Potrebbe sembrare strano ma tante sono state le emozioni che si sono susseguite prima – durante e dopo il lancio del blog.
Una su tutte l’incertezza sull’essere in grado di…
…avere la costanza necessaria per tenere alte le aspettative, nonostante tutto il progetto rimanga basato su un’idea senza scopo di lucro bensì di semplice divulgazione e scambio d’idee.
Non era scontato riuscire ad arrivare alle persone in modo spontaneo e collaborativo, seppur con l’aiuto di autorevoli ideatori d’interessanti articoli
Di sicuro la voglia di mettere in pratica questo progetto era tanta quindi ho messo da parte tutti i timori che oggettivamente avevo e sono andato dritto all’obiettivo
I punti di forza
Non è facile affermare se sono stati raggiunti i traguardi prefissati anche perché possono cambiare da persona a persona ed essere misurati su basi diverse:
numero di utenti raggiunti (90000 circa)
tempo trascorso sul proprio blog (12 minuti ad utente):
numero di lettori che hanno letto fino in fondo gli articoli (52000 circa)
la quantità di articoli prodotti (130 circa)
il monitoraggio delle newsletter
Ma come in matematica anche in questo caso i numeri devono essere verificati (la prova del 9) ed io l’ho fatto soprattutto tramite le miriadi di email e messaggi che ho ricevuto e ricevo in privato
Le difficoltà
È stato un duro lavoro:
impegnarsi a formulare,
impaginare
anche gli articoli dei tanti amici che hanno collaborato
rendere quando più leggibile possibile ciò che si voleva trasmettere
investire in tempo ed energia
trovare il giusto equilibrio tra
la qualità degli argomenti
la puntualità nella pubblicazione
la quantità mensile degli articoli
Grazie ai “cosiddetti” esperti
Senza di loro sarebbe stato impossibile raggiungere questi grandi obiettivi.
La particolarità, l’originalità, il valore degli articoli e degli argomenti trattati hanno fatto in modo da dare pregio e finalizzare quanto avevo da tanto tempo nella mia testa.
Li rinomino singolarmente perché ci hanno donato, gratuitamente, delle loro riflessioni ed osservazioni nello spirito della formazione comune.
Visto che il grafico delle visualizzazioni è in continua crescita viene da sé che il primo obiettivo non è continuare a salire (me lo auguro comunque) ma rimanere costanti nelle aspettative.
Cercheremo di continuare a pubblicare articoli di buona qualità trovando un modo per stimolare e coinvolgere i tanti lettori nelle pubblicazioni inerenti alle tematiche del blog.
Si punterà a raggruppare i tanti articoli pubblicati in categorie visibili per facilitare la consultazione ed in previsione creare una newsletter
Dopo un anno di lezioni “in remoto”, finalmente ho parlato con…
…i miei studenti, li ho osservati, li ho guardati negli occhi, mi sono emozionato e ho trasmesso loro questo messaggio:
“Non ho la pretesa di farvi diventare dei giocatori di pallacanestro, vorrei solo che voi diventaste dei bravi Insegnanti, quindi ………. parleremo sì di basket, ma il mio obiettivo principale è quello di
Ho detto loro, volete diventare Insegnanti speciali?
Follow me…queste sono le raccomandazioni da seguire.
1) l’autorevolezza
Deve essere la vostra prima qualità.
Vi dà credibilità e vi fa diventare un punto di riferimento per i vostri allievi e ciò che dite, assume per loro un significato di “verità”.
Se ne accorgono subito e vedono in voi la serietà e vi seguono.
L’autorevolezza diventa progressivamente sicurezza e rafforza la vostra personalità che, con il passare del tempo, diventa
coerenza
convinzione
capacità
di svolgere bene il vostro ruolo all’interno del gruppo.
L’autorevolezza non è autoritarismo, non è “potere”, l’autorevolezza:
affascina, coinvolge ed emoziona.
2) la seconda qualità è la partecipazione.
La vostra deve essere una presenza attiva, animata dalla voglia di fare, di fare sempre meglio, di dare e di arricchire.
Questa voglia si misura con il desiderio di entrare in palestra, nel campo di gioco, in piscina, con entusiasmo e con la voglia di trasmettere e di coinvolgere: non deve essere una “routine”!
Guardateli negli occhi, vi diranno subito di quello che hanno bisogno.
La vostra partecipazione è condizionata dal modo di pensare, dallo sforzo di percepire o di far percepire qualsiasi esercizio o gioco in modo accattivante, interessante, curioso, in una versione sempre nuova, perché:
nulla rimane immutato e voi dovete coglierne le novità.
La vostra partecipazione deve essere anche affettiva e deve esprimere la voglia di trasmettere ciò che sapete e che avete raggiunto in anni di studi, di ricerche, di confronti, di approfondimenti e di aggiornamenti.
Il vostro deve essere un “sapere” che si coniuga con la passione e con il piacere di trasmetterlo agli altri.
Il “piacere di insegnare”, nessun lavoro, nessuna professione, senza il “gusto” di compierlo, può risultare gratificante, quindi efficace e proporzionato al gradimento dei vostri allievi, che lo dimostreranno stando attenti, coinvolti e appassionati a ciò che voi trasmettete.
3) la terza qualità è il ruolo, il vostro ruolo
Ogni ruolo ha una sua liturgia che deve essere mantenuta.
Non vi è concesso di diventare amici dei vostri allievi.
Il vostro ruolo è sacro, non è una missione e la sacralità del vostro ruolo è fondata su un sapere razionale, ha un sapore fascinoso, misterioso, perché il mistero rimane dentro il pensiero umano.
Voi non siete il padre o la madre dei vostri allievi, non siete il loro amico, non siete lo psicologo che li deve accompagnare nel cammino della fanciullezza.
Siete un uomo o una donna con l’incarico di fare il direttore d’orchestra dove ognuno degli orchestrali suona il proprio strumento (chi bene e chi male, ma tutti suonano) e voi avete il dovere di accompagnarli e di farli “crescere”.
E ricordatevi che dovete indossare un abito consono alla cerimonia, alla cerimonia dell’insegnamento e dell’apprendimento.
4) la quarta qualità è “fateli star bene”
La palestra, il campo di gioco, la piscina devono essere un’oasi di pace.
Fuori può regnare il caos, ma nella vostra palestra e nel vostro campo di gioco, i vostri allievi devono sentirsi al sicuro, deve regnare:
l’ordine
la giustizia
la stima
la collaborazione
la creatività
la voglia di sicuro,
fateli imparare.
Fateli stare bene i vostri allievi.
La palestra, il campo di gioco, la piscina sono un banco di prova per la vita futura e voi potete solo aiutarli ad essere pronti per affrontarla.
Fate capire loro che eccellere costa, imprimete nella loro mente che se vogliono veramente ottenere qualcosa di importante, devono impegnarsi e sacrificarsi.
Conclusioni
“Voi dovrete diventare degli Insegnanti, degli Istruttori, degli Allenatori, degli Educatori… “in gamba”.
Dovrete lasciare in eredità ai vostri allievi la gioia di giocare, di divertirsi e la voglia di migliorare! Dovrete saper “leggere” nei loro occhi ciò che desiderano e se sarete in grado.
