probabilmente l’allenatore ideale.

Ed è, alla fine, quello che si augurano i tifosi della Juventus ed anche tutti quelli che sperano che un bravo e stimato giocatore senza alcun passato da allenatore possa diventare il coach del domani. 

Tanto come sempre, il campo rivelerà la verità. In bocca al lupo! 

In bocca al lupo

Di Dino De Angelis

Nessuna lacrima vada sprecata

Nessuna lacrima vada sprecata: parte 7 e 8 (finale)

Quali anomalie presentava il biglietto d’addio?

Che destino ha legato i quattro protagonisti di quella strana vicenda?

C’è un “codice Tenco” racchiuso nelle parole di una canzone a lui dedicata.

Scopriamolo assieme

parte 7

parte 8 (finale)

di Dino De angelis

Rassegan stampa

Rassegna stampa

Lo storyteller potentino e le olimpiadi del ’68

Questa mattina sui giornali la presentazione del nuovo format ideato dal nostro Dino De Angelis che, come annunciato, ci donerà, secondo la filosofia della nostra piattaforma, in modo totalmente gratuito.

Ciò che dobbiamo fare è dedicargli qualche minuto del nostro tempo e, magari, condividendo, quando e se vorrete.

Domani ed ogni giovedi, per un totale di 10 settimane, una puntata di 7 – 8 minuti del racconto “il gradino vuoto”.

Il senso di una sconfitta

Il senso di una sconfitta

Hai presente il primo allenamento della settimana dopo che la domenica hai perso una partita?

Osserva bene i giocatori quando entrano in palestra.

Ciascuno ha la sua reazione, questo è chiaro. Ma se stai attento ai loro sguardi, potrai notare una di queste due reazioni:

  • La prima è di frustrazione, questo atteggiamento riguarda quelli che magari avevano un certo grado di aspettative sulla partita.
    • Il loro sguardo è basso, il morale pure, sembrano cani bastonati.
  • La seconda reazione è di rabbia, e riguarda la maggior parte.
    • Non vedono l’ora che si giochi di nuovo, perché hanno dentro di loro il sacro fuoco della vendetta (sportiva, s’intende), e desiderano dimostrare che la sconfitta della domenica precedente era solo un episodio e vogliono riscattarsi. 
rivincita
Il significato della sconfitta sta tutto dentro questa parola: riscatto.

Riscatto è un termine che ha a che fare direttamente con la motivazione, ovvero quella cosa che, da sola, è in grado di spostare montagne. Non c’è spinta più forte di questa, per migliorarsi.

Riscatto è una parola di fuoco. Contiene ogni elemento che è in grado di spingere i propri sforzi ad un livello inimmaginabile di prestazione.

Se un giocatore potesse attingere a questa forza anche dopo aver vinto, beh, nel mondo ci sarebbero tanti Kobe Bryant.

E invece di gente così ne nasce una ogni cinquant’anni.

E qui entriamo nella parte opposta del discorso:

gli atteggiamenti inconsci determinati da una vittoria.

È rarissimo che un giocatore che abbia vinto una o più partite di fila, abbia quella rabbia agonistica, quella giusta energia mentale (è di questo che stiamo parlando se non si è ancora capito) per affrontare la preparazione settimanale con lo spirito di chi chiede a sé stesso di arrivare sempre un passo avanti.

Certo, dirai, la vittoria ti regala una cosa impagabile, che consiste in quella sicurezza, quella freddezza e quella confidenza che danno maggiore fiducia nei propri mezzi, e che forse, se hai accumulato “self confidence”, quando la partita si fa decisiva, forse avrai anche un piccolo vantaggio nei confronti di chi, suo malgrado, ha più paura di rivedere il mostro, di chi teme che dentro quel baratro si possa sprofondare, una volta ancora.

Prendiamo il tennis.

Altro sport con una spiccata connotazione mentale.

Non ho le statistiche aggiornate, ma giurerei che, in un match con valori che sono pressappoco equivalenti da un punto di vista tecnico, il giocatore che vince il primo set, il 50% delle volte perde il secondo, e la ragione sta sempre dentro quelle due paroline magiche: motivazione e senso di riscatto.

Il giocatore che ha appena portato a casa la prima partita subisce un inconscio calo di tensione, una specie di impulsivo appagamento, mentre il giocatore che ha perso il primo set è costretto a raddoppiare gli sforzi per restare in partita.

Unisci magicamente questi elementi e il gioco è bello che fatto.

Uno a uno e palla a centro.

Non so se esiste una ricetta per evitare cali di tensione in caso di vittoria né per escludere quel senso di insicurezza che deriva da una sconfitta.

So però di sicuro che la sconfitta aiuta, eccome, a ripartire meglio, a farsi più domande, a indagare meglio sulla preparazione, a mettere in campo più energie, più attenzione per evitare il ripetersi di questo evento.

E tutto questo porta ad un innalzamento della preparazione finalizzata alla performance che coinvolge tutti: giocatori, staff, società.