Cercate di far diventare lo sport che praticano un’avventura e non una marcia forzata per eccellere.
Dovrete essere una guida preziosa:
camminate accanto a loro
lasciateli esplorare
inventare
creare
indagare
e, se sarete stati per loro degli Insegnanti “speciali”, non vi dimenticheranno mai e sarete ricordati
Non si è bravi Insegnanti se si conoscono 100 esercizi, si è bravi Insegnanti se si conosce a che cosa serve un esercizio, perché lo si propone e soprattutto che effetti produce.
Martedì e mercoledì: era come se fosse stata la mia prima volta da Insegnante!
A parte il fatto che molti Insegnanti (quelli bravi!) hanno già “in tasca” le “competenze non cognitive”.
Queste competenze se le sono fatte attraverso le conoscenze, con l’esperienza, con l’umiltà, con la perseveranza, frequentando Convegni, Forum e Corsi di formazione, anche perchè si sono accorti che non basta la laurea.
Le domande
Ma scusate un Insegnante “formato”:
In Università non dovrebbe già essere in grado di “gestire” il gruppo classe?
Non dovrebbe già essere in grado di gestire l’ansia?
L’empatia non si insegna, o ce l’hai o non ce l’hai?
Ma cosa mi venite a dire!!!
Praticamente ci si è accorti che fino ad ora non sono stati formati “BENE” gli Insegnanti e allora ecco che saltano fuori dal cilindro “le competenze non cognitive”.
La proposta
La proposta prevede una sperimentazione che sia inclusiva e che valorizzi delle competenze extradisciplinari, con l’obiettivo di incrementare le “life skills” (abilità che portano a comportamenti positivi e che rendano l’individuo capace di adattarsi, di far fronte in maniera efficace alle sfide della vita di tutti i giorni).
Il progetto “pilota” prevede che gli Insegnanti
stimoleranno abilità non direttamente legate al processamento delle informazioni
ma alle caratteristiche individuali, legate agli ambiti emotivi, psicosociali e a caratteristiche di personalità.
allenando il pensiero creativo e quello critico, cosa assolutamente indispensabile in una società soggetta costantemente agli attacchi di fake news e al peso dell’omologazione.
E poi ancora la capacità di prendere decisioni e risolvere problemi.
Ulteriore domanda
Non pensate che molte famiglie e molti Insegnanti abbiano da tempo intrapreso questa strada?
Sì è vero ci sono Insegnanti (con la i minuscola) che:
non sanno gestire il gruppo classe,
non sanno insegnare,
puniscono,
poco empatici,
non sanno trasmettere
curiosità, interesse ed emozioni.
Forse, prima di dare loro in mano “le chiavi” dell’insegnamento non era meglio fermarli?
Conclusione
La proposta di legge introduce, quindi, l’avvio a partire dal 2023 ad una sperimentazione nazionale triennale per attività finalizzate allo sviluppo delle competenze non cognitive nei percorsi delle scuole di ogni ordine e grado.
Sarà un metodo che recupererà anche i soggetti più difficili e che potrebbe ridurre anche il fenomeno dell’abbandono scolastico.
…già durante la prima infanzia è possibile individuare oltre cento differenze tra i maschi e le femmine:
la differenza riguarda i due emisferi cerebrali.
Oggi si conosce che in entrambi i sessi la parte sinistra è specializzata nel linguaggio e nelle funzioni logiche, mentre quella destra è specializzata nelle funzioni emotive, affettive e percettive.
I due emisferi sono collegati da un ponte di fibre nervose che consente ai due emisferi di scambiarsi le informazioni.
Le ultime ricerche
Ultimamente alcune ricerche hanno dimostrato che questo ponte nelle femmine è molto più voluminoso rispetto ai maschi e ciò comporta una maggiore integrazione tra le funzioni dei due emisferi e quindi una loro minore reciproca autonomia.
Questo permette alla femmina di mutare più facilmente i propri punti di vista e di interagire meglio con l’ambiente.
La femmina utilizza in misura maggiore l’emisfero destro che le permette di compiere azioni mentali in parallelo ed è più legato alla sfera emozionale e al linguaggio analogico.
E’ sicuramente più intuitiva del maschio perché il suo cervello è meno rigido del maschio.
Le femmine hanno la capacità di riconoscere azioni intuitive in soli 200 millisecondi, mentre i maschi sono molto più lenti.
Da studi recenti risulta che le femmine utilizzano entrambi gli emisferi, mentre i maschi ne utilizzano uno solo:
percezione spaziale, esatta sequenza delle azioni da compiere.
La femmina nello spostarsi nello spazio ha bisogno di punti di riferimento mentre il maschio riesce spesso ad andare a intuito.
Le femmine sono migliori dei maschi nelle funzioni del linguaggio, mentre i maschi sono più dotati delle femmine per:
i ragionamenti matematici e meccanici,
nei compiti visivi,
nell’immaginare la traiettoria di un oggetto che si sposta o è lanciato.
La femmina è molto più resistente del maschio:
agli stress sia in campo fisico che fisiologico,
ha una attività di comunicazione e di comportamento sociale migliore rispetto al maschio,
è più rapida e completa
perché la sua natura le consente una migliore integrazione tra pensiero ed emotività.
Purtroppo sono i genitori a differenziare maschi e femmine, imponendo una differenza culturale (es. giocattoli, giochi e giochisport per i bambini e per le bambine).
E’ una questione di cultura motoria e sportiva!
Nel Minibasket
Per quanto riguarda il Minibasket a 6 anni esistono già differenze e disparità tra maschi e femmine.
La bambina ha minori disponibilità per quanto concerne la coordinazione senso-motoria, specialmente negli aspetti dinamici (ricevere e passare la palla in movimento) e per quanto riguarda la coordinazione dinamica generale.
La femmina durante il gioco è più fantasiosa, può percepire una serie di variabili e spesso prende decisioni importanti con un’alta probabilità di successo.
Nei gruppi misti le femmine sono meglio dei maschi dal punto di vista motorio, fanno amicizia più facilmente anche con i maschi (che non vogliono assolutamente giocare con le femmine), i maschi invece sono più aggressivi, scoordinati e impulsivi.
Le femmine possiedono una maggiore mobilità articolare e un miglior equilibrio rispetto ai maschi, sono meno coordinate dei maschi per quanto riguarda il lanciare e il ricevere.
Hanno paura del contatto e del “touching” sulla palla, sono meno aggressive dei maschi, sono uguali ai maschi per quanto riguarda il controllo della respirazione e la strutturazione spazio-tempo.
Fino a 11 anni la differenza tra maschi e femmine, per quanto riguarda la forza, è minima, poi a partire da quest’età l’incremento è maggiore nei maschi.
Dopo la pubertà i maschi hanno in media una forza che è di circa il 40% superiore a quella delle femmine.
Il Minibasket femminile
In Italia negli ultimi anni c’è stata una limitazione nell’avviamento delle bambine al Minibasket, in quanto ritenuto dai genitori un giocosport adatto ai maschi e per molte famiglie per le femmine è meglio la pallavolo, la danza, la ginnastica artistica, il pattinaggio, ecc.
E’ un discorso culturale, l’attività sportiva è per tutti, maschi e femmine indiscriminatamente!
Molte regioni “faro” nel Minibasket e nel basket giovanile femminile negli anni ’80-’90 e 2000:
Lombardia,
Emilia-Romagna,
Veneto,
Friuli Venezia Giulia,
Lazio,
Sardegna,
Puglia,
Piemonte, ecc.
oggigiorno hanno pochissime “adepte”, il Minibasket femminile e il basket giovanile non sono più “appetibili” e sicuramente non si risolve il problema con:
Insegnare a insegnare deve essere una componente fondamentale dell’azione dei docenti universitari.
E’ assodato che ogni Docente ha cercato e cerca di sviluppare “le proprie tecniche” per svolgere al meglio questo compito.
Nella maggior parte dei casi ha costruito la propria competenza in solitudine, oppure partecipando a Seminare e a Corsi di formazione.
L’Università non lo ha aiutato molto e non gli ha fornito gli elementi necessari per insegnare.
Bisogna “crescere” nella formazione, formare deve essere l’obiettivo per ogni Docente universitario!
In Università manca un momento di confronto comune con i colleghi:
uno scambio di idee sulle metodologie adottate,
una condivisione di pratiche e strumenti utili a innalzare la qualità della didattica e dell’apprendimento degli studenti.
INSEGNARE A INSEGNARE ATTRAVERSO LA DIDATTICA
Insegnare a insegnare deve essere il MANTRA in Università, per chi deve formare chi ha scelto di Insegnare a scuola, nello sport e nel mondo della disabilità.
Un Mantra che mira a rafforzare le competenze didattiche dei Docenti Universitari (Formatori), per innalzare la qualità degli insegnamenti e incoraggiare una didattica innovativa.
Si deve fare affidamento alle più recenti teorie della ricerca in campo didattico:
puntare alla centralità di chi apprende, attraverso modelli riflessivi (“reflective learning”)
esperienziali (“experiential learning”)
trasformativi (“trasformative learning”).
I PRINCIPALI OBIETTIVI
Ad esempio gli obiettivi fondamentali da fornire ai futuri Insegnanti durante le lezioni sono:
fornire loro le competenze di base per
progettare, condurre, comunicare e valutare l’attività di insegnamento e apprendimento svolta in aula;
costruire una comunità professionale che, interagendo attivamente al suo interno,
elabori, approcci, strategie, metodologie e pratiche volte a migliorare costantemente la propria pratica didattica.
La laurea ti abilita all’insegnamento?
La laurea non ti abilita all’insegnamento.
Sarebbe molto utile predisporre, post-laurea, un Corso di preparazione all’insegnamento per chi insegnerà nella Scuola Primaria, nella Scuola Secondaria oppure a livello universitario.
Pertanto basta con le lezioni frontali, con gli esami a crocette, con materie che servono a poco, con il didatticismo.
E’ opportuno attuare un percorso formativo che si struttura secondo un’organizzazione modulare costituita da temi importanti quali:
incontri frontali condotti in forma interattiva;
workshop pratici finalizzati alla sperimentazione di procedure, tecniche e strumenti per l’azione didattica;
valorizzazione delle disabilità e i percorsi da attuare.
Proposta formativa
Questa proposta formativa deve essere un impegno delle Università per cambiare gli ordinamenti delle materie contemplate nel percorso degli studi.
Deve essere rivolta a tutti i Docenti interessati a migliorare la qualità didattica e professionale attraverso:
progettazioni di corsi di insegnamento a seconda della scuola;
in F.I.B.A. in qualità di Formatore degli Istruttori Minibasket;
migliaia di Corsi di Formazione, Clinic, Convegni, Forum in Italia e nel mondo;
vi presento alcune Regole fondamentali da seguire maturate in questi anni di esperienza diretta.
Cercare di superare la paura di parlare in pubblico
Per superare questo ostacolo ci si deve allenare costantemente e grazie all’esercizio continuo, “il parlare in pubblico” diventerà un piacere e non un’angoscia. Nella maggior parte dei casi il timore di affrontare la platea è legato all’inesperienza.
Lo stress colpisce soprattutto i neofiti che si sentono inadeguati in quella determinata circostanza.
Occorre prepararsi in modo adeguato
E’ sbagliato imparare a memoria il discorso, ai fini di evitare improvvisi vuoti mentali e se si memorizza il discorso parola per parola, si rischia di dimenticare tutto non appena si inizia a parlare.
L’importante è avere in testa i “concetti chiave” da cui partire per elaborare un’esposizione efficace:
Organizzare il discorso in sequenza
Ogni discorso (che deve essere preparato precedentemente), per essere più chiaro ed efficace, deve essere “strutturato” secondo una sequenza basata sullo spazio, sul tempo o su specifiche tematiche:
l’atteggiamento mentale dell’oratore influenza anche quello degli ascoltatori.
Se l’oratore è indifferente, anche gli ascoltatori saranno indifferenti, quindi per suscitare sensazioni positive bisogna credere profondamente in ciò che si dice, mostrando spontaneità e sincerità.
Durante il discorso è importante raccontare le esperienze “vissute” e utilizzare supporti visivi.
Un segreto per “essere vincenti” e catturare l’attenzione del pubblico in sala, è quello di parlare del proprio “background”, raccontando alcuni episodi della propria esperienza personale.
Se si vuole “catturare” l’attenzione della platea, è importante puntare non solo sul valore delle parole, ma anche sulle emozioni che le immagini e i video trasmettono
Conclusioni
Queste sono le “mie” regole per parlare in pubblico, spero di avervi trasmesso un po’ più di sicurezza e determinazione!
La scuola italiana si appresta all’inizio delle lezioni in un’atmosfera di grande incertezza e preoccupazione.
Le rassicurazioni che il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi dispensa quotidianamente a piene mani sui Media, TV, Tgcom2, FB e Social, le sue strombazzate del tipo:…
Le scelte del governo sono?
E’ chiaro che le scelte del Governo non permettono ancora una volta un inizio delle lezioni sereno e sicuro, perchè:
Su nessuno di questi problemi fondamentali si sono fatti passi avanti significativi e pensare che il Governo ha avuto l’estate a disposizione per porvi rimedio.
E ancora
La “cabina di regia” ha concordato il “green pass” obbligatorio per:
il personale della scuola (Dirigenti, Insegnanti e Personale ATA e chi non è in regola sarà considerato assente ingiustificato e …… perderà lo stipendio);
i docenti universitari;
gli studenti universitari;
gli allievi delle scuole superiori con più di 16 anni.
Per quanto riguarda la vaccinazione obbligatoria resta aperta la discussione in merito al tampone (con prezzi calmierati).
L’ipotesi della gratuità dei test anti-Covid, spiegano fonti di governo, è stata scartata perché avrebbe potuto disincentivare i più giovani a immunizzarsi.
E allora cosa fa il Ministro MIUR Patrizio Bianchi?
Fa scattare disposizioni ipocrite come quella del metro (flessibile) di distanziamento,
così nessuno dei Dirigenti Scolastici sa come effettuare i tanti controlli previsti e soprattutto, ancora una volta, non è garantita la copertura di tutte le cattedre in autunno e forse fino a Natale.