Uno dei possibili rimedi sarebbe riuscire ad azzerare ogni contraccolpo psicologico derivante dal risultato e concentrarsi invece solo sulla prestazione.

Questa è l’unica àncora di salvezza per restare concentrati sul mezzo (allenarsi al meglio) e non sul fine (risultato). Ma è obiettivamente una cosa assai difficile da fare, per il cervello.

squadra che si allena

Non a caso, nel periodo in cui ho avuto il piacere di allenare, ripetevo spesso

che una squadra vincente è quella che si allena sempre con lo spirito di una squadra che ha perso“.

Ma dentro di me sapevo che dei semplici concetti non si tramutano in azione per il solo fatto di enunciarli.

di Dino De Angelis

cielo azzurro Tokyo

Nel cielo azzurro di Tokyo

Non ci sembrava vero quando Jacobs passò per primo al traguardo dei 100 metri, dovemmo rivedere il replay più volte per convincerci che, dopo i grandi mostri sacri del passato da Carl Lewis a Usain Bolt, toccasse proprio a un italiano!

L’Italia che a quella gara non era mai neppure arrivata in finale da…

…tempi immemorabili (Mennea nel 1980 nella specialità era arrivato in semifinale).

Inaspettato

Poi arriva questo ragazzotto di colore ed origini texane ma cresciuto in Italia fin da bambino, che addirittura ha anche più di qualche difficoltà a parlare inglese, a regalarci non solo la finale, ma addirittura la medaglia più ambita!

Lo abbiamo dovuto vedere più volte senza nemmeno respirare quello sprint pazzesco che ha regalato un successo insperato e, per questo, ancora più bello.

E già in Italia si gridava al miracolo:

tralasciando le attribuzioni di paternità geografica dell’atleta che provengono nientedimeno che dal presidente della regione Lombardia della Lega, ovvero di quel partito che più degli altri è assolutamente contrario all’immigrazione!

mentre tutti i “sani di mente” ponevano l’accento sul fatto che ormai le società sono multietniche e multirazziali, altrimenti non vedremmo, ad esempio, in Francia una quantità inimmaginabile di uomini e donne di colore, tanto nella società civile che sui vari campi sportivi.

Ma si sa, ormai tutto si butta in caciara (cioè in politica) ed ogni pretesto è buono per affermare i propri convincimenti o contrastare gli avversari.

Ragion per cui cercheremo di non cadere nella trappola e considerare questi atleti per ciò che sono, ovvero dei semplici figli della multirazziale società contemporanea.

Ma la cosa mica finisce qui

Con la vittoria di Jacobs ci sentivamo già sufficientemente appagati, mentre pochi minuti prima di quella gara un altro atleta (stavolta nato e cresciuto in Italia) ci regalava l’oro nel salto in alto:

Gianmarco Tamberi

In pochi minuti eravamo diventati la nazione che correva più veloce e saltava più in alto del mondo.

Ora non so se ti capaciti di quello che questa cosa vuol dire, ma di suo ha un’importanza enorme.

La avrebbe ovviamente per qualunque paese, ma per l’Italia di questo 2021 ne ha ancor di più.

Un paese che:

  • pare uscire come un gigante dal periodo più buio che l’umanità abbia passato
  • poche settimane prima era uscita vincitrice da una competizione sportiva europea nello sport più amato battendo l’Inghilterra
  • si qualifica alle Olimpiadi anche nel basket dopo non so più quanti secoli e fa pure una eccellente figura prendendosi il lusso di giocarsela punto a punto persino con i vice campioni del mondo (Francia)
  • complessivamente rafforzando un po’ dappertutto la propria presenza in ambito sportivo in discipline che per decenni non ci vedevano più ai vertici.

Nel frattempo arrivano anche altre medaglie, qualcuna pure particolarmente preziosa:

e tutti i telecronisti a dire in coro la stessa cosa:

“e non finisce qui”.

Pare una canzone di Mia Martini, “E non finisce mica il cielo”, e per la spedizione azzurra a Tokyo 2021quel cielo pare proprio un empireo.

Poi, insperatamente, ancora una volta come molte altre gare, arriva un’altra affermazione di quelle che nessuno ci credeva:

l’oro nella staffetta 4×100

In questa staffetta (manco a dirlo) corrono due atleti di colore, tra cui Eseosa Desalu (ma abbiamo detto di non buttarla in casciara, e allora niente).

C’è ovviamente ancora Jacobs che corre la seconda frazione e nei suoi 100 metri ne guadagna tanti, ma non basta ancora e Lorenzo Patta.

Finchè un sardo milanese, Tortu (quello della pubblicità della fibra ottica) fa capire che hanno scelto il testimonial giusto e si va a prendere (ancora una volta contro gli inglesi) l’ennesimo oro per i nostri colori.

È un tripudio azzurro e tutti continuano a dire: “e non finisce mica il cielo”.

E allora che questo cielo si riempia ancora “di sole e di azzurro”.

Di Dino De Angelis