Vuole creare un’app “ad hoc” per controllare il “green pass” degli Insegnanti e personale scolastico che funzionerà con un sistema a semaforo:
disco verde per chi è in regola;
quello rosso per chi ha il certificato scaduto.
Afferma inoltre:
“E’ tempo di fare una RIFORMA DELLA SCUOLA e non ho paura di usare questa parola.
Nel programma “Scuola d’estate” abbiamo messo molte risorse, soprattutto al Sud e abbiamo risposto a problemi specifici dei ragazzi.
Uno dei nostri punti di forza è stata l’inclusione sociale unita alla nostra tradizione umanistica, che siamo riusciti a “legare” ai nuovi approcci tecnologici.
Da questo partiremo quest’anno per fare un grande cambiamento”.
E bravo il Ministro, ha trovato la “formula magica”: Riformare la Scuola Italiana!
In questi ultimi anni sono cambiati tanti Ministri dell’Istruzione (a seconda dei “colori politici”) e ognuno ha parlato di riforme, di programmi (“La Buona Scuola, sic!), di ………, ma non è cambiato niente o quasi.
Conclusioni
Invece di controllare il “green pass” per il personale scolastico, sarebbe ora di:
costruire nuovi edifici scolastici;
creare classi aperte, funzionali, moderne, a misura di alunno, studente;
costruire nuove palestre, piscine e impianti polivalenti;
predisporre nuovi programmi “al passo dei tempi”, moderni;
preoccuparsi delle disabilità scolastiche e creare strutture idonee “ad hoc”;
migliorare i trasporti;
rivalutare la professionalità del personale scolastico (Dirigenti, Insegnanti e personale ATA).
Ma purtroppo quest’anno all’inizio della scuola si delinea la seguente situazione e …….. questo è il quadro che il Governo ci ha preparato una scuola:
meno sicura;
che colpisce il diritto allo studio dei ragazzi/e più fragili;
che registra carichi di lavoro fuori da ogni contrattazione per docenti e personale ATA;
IN ITALIA A LIVELLO GIOVANILE SI PRATICA POCA ATTIVITA’ SPORTIVA E L’ABBANDONO AUMENTA
In Italia, a 18 anni, meno di 1 adolescente su 3 pratica qualche attività sportiva o fisica e i tassi di sedentarietà sono da record.
Il problema è…
…il cosiddetto “drop out” (abbandono precoce) che inizia già a 11 anni:
a 15 anni meno di un ragazzo su 2 pratica attività sportiva continuativa,
a 18 la pratica poco più di uno su 3 e i tassi di sedentarietà nel nostro Paese sono tripli rispetto a quelli delle altre nazioni europee.
Per non parlare della Scuola Primaria dove il movimento
Dopo la Scuola Primaria
Dopo la Scuola Primaria i ragazzi italiani cominciano ad allontanarsi dalla pratica sportiva continuativa e ingrossano le fila dei sedentari.
A maggior ragione da marzo 2020 con la pandemia, che ha fatto crollare il gioco, il movimento, l’E.F. e ha aumentato di fatto la sedentarietà con conseguente aumento di peso, noia e ……. è meglio rimanere nella “bolla” di casa” e giocare con:
lo smartphone
il telefonino
la TV
Lo spartiacque
E se finora l’età spartiacque era quella tra i 14 e i 15 anni, negli ultimi anni si è osservato che il trend negativo comincia già a 10- 11 anni.
Infatti tra il 2018 e il 2019 la quota di ragazzi/e praticanti un’attività sportiva in modo continuativo è diminuita nella fascia d’età 11-14 anni, passando dal 53% al 60,4%, percentuale che tra i 15 e i 17 anni diventa del 52,5% e si assesta al 40,7%, tra i 18 e i 19 anni:
una parabola discendente preoccupante con il crescere dell’età!
Non abbiamo i dati dal 2020, ma sicuramente la percentuale è aumentata di sicuro!
L’abbandono e la sedentarietà
Preoccupante non è solo l’abbandono della pratica sportiva in età preadolescenziale e adolescenziale, ma quello che è pericoloso è l’elevato numero di sedentari assoluti, di coloro che non praticano nessuno sport, né alcuna attività fisica e questo fenomeno riguarda soprattutto le ragazze, in una percentuale che va dal 28% (tra i 15 e 17 anni) al 36% (tra i 18 e i 19 anni).
Per non parlare dei bambini!
Le nuove tecnologie
I sociologi, gli psicologi, i pediatri non hanno dubbi sui colpevoli del divorzio tra adolescenti e sport: le nuove tecnologie!
Infatti i giovani d’oggi trascorrono dalle 3 alle 4 ore al giorno davanti a uno schermo TV, computer o smartphone che sia.
Ma questo non basta a spiegare perché il tasso di sedentarietà degli adolescenti italiani sia più che triplo rispetto a quello dei loro coetanei europei (24,6% contro 7% nella fascia di età 15-24 anni), che non sono da meno dei ragazzi italiani nell’uso di tecnologie digitali, né per abilità né per tempo trascorso.
Alcune indagini svolte a “random” tra i giovani adolescenti in alcune città italiane, hanno evidenziato due principali motivi di abbandono sportivo:
uno legato all’eccessivo impegno richiesto dallo studio (56,5%);
l’altro riconducibile alle modalità di svolgimento dell’attività fisica.
Perché?
Queste le risposte relative all’indagine svolta: perchè
“fare sport è venuto a noia” (65,4%);
“costa troppa fatica” (24,4%);
costa troppo in termini economici (32%);
“gli Istruttori e gli Allenatori sono troppo esigenti”
e non sanno insegnare (19,4%).
Cosa bisogna fare?
Per riavvicinare gli adolescenti all’attività fisica e sportiva, bisogna offrire loro nuovi stimoli.
L’agonismo esasperato dei giorni nostri, le aspettative e le pressioni eccessive dei genitori e degli Allenatori, rischiano di allontanare i giovani dallo sport.
Occorre valorizzare di più l’attività fisica anche non strutturata e la pratica sportiva non agonistica e questa è una sfida che deve coinvolgere anche le Società Sportive.
E partire anche dai bambini?
E riscoprire la Multilateralità e il “giocare a tutto” e poi scegliere?
La Scuola
Ma il ruolo centrale di questa valorizzazione spetta alla SCUOLA, soprattutto in quella secondaria inferiore e superiore.
L’Educazione Fisica è parte integrante dello sviluppo psicofisico degli adolescenti:
lo sanno bene Paesi come la Francia che dedicano a questa attività il 15% dell’orario complessivo scolastico, percentuale che scende al 7% per gli studenti italiani.
Circa un terzo dei Paesi europei sta lavorando oggi a riforme che riguardano l’Educazione Fisica con interventi di vario tipo volti ad aumentare l’orario minimo, diversificare l’offerta, promuovere la formazione di coloro che la insegnano.
Per non parlare della Scuola Primaria e della “non importanza” dell’E.F. nel contesto delle altre Educazioni!
E in Italia?
Due ore di E.F. (scusate Scienze Motorie!) nella Scuola Secondaria di 1° e di 2° grado, poco o niente di Educazione Fisica (così giustamente si chiama) nella Scuola Primaria, niente nella Scuola d’Infanzia.
“Ogni bambino possiede delle capacità (DNA, esperienze,…..) e in base alle sue capacità è in grado di sviluppare delle competenze e se tu, Istruttore, vuoi migliorare le sue competenze, devi metterlo in condizione di aumentare le sue conoscenze”.
Un bambino pensa e esegue in base alle proprie conoscenze e alle proprie capacità, altrimenti non diventerà mai compente e abile nell’eseguire un gesto o un movimento.
Ora si parla di apprendimento cognitivo, ma prima che apprendimento era?
Il cognitivismo esisteva già dal 1981 e ancora prima! Mi ricordo che dal 1981 parlavo di tassonomia, di conoscenze, di capacità e di competenze.
Insegno in Università Cattolica (Scienze della Formazione) da oltre 35 anni e ricordo agli addetti ai lavori che i progetti devono essere scientificamente codificati (con un gruppo di controllo) e non astratti!
Oggi si parla di neuroscienze, ma prima non si lavorava sulla lateralità, sulle funzioni dei due emisferi, sullo spazio, sul tempo?
Mi sembra il gioco delle “tre carte”!
Molti bambini non:
conoscono che cosa possono fare con il proprio corpo
quindi è importante aumentare la conoscenza degli schemi motori di base e posturali;
conoscono lo spazio
quindi è importante educare lo “spazio topologico”, migliorando le conoscenze spaziali;
prendono delle decisioni
quindi è importante fornire loro delle conoscenze relative al “making”;
sono in grado di modificare una iniziativa presa inizialmente
quindi dobbiamo migliorare le conoscenze alternative;
padroneggiano determinati movimenti con la palla
quindi “manualità” e aumento dei gesti di manipolazione
più conoscenze un bambino possiede più è in grado di “gestire” il movimento;
conoscono “i fondamentali individuali”
quindi sarebbe opportuno aumentare le conoscenze sui fondamentali.
E mi fermo qui! Potrei continuare…
IL MIO PENSIERO
Lavorare SOLO per competenze?
Aumentare le conoscenze per diventare più competenti?
Gli studenti hanno il diritto di avere gli Insegnanti migliori!
Non si può avere il meglio se non si preparano gl’insegnanti al meglio.
Anche nello sport i bambini e i giovani hanno diritto di avere Istruttori e Allenatori migliori.
La tessera non qualifica!
Insegnare è…
…un’arte e come ogni forma d’arte è sinonimo di:
passione
creatività
dedizione
condivisione
Un Insegnante, un Istruttore, un Allenatore, esattamente come un artista, mette se stesso, il suo sapere e il suo ingegno a disposizione degli altri (studenti, bambini, giovani), affinché la società esca migliorata dal percorso fatto insieme.
Tutti possono insegnare?
Se un laureato al concorso per entrare di ruolo come Insegnante ha risposto bene ad una prova con domande a crocette, se ha superato la prova scritta ed è stato “un fine dicitore” alla prova orale, può fare l’Insegnante?
Eppure in moltissimi casi è così!
Se un partecipante a un corso di formazione di una Federazione Sportiva è simpatico al Capo Istruttore, se fa quello che vuole lui, se giura che adotterà il metodo di insegnamento che vuole lui (ma poi farà in molti casi il contrario!) può insegnare ai bambini o ai giovani?
Eppure in molti casi è così!
Perché nel mondo della scuola non esiste un Corso di laurea o una specializzazione per diventare Insegnanti?
All’interno di questo corso ci dovrebbero essere molte ore di pratica su come si gestisce un aula, come si gestiscono a livello psicologico gli studenti, come si struttura una lezione efficace, come si utilizzano tutti gli strumenti tecnologici a disposizione, come si comunica, come si entra in empatia con gli studenti.
Perchè nel mondo dello sport non esiste un Corso di tirocinio “vero” anche nei Corsi di Formazione delle Federazioni Sportive che qualifica chi andrà a insegnare?
Si imparerebbe a comunicare con i giovani e i bambini, si imparerebbe veramente a “gestire” il gruppo, si imparerebbe a correggere l’errore, … e chi non è in grado (anche se ha la tessera) non deve più insegnare.
Se uno studente si è laureato con 110 e lode ho solo dimostrato di essere un bravo studente, non significa assolutamente che ha le carte per fare l’Insegnante!!
Per non parlare del sostegno, con un corso di 400 ore “tutti” sono in grado di gestire delle persone “speciali”.
Se gli studenti sono valutati a fine anno, lo devono essere anche gli Insegnanti e se un Insegnante non è stato giudicato all’altezza per insegnare, non può essere riconfermato.
Non basta un corso di formazione di 20 ore (anche se biennale) per avere la “licenza d’insegnare”.
Rinnovare la tessera ogni anno per continuare a insegnare non è abbastanza!
Chi non è capace non deve più insegnare!
La scuola italiana
Purtroppo la scuola italiana e l’Università è basata solo sui voti e gli studenti la vivono solo come obbligo, non si ricordano quasi niente di quello che studiano perché l’obiettivo è prendere un voto!
Le Federazioni Sportive
Seguire un corso di formazione per avere la tessera non basta, dobbiamo avere Istruttori e Allenatori preparati, competenti!
Studenti migliori con Insegnanti migliori!
Bambini e giovani migliori con Istruttori e Allenatori competenti!
“Le crisi di insegnamento non sono crisi di insegnamento; sono crisi di vita. Una società che non insegna è una società che non si ama, che non si stima; e questo è precisamente il caso della società moderna”. (Charles Peguy)
La collaborazione è la base di qualsiasi gruppo, partendo da valori riconosciuti da tutti i componenti
Come si può definire una “vera” squadra?
La squadra è un gruppo di persone preposte allo stesso compito e coordinate per una funzione comune.
Per essere una “vera” squadra non basta…
…vivere tutti sotto lo stesso tetto, nello stesso spogliatoio o in campo durante una partita, tutti i componenti della squadra, sia essa la famiglia o un “team” devono essere allineati, in equilibrio, uniti e con la mente rivolta a costruire un “vero” Team Building.
Quando si può definire una famiglia come una “vera” squadra?
Il successo di una “vera” squadra-famiglia è dettato dalla sinergia e dal funzionamento di tutti i componenti: non può gravare tutto su una persona, ci sarebbe uno squilibrio, a lungo andare si perderebbe di efficacia e si creerebbero dei malcontenti.
Divisione dei compiti
Dividersi i compiti in una squadra e in famiglia significa:
riuscire a fare più cose assieme con dei compiti ben delineati;
stancarsi di meno;
essere più sereni;
riuscire a godersi anche del tempo per fare altre cose insieme.
Il fare una cosa, l’ubbidire, il rispettare le regole in casa può diventare più leggero se si cambia il punto di vista.
Nel momento in cui dobbiamo fare qualcosa che non possiamo delegare a nessun altro, possiamo cercare delle modalità più leggere o comunque evitare di partire già “con il piede sbagliato” ed essere insofferenti quando si esegue un dovere.
Il dover ritornare in difesa per un attaccante in una squadra, può essere meno faticoso se contribuisce alle idee dell’allenatore che predilige il gioco a tutto campo.
In una famiglia e in una squadra non ci può essere competizione interna o lo scarica barile:
“Io faccio”, “Tu non fai”, “ Se io faccio …. tu devi fare…”
Assolutamente in famiglia e in squadra non ci devono essere rancori e insofferenze nei confronti dei componenti o voglia di rivincita sugli altri.
Fare squadra! Una squadra serve per mettere dei buoni pilastri educativi.
La complicità e la collaborazione
In una famiglia è molto importante la complicità, soprattutto tra i due “capisquadra” il padre e la madre.
Per i figli non c’è niente di più bello che vedere il papà e la mamma che sono:
complici
alleati
collaborativi
e non due realtà individuali che vivono due vite parallele o secondo gli stereotipi classici del maschio che ha delle mansioni e la femmina delle altre.
In una “vera” squadra di calcio, di basket o di volley ci deve essere complicità e collaborazione tra il capitano e gli altri compagni e questa complicità (che non deve essere a danno dell’allenatore) i giocatori la devono creare durante l’allenamento, nello spogliatoio e nel tempo libero.
La casa, lo spogliatoio
È molto importante che i figli siano educati fin dalla prima infanzia alla collaborazione e non al fatto che devono essere serviti e riveriti.
Non si può preferire un figlio o una figlia rispetto all’altra o all’altro, i figli sono “tutti uguali” e se si pretende che i propri figli comprendano il rispetto, il valore di ciò che si fa per loro e i ruoli, deve passare il messaggio che i genitori sono disponibili, non a disposizione.
lo spogliatoio è sacro, nulla deve uscire dalla spogliatoio, nulla deve uscire dalla casa.
Se i figli non lo capiscono da piccoli, non lo capiranno neanche durante il periodo adolescenziale e cercare di inquadrarli quando sono grandi, diventa un’impresa veramente faticosa che rischia di trasformarsi in una lotta quasi quotidiana.
In uno spogliatoio ci si può dire di tutto ma non deve trapelare all’esterno.
Conclusioni Per evitare di finire a fare un continuo braccio di ferro ed essere sempre in rincorsa, è importante mettere delle buone basi sia in famiglia che in una squadra.
La famiglia e la squadra devono avere dei valori riconosciuti da tutti i componenti e permettono di differenziare ciò che è giusto da ciò che non lo è.
E’ opportuno a questo punto creare un “Team building” oliato alla perfezione e che produca risultati:
Se ti alleni tutto l’anno, può capitare che un giorno salti una sessione di allenamento, ma se salti 2-3 settimane di seguito cosa succede?
Se smetti di allenarti per più di una settimana, inizierai a sperimentare gli effetti del “Detraining”, un fenomeno nel quale si perdono i benefici dell’allenamento e di conseguenza la…
…sospensione prolungata degli allenamenti riduce il livello della tua preparazione fisica.
La perdita della “forma fisica” dipende da molteplici fattori:
il tempo lontano dalla palestra, dal campo di allenamento, dalla piscina
Più sei allenato, più tempo impiegherai per andare “fuori forma”.
I cambiamenti
Quando smetti di allenarti avvengono in te molti cambiamenti fisiologici e inizi a perdere:
i progressi cardio-vascolari che avevi ottenuto (ad esempio il cuore inizia a perdere la sua capacità di gestire volumi aumentati di sangue e l’abilità a pompare sangue più efficientemente);
l’abilità del corpo di utilizzare i carboidrati come “carburante” e la migliorata capacità muscolare di utilizzare l’ossigeno
cioè cala il volume massimo di ossigeno consumato in un minuto (V02 max);
i miglioramenti acquisiti sulla pressione del sangue, sui livelli di colesterolo e di glicemia e se facevi allenamenti di forza, il tuo volume muscolare, la tua forza e la resistenza si ridimensioneranno;
in 2-4 settimane la maggior parte delle capacità aerobiche guadagnate in 2-3 mesi di allenamento;
la forza, la potenza e la resistenza muscolare e sebbene la forza possa essere mantenuta fino alle 3-4 settimane di inattività, la potenza e la resistenza potrebbero ridursi significativamente.
Gestisci meglio il Detraining
Il “Detraining” ha effetti negativi sulla composizione corporea ed è associato all’aumento di peso e alla diminuzione del metabolismo basale.
Diversi fattori possono contribuire all’aumento del grasso corporeo quando smetti di allenarti.
Quando perdi massa muscolare il tuo fabbisogno calorico diminuisce in contemporaneoa anche il metabolismo basale perché i tuoi muscoli riducono la capacità di bruciare calorie.
Inoltre, non stai più bruciando la stessa quantità di calorie perché ti stai allenando di meno,
E dopo?
E’ difficile prevedere quanto tempo ci vorrà per ritornare al tuo livello di forma fisica precedente e una cosa che giocherà sicuramente in tuo favore è la tua “memoria muscolare”.
I tuoi muscoli hanno delle cellule speciali che “ricordano” i movimenti che facevi durante l’allenamento, quindi quando tornerai ad allenarti dopo un lungo periodo di stop, riacquisterai la tua forma fisica più velocemente.
Però ti consiglio di:
ricominciare ad allenarti in maniera “soft” per evitare infortuni;
aspettare 3-4 settimane prima di arrivare a seguire i tuoi allenamenti abituali;
avere pazienza e perseveranza e credere che ritornerai più forte di prima.
Ti dà credibilità e ti fa diventare un punto di riferimento per i tuoi allievi e ciò che dici, assume per loro un significato di “verità”:
se ne accorgono subito e vedono in te la serietà e ti seguono.
L’autorevolezza diventa progressivamente…
…sicurezza e rafforza la tua personalità che, con il passare del tempo, diventa coerenza, convinzione e capacità di svolgere bene il tuo ruolo all’interno del gruppo.
L’autorevolezza non è autoritarismo, non è “potere”, l’autorevolezza affascina, coinvolge ed emoziona.
Emozionali!
La seconda qualità è la partecipazione.
La tua deve essere una presenza attiva, animata dalla voglia di fare, di fare sempre meglio, di dare e di arricchire.
Questa voglia si misura con il desiderio di entrare in palestra, nel campo di gioco, in piscina, con entusiasmo e con la voglia di trasmettere e di coinvolgere: non deve essere una “routine”!
Guardali negli occhi, ti diranno subito di quello che hanno bisogno.
Coinvolgili!
La tua partecipazione è condizionata dal modo di pensare, dallo sforzo di percepire o di far percepire qualsiasi esercizio o gioco in modo:
accattivante
interessante
curioso
in una versione sempre nuova,
perché nulla rimane immutato e tu devi coglierne le novità.
La tua partecipazione deve essere anche affettiva e deve esprimere la voglia di trasmettere ciò che sai e che hai raggiunto in anni di studi, di ricerche, di confronti, di approfondimenti e di aggiornamenti.
Il tuo deve essere un “sapere” che si coniuga con la passione e con il piacere di trasmetterlo agli altri.
Il “piacere di insegnare”, nessun lavoro, nessuna professione, senza il “gusto” di compierlo, può risultare gratificante, quindi efficace e proporzionato al gradimento dei tuoi allievi, che lo dimostreranno stando attenti, coinvolti e appassionati a ciò che trasmetti.
La terza qualità è il ruolo, il tuo ruolo.
Ogni ruolo ha una sua liturgia che deve essere mantenuta.
Non ti è concesso di diventare amico dei tuoi allievi.
Il tuo ruolo è sacro, non è una missione e la sacralità del tuo ruolo è fondata su un sapere razionale, ha un sapore fascinoso, misterioso, perché il mistero rimane dentro il pensiero umano.
Tu non sei il padre dei tuoi allievi, non sei il loro amico, non sei lo psicologo che li deve accompagnare nel cammino della fanciullezza.
Sei un uomo o una donna con l’incarico di fare il direttore d’orchesta dove ognuno degli orchestrali suona il proprio strumento (chi bene e chi male, ma tutti suonano) e tu hai il dovere di accompagnarli e di farli “crescere”.
Affascinali!
La quarta qualità è “falli star bene”.
La palestra, il campo di gioco, la piscina devono essere un’oasi di pace, fuori può regnare il caos, ma nella tua palestra e nel tuo campo di gioco devono sentirsi al sicuro.
Falli stare bene i tuoi allievi, la palestra, il campo di gioco, la piscina sono un banco di prova per la vita futura e tu puoi solo aiutarli ad essere pronti per affrontarla.
Fai capire loro che eccellere costa, imprimi nella loro mente che se vogliono veramente ottenere qualcosa di importante, devono impegnarsi e sacrificarsi.
Accompagnali!
Conclusioni
“Tu devi essere un Insegnante, un Istruttore, un Allenatore, un Educatore “in gamba”, devi lasciare in eredità ai tuoi allievi la gioia di giocare, di divertirsi e la voglia di migliorare!
Devi saper “leggere” nei loro occhi ciò che desiderano e se sarai in grado, fai diventare lo sport che praticano un’avventura e non una marcia forzata per eccellere.
la differenza tra ciò che è bene e ciò che è male …… anche nello sport!
Come gestire il gap generazionale coi nostri giovani ed aiutarli a crescere al meglio?
Spesso i giovani d’oggi smarriscono la differenza tra ciò che è bene e ciò che è male a causa della moltitudine di stimoli esterni.
A 14-15-16 anni arrivano già i primi segnali di indifferenza emotiva, per cui sembra che un ragazzo non riesca più a provare emozioni di fronte a gesti o a fatti che avvengono.
A quest’età, a molti interessa solo ciò che procura: …
…una gioia istantanea
l’adesso e non il futuro
l’essere bugiardi per ottenere qualcosa
i sentimenti positivi sembrano essere scomparsi e commettere azioni sbagliate appare per loro come una cosa normale e giusta.
Nell’adolescenza, età molto difficile, avviene un’importante crescita emotiva e gli “input” esterni sono più affascinanti dei moniti e degli insegnamenti degli adulti.
I giovani d’oggi si sentono i padroni del mondo e cominciano a chiudersi in sé stessi.
A scuola spesso si comportano male con gl’insegnanti;
Il loro mondo è troppo spesso occupato da “cose materiali”:
il telefonino
gli amici
il fare il contrario del normale
perché è giusto così, il loro “mondo virtuale”
che di certo non sono dimostrazione dell’amore genitoriale, dell’affetto e della stima degl’insegnanti e degli allenatori, che dovrebbe essere la base di ogni processo educativo e che possono sembrare la soluzione al problema.
Come dimenticare il cambiamento nel modo di vestire!
Si dà sempre più importanza all’aspetto esteriore e alle marche all’ultimo grido, mentre prima si badava soprattutto alla personalità dell’individuo.
Agli allenamenti spesso ci si presenta con:
le scarpe slacciate la bandana
la fascetta
i “fantasmini”
una volta si arrivava sempre in orario, ben vestiti e con i calzettoni lunghi fino quasi al ginocchio.
Oltre alle relazioni profondamente rivisitate, anche i luoghi hanno avuto un cambiamento radicale:
ad esempio prima i parchi e gli oratori erano i luoghi di ritrovo per i giovani
Un altro fattore fondamentale, non concesso ai giovani nel passato, è l’eccessiva libertà offerta da quei genitori, che non curanti dei rischi a cui i propri figli vanno incontro, rischiano di finire in vere e proprie tragedie.
Infine, negli ultimi anni si è diffusa a dismisura la moda dei “selfie”.
Bisogna,tuttavia, sottolineare che questo fenomeno non riguarda tutto il mondo adolescenziale:
Il loro mondo virtuale
Il “loro mondo virtuale” si trasforma in reale ……… e gli scherzi, le scampagnate con gli amici, le “suonate di campanelli e poi via di corsa, i “cori” e gli sfottò, che hanno reso le adolescenze passate indimenticabili, sembrano ormai aver perso il confronto!
I giovani d’oggi (non tutti, meno male!) si chiudono in un mondo tutto loro, governando il loro stato mentale e cancellando le relazioni con il mondo esterno.
In passato le amicizie venivano instaurate e consolidate con il puro contatto e dialogo, ora il contatto avviene attraverso uno schermo e influenza notevolmente i rapporti tra coetanei, provocando spesso amicizie virtuali, che si rivelano rischiose.
Pur non dimenticando che il “gap generazionale” è sempre esistito, che l’adolescenza di tutti noi è sempre stato un problema per gli adulti di ogni tempo, pare che oggi si sia dilatato a dismisura.
Con il passare del tempo è diminuita la corretta comunicazione che i giovani dovrebbe avere con i genitori, con gl’insegnanti e con gli allenatori, molti giovani non si prendono più le loro responsabilità e non sanno valutare la differenza tra il dare e l’avere,
per loro conta solo l’avere!
Conclusioni
Penso che un buon contributo al miglioramento della situazione potrebbe fornirlo la Scuola e……..tra tutte le materie che si studiano a scuola non ci sono quelle che dovrebbe essere ritenute importanti e fondamentali:
Sono convinto che in un futuro non lontano, si possa riuscire a capire l’importanza di ciò, perché i giovani d’oggi non sono e non possono essere delle “macchine”, ma hanno forti stimoli che bisogna imparare ad alimentare in modo positivo.
Quando smetteremo di parlare di sport femminile e inizieremo a riconoscere le donne al pari degli uomini anche nello sport, allora si potrà cambiare il tono della domanda.
Lo sport è per tutti ed è di tutti: maschi e femmine, ma è solo un miraggio in Italia!
Nel mondo dello sport italiano ci sono discipline considerate appannaggio esclusivo degli uomini o delle donne…
In questo Report il 38,5 % degli uomini pratica il calcio contro l’1,2 % delle donne, il 16,8 % delle donne pratica danza contro il 2 % degli uomini, il 4% degli uomini pratica il volley rispetto all’85% delle donne e così di seguito.
Un lavoro del Centro Studi di C.O.N.I. Servizi del 2017, relativo alle caratteristiche demografiche degli atleti e degli Operatori delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate, evidenzia elementi di fortissima differenziazione di genere:
le atlete donne erano il 28,2 % contro il 71,8 degli atleti maschi (su 4,7 milioni di tesserati complessivi);
tra gli Operatori Sportivi (Istruttori, Allenatori, Dirigenti), 4 su 5 erano di sesso maschile (80,2 % Allenatori, Istruttori, Direttori Sportivi, 81,8 % Ufficiali di Gara e Arbitri, 87,6 % Dirigenti Federali e 84,6 % Dirigenti Societari).
Questi sono i dati ufficiali del 2017, ma nel 2020 i risultati sono diversi, è aumentata la percentuale delle atlete donne nel calcio, nello sci, nel rugby, ecc., sono aumentate le donne “coach”, le donne “Dirigenti”, insomma è cresciuto il numero delle donne al timone del comando!
Ma non esiste ancora parità!
La storia dello sport della donna, infatti, non è stata ancora scritta in Italia in maniera compiuta.
Un po’ perché la storia dello sport, in generale, si è sempre occupata di questo fenomeno dal punto di vista maschile, ma anche perché la storia dello sport femminile è stata finora circoscritta, avendo considerato le vicende di qualche atleta illustre, o di qualche disciplina, o di qualche episodio eclatante, senza una visione d’insieme.
È anche mancato il materiale su cui indagare, perché la donna, solo di recente, ha avuto una propria storia, relegata però in quella del costume.
Infine non bisogna dimenticare il contesto in cui ha vissuto per secoli la donna nel nostro Paese, soggetta a pregiudizi di tipo culturale di difficile superamento, condizionata, come negli altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, dalle sue prerogative di madre e sposa, prerogative che la hanno relegata ad un ruolo secondario della vita civile.
Però all’estero la situazione è migliore, sia perché sono più avanzati gli studi di storia dello sport in generale, sia perché questo fenomeno è entrato nella cultura comune e nel modo di vita quotidiano.
Ora però anche in Italia qualcosa sta cambiando, la dimostrazione è che la bi-campionessa olimpica di ciclismo Antonella Bellutti si presenterà come sfidante di Giovanni Malagò alle prossime elezioni per la presidenza del CONI
Nel lavoro
Nel lavoro esiste la parità dei sessi?
Quando smetteremo di parlare di lavoro “al femminile” e inizieremo a riconoscere le donne al pari degli uomini anche nel lavoro, allora si potrà cambiare il tono della domanda.
Il lavoro è per tutti ed è di tutti: maschi e femmine, ma è solo un miraggio in Italia!
Le donne hanno il 25% in meno di diritti sul lavoro rispetto agli uomini, così afferma il nuovo rapporto “Women, business and the law 2019”, pubblicato dalla Banca Mondiale, nel quale si prendono in considerazione le decisioni economiche e legislative che i Paesi hanno intrapreso negli ultimi 10 anni per migliorare la situazione delle donne nel contesto lavorativo.
La media mondiale è intorno ai 74 punti: in pratica le donne ricevono un quarto in meno di diritti sul lavoro rispetto agli uomini.
Nel 2018 ci sono sei Paesi che hanno raggiunto il punteggio di 100 nel rapporto della Banca Mondiale:
Belgio
Danimarca
Francia
Lettonia
Lussemburgo
Svezia
Nel 2020 il numero dei Paesi che ha raggiunto il punteggio di 100 è aumentato specialmente nel nord Europa e nel nord America.
Dando uno sguardo in generale alla situazione, si può notare un progresso dal punto di vista del “gender equality” ma esistono diversi Paesi, soprattutto in Africa e Medio Oriente, che non raggiungono nemmeno la metà del punteggio massimo.
Secondo il rapporto, le donne iniziano la propria carriera lavorativa più tardi degli uomini e a 25 anni e la scelta del lavoro per loro è condizionata da tre fattori principali:
la sicurezza economica;
la possibilità di crescita;
l’equilibrio tra il lavoro e la vita privata.
Le politiche economiche di ogni Paese sono state analizzate attraverso alcuni indicatori che prendono in considerazione ogni fase della vita lavorativa della donna:
i vincoli sulla libertà di movimento (sia la possibilità di andare concretamente al lavoro, sia la capacità di viaggiare);
la valutazione delle leggi e degli strumenti che permettono alle donne di entrare nel mondo del lavoro.
il matrimonio;
la maternità;
la posizione pensionistica delle donne.
L’Italia, in questo contesto ha un punteggio mediamente alto, stabilizzatosi da 4-5 anni al 94,38.
Ma non esiste ancora parità!
L’importanza del ruolo della donna nel mondo del lavoro sembra un fatto ormai pacificamente riconosciuto.
Numerosi sono gli studi che dimostrano come il ruolo femminile, sia in ambito lavorativo, economico, finanziario, sociale e sportivo, abbia un impatto significativo sullo sviluppo e sulla crescita di un Paese.
In Italia l’impianto normativo esistente sembra garantire una sostanziale parità giuridica per quanto riguarda le regole di accesso al lavoro unitamente alle regole di svolgimento dello stesso e da tempo ci si muove in un’ottica di progressiva eliminazione delle discriminazioni fondate sul genere.
Da lungo tempo si combatte contro le disparità tuttora riscontrabili nella pratica e contro il fenomeno della scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Disparità sovente riscontrabili in quei contesti ove, a parità di tutele normative, permangono notevoli differenze tra uomini e donne a livello di prospettive di carriera, di qualificazione professionale, di formazione imprenditoriale, di parità di retribuzione.
Tali disparità consentono, purtroppo, di affermare che il cammino sinora percorso è stato contrassegnato da numerosi successi, ma che la strada da percorrere è ancora lunga.
Occorre quindi adottare ulteriori, nuovi e diversi strumenti per superare, nei fatti, effettive disuguaglianze.
E’ infatti indispensabile che nell’ambito di una collettività si lavori tutti insieme, sia sotto il profilo dei cambiamenti culturali, economici e sportivi, sia sotto il profilo dei cambiamenti materiali.
I cambiamenti di breve respiro, sovente tamponano soltanto un’emergenza, quelli più duraturi si possono realizzare solo con il contributo di tutte e di tutti.
Arriveremo in tempi brevi alla parità tra uomini e donne nello sport e nel mondo del lavoro?
“Proprio giorni fa il Ministro dello Sport Vincenzo Spadafora ha assicurato che a gennaio 2021 il professionismo dello sport femminile sarà legge. Potrebbe essere una svolta importante che rivoluzionerebbe il mondo dello sport anche se conosciamo tutti i tempi e gli imprevisti della politica.
Ad ogni modo in un momento così difficile e confuso per lo sport in generale si comincia ad intravedere una piccola speranza”.
La parità di genere è strettamente legata alla giustizia sociale e rappresenta uno degli Obietti cardine dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile.
Siamo davvero onorati di annunciare, ai tanti visitatori del nostro blog, che uno dei più stimati professori del mondo sportivo ci ha regalato la possibilità di pubblicare i suoi pensieri, riflessioni o osservazioni.
Oltre ad essere professore universitario nei corsi di laurea in Scienze motorie e scienze della formazione è collaboratore di diverse testate giornalistiche sportive e riviste specializzate di: