velocità 2

LA VELOCITÀ

NELLA PALLACANESTRO

I requisiti necessari per giocare a basket a livello competitivo superano di gran lunga quelli necessari ad eseguire le normali attività quotidiane e anche a quelli richiesti nella maggior parte degli altri sport.

Una buona condizione di base da sola non può essere sufficiente.

Una buona elasticità, un buon allenamento del core e la forza sono elementi essenziali per la pratica della pallacanestro, si rende necessario sviluppare anche qualità associate ad una elevata prestazione atletica come:

Tutte e quattro queste qualità atletiche sono in parte determinate dal proprio bagaglio genetico e qualunque inesperto telecronista di pallacanestro definirà “atleta naturale” quei giocatori un po’ più dotati nella media.

L’ereditarietà gioca però un ruolo minore rispetto a quello che comunemente si pensa.

Veramente troppi giocatori dotati geneticamente hanno permesso che quelle loro capacità si deteriorassero, mentre altri si sono spinti a limiti estremi del proprio potenziale atletico.

In altre parole se si vuole migliorare la propria velocità, potenza, agilità e coordinazione lo si può fare.

LA VELOCITA’

Velocità, rapidità e abilità nel saltare sono le qualità atletiche considerate più importanti nel basket.

I giocatori che mostrano movimenti eleganti, fluidi, agili ed esplosivi sul campo nel confronto degli avversari sono gli stessi che, generalmente, eccellono in questo sport.

Essi hanno sviluppato abilità superiori nei movimenti fondamentali che consentono loro di spostarsi dal punto A al punto B molto rapidamente.

Le componenti

La velocità ha due componenti di base:

  • la lunghezza del passo
    • (la distanza coperta da un solo passo)
  • la frequenza dell’andatura
    • (il numero di passi effettuati nell’unità di tempo)

La cadenza alla quale l’atleta muove le sue braccia e le sue gambe e la distanza che ogni andatura copre, determina la velocità di un atleta.

Idealmente un giocatore adotterà un alto livello di frequenza per accompagnare un’ampia andatura.

Questo risulta valido anche per movimenti diversi dallo sprint in linea retta, come ad esempio i movimenti laterali, gli arretramenti e i movimenti combinati della pallacanestro.

Tutti i giocatori hanno delle limitazioni personali che riguardano la velocità e il come muovono braccia e gambe.

Infatti sprinter di fama mondiale e corridori di medio livello sono sorprendentemente simili in termini di frequenza di andatura.

Dato per scontato che ogni atleta potrebbe migliorare la frequenza dell’andatura, da un punto di vista di risparmio del tempo, un maggiore progresso dello sviluppo della velocità viene ottenuto mettendo in evidenza il progredire di un’andatura “esplosiva”.

Importante assicurarsi, però, di non sacrificare la frequenza dell’andatura solo per aumentare la lunghezza del passo.

Se il più grande fattore di limitazione dello sviluppo della velocità è la lunghezza del passo, perché l’atleta allora non può correre semplicemente con un passo più lungo?

Credo che la risposta è che quello che l’atleta guadagna in lunghezza dell’andatura è controbilanciato da una perdita di efficienza nel movimento.

Chiunque può mettersi a correre con un passo più lungo, ma movimenti di scavalcamento, saltelli, oscillazioni e una frequenza ridotta di passi quasi sempre producono un’andatura a passo più lungo a scapito della velocità.

I tre punti chiave per migliorare la lunghezza dell’andatura sono:

  1. Aumentare la forza muscolare
  2. Migliorare l’elasticità delle articolazioni coinvolte nel movimento
  3. Migliorare la meccanica del movimento

Un giocatore non sviluppa la velocità semplicemente eseguendo movimenti veloci.

Conclusioni

Schemi di movimento fondamentali come il correre, il saltellare, lo schivare, il cambiare direzione, il saltare, il saltare in alto e il correre all’indietro sono comuni nel gioco del basket.

Una volta che si conosce l’importanza della specificità e si vuole sviluppare un’andatura più efficace ed ampia, c’è bisogno di includere un programma di esercitazioni ed attività tese al miglioramento della velocità e della rapidità nel piano di allenamento di un atleta, in modo da migliorare anche i movimenti specifici del basket ed incrementando l’appropriato sistema di energia nello stesso tempo.

In quest’articolo ho fatto riferimento ad appunti e concetti, in cui credo, di grandi preparatori fisici della NBA oltre che a teorie sperimentate di alcuni preparatori italiani.

di Tiziano Megaro

Functional training

Fin dai tempi antichi, l’uomo ha avvertito la necessità di migliorare le prestazioni fisiche nelle varie espressioni della psicomotricità.

Cenni storici

Poco prima della battaglia delle Termopili (480 A.C.) re Serse incaricò i suoi esploratori di recarsi di nascosto nell’accampamento degli spartani al fine di spiarne le mosse.

Gli esploratori riferirono al sovrano come gli spartani fossero quotidianamente impegnati ad allenare il proprio corpo con esercizi calistenici.

spartano-allenamento

Solo dopo che, nel corso della battaglia, i 300 spartani riuscirono a tenere testa agli oltre 120.000 soldati di Serse, fino all’arrivo delle altre forze greche, il sovrano comprese a proprie spese la ragione per cui il popolo greco desse una tale importanza all’esercizio fisico.

Agli antichi greci dobbiamo il principio che recita come per accrescere la propria forza sia necessario manipolare il sovraccarico, incrementandolo progressivamente.

La massima espressione del fisico “ideale” fa ancora oggi riferimento alle statue greche.
Esercizi propedeutici di corsa nell’antichità

Nelle terme e nelle ville romane sono stati rinvenuti mosaici raffiguranti diversi soggetti (anche donne), impegnati nell’allenamento contro resistenza, a testimonianza della diffusione di tale pratica nella quotidianità.

I gladiatori che si misuravano negli anfiteatri, passavano le loro giornate dedicandosi all’allenamento di forza e destrezza, unitamente a quello volto al perfezionamento delle tecniche di combattimento.

Nel medioevo, gran parte dell’addestramento degli aspiranti cavalieri era basato su esercizi a corpo libero e con sovraccarichi.

Nei secoli, si sono poi sviluppate diverse tecniche e discipline, dalla ginnastica artistica al sollevamento pesi, all’esercizio calistenico.

Dal secolo scorso si è visto il proliferare di attrezzature per l’allenamento isotonico e ha decretato l’esplosione di una serie di nuove tecnologie.

Stati du squilibrio

A seguito dei protocolli di potenziamento sviluppati con tali attrezzature, sono stati rilevati alcuni stati di squilibrio nello sviluppo muscolare tra:

  • i distretti agonisti
  • antagonisti
  • fissatori e stabilizzatori dell’articolazione (o delle articolazioni),

interessate da un determinato movimento.

È stato altresì evidenziato un allungamento delle tempistiche di “trasformazione” delle sessioni d’allenamento della forza.

Fatto dovuto al presupposto che tali allenamenti erano stati essenzialmente concepiti per il muscolo e non per il movimento.

Ecco che è nata così la necessità di:

ricollegare l’allenamento muscolare alla corretta cinematica del gesto.

La mobilità

Il controllo motorio è parte di un complesso sistema fisiologico con primo attore il SNC (Sistema Nervoso Centrale), che organizza regola e controlla il movimento, nella sua interezza.

Il SNC diviene efficiente in presenza di una mobilità controllata e di una stabilità dinamica.

Riconosce i movimenti, non i muscoli e non permette un movimento che non può controllare.

All funzionale

Prima di tutto viene la mobilità:

  • si imparano schemi motori, da semplici a via via più complessi.
  • si crea  la base  motoria con nuovi engrammi motori, (che sia un’atleta o una persona comune), poi  la stabilità al movimento.

Ciò ci deve perciò insegnare che il nostro sistema nervoso è, nel suo complesso, ottimizzato per gestire dei “gesti”.

Nello specifico movimenti frutto di un’intenzione e perciò finalizzati al conseguimento di un risultato.

L’allenamento funzionale risponde alla necessità di sfruttare appieno i guadagni ottenuti in termini di forza muscolare mediante:

  • miglioramento della coordinazione interdistrettuale;
  • esercitazioni complesse che impegnino attività tonico posturale;
  • equilibrio e movimento applicabili a tutte le età.

Questa precisazione si rende necessaria in quanto un protocollo di allenamento funzionale che non tragga spunto da un’attenta valutazione dei sistemi di controllo di postura, equilibrio e movimento.

Sarebbe, di fatto, un viaggio senza meta.

In caso di un’alterata funzione del sistema tonico posturale, non sarebbe possibile allenare (e quindi migliorare) un gesto,

Al contrario, si andrebbe ad allenare un gesto “compensato” (quindi sbagliato), con tutte le conseguenze del caso:

minore efficacia terminale, rischi di fenomeni da sovraccarico, ecc…

Il concetto di regioni interdipendenti si riferisce al concetto che limitazioni funzionali, apparentemente estranee, in zone anatomiche remote, possano contribuire o essere associate con il disturbo primario del paziente

Da un punto di vista neurofisiologico, l’allenamento funzionale è tutt’altro che una banalità

L’Allenamento Funzionale consiste nel somministrare al corpo stressor (fattore di stress – agente stressante) che vadano ad incrementare i diversi parametri fisiologici.

Il sistema non sarà colpito da un unico “lato”, ma facendo arrivare stimoli complessi a cascata.

Quindi, in tale contesto, ben vengano metodi che usino principi propri del:

con attrezzi vari purché lo stimolo sia teso ad aumentare tutti i parametri da un punto di vista salutistico, funzionale ed estetico.

FT - body building

Lo scopo dell’allenamento non è quello di allenare il singolo muscolo o la singola caratteristica (forza, resistenza, mobilità articolare, ecc.).

Il fine è quello di allenare movimenti complessi che includono in sé molteplici abilità.

Finalità del functrional training

Secondo il functional training  bisogna ragionare in termini di movimento del corpo, di catene cinetiche.

Significa, dunque, focalizzarsi sul far lavorare i vari muscoli in sincronia.

Nella realtà l’attrezzatura può essere molto semplice o complessa.

Infatti comprende tutto ciò che ci permette di individualizzare l’esercizio e renderlo funzionale all’obiettivo nel rispetto della:

  • biomeccanica
  • anatomia
  • fisiologia del soggetto.

La fantasia in questo caso la fa da padrona!

Conclusione

Ritengo tutti gli attrezzi:

  • semplici e complessi
  • di fortuna e fantasia

adatti all’allenamento funzionale a seconda del soggetto considerato.

Possiamo quindi dire che è la corretta applicazione che determina la loro collocazione nel functional training .

Anatomia, fisiologia, biomeccanica e tecniche di utilizzo forniscono una seria preparazione all’allenamento funzionale.

Davide Antoniella Functional training
Il preparatore atletico prof. Davide Antoniella

di Davide Antoniella

Julio Velasco

Non si molla

Regola 1

“La prima regola che io metto è “Non si molla”. Mai.

Possiamo giocare male,…

…possiamo avere una brutta giornata, però non si molla.

Se si molla sono dolori…

Regola 2

La seconda è no alla cultura degli alibi, cioè

attribuire ad altri la responsabilità dei nostri fallimenti.

Regola 3

La terza regola è che l’errore fa parte dell’apprendimento,

Se i nostri figli dicono che il professore ce l’ha con loro non siamo noi a dover stabilire se è vero, piuttosto dobbiamo fargli capire che

bisogna imparare ad avere a che fare anche con chi ce l’ha con te.

Altrimenti succede che il nostro ragazzo non sbaglia mai e la colpa è sempre di qualcun altro.

Se vogliamo proteggerli dandogli ragione e dicendogli ci penso io, il sottotesto è che non pensiamo davvero che possano cavarsela.

Dare fiducia, anche per la loro autostima, vuol dire:

risolvitela da solo, so che puoi farlo.

Essere coraggiosi non significa non avere paura ma saperci convivere, saperla accettare.

Non direi di essere stato uno dei tecnici più grandi ma posso dire di essere uno dei più aggiornati.

Ho sempre cercato di rubare qualcosa.

Dai libri, dai film, dagli altri sport.

Sono un ladro di idee.

Julio Velasco

Accettare di perdere significa sapere perdere.

Invece nei comportamenti prevalenti c’è sempre un colpevole, c’è sempre un motivo:

  • l’arbitro
  • il tempo
  • il fuso orario…

Saper perdere significa non dare la colpa a nessuno, non dire niente…

Ho conosciuto centinaia di atleti.

Alcuni vincenti, altri perdenti.

La differenza?

I vincenti trovano soluzioni. I perdenti cercano alibi.”

di Julio Velasco

Webinar si o webinar no?

Webinar: si o no?

Quando la mia attività come preparatore fisico me lo permette, mi piace soffermarmi e osservare come i giovani colleghi si impegnano nel loro lavoro.

Rimango più attratto da chi lo fa in modo accurato e senza mettersi troppo in evidenza perché riesco ad immedesimarmi, andando indietro nel tempo, a quando mi accingevo a formare gli allievi che le società mi affidavano.

Le tecnologie che abbiamo a disposizione oggi sono di grande aiuto.

Tecnologie

In passato si tentava di sbagliare il meno possibile mettendo in pratica ciò che si era studiato a volte immaginandolo (non c’erano video “da copiare”) a volte inventando nuovi esercizi da far eseguire.

Vado al dunque!

Uno strumento a cui tutti, o quasi, hanno partecipato o contribuito a realizzare negli ultimi anni, sono i cosiddetti webinar.

Libro Ann Handley
Libro di Ann Handley e C.C. Chapman

Purtroppo spesso l’unico obiettivo di chi li organizza è il guadagno a discapito della qualità per i fruitori finali: i ragazzi, gli allievi o gli atleti.

Poiché mi affascinava l’argomento mi sono imbattuto in un libro di Ann Handley e C.C ChapmanContent Marketing” dove si dispensano consigli e indicazioni su come utilizzare i mezzi informatici per fare business.

“I webinar sono seminari che si svolgono sul web, e possono essere visualizzati o ascoltati online.

I webinar si svolgono sulle piattaforme di conferenza online, che possono consistere in un’applicazione scaricata sul computer di ogni partecipante, oppure in una piattaforma web.

I partecipanti e le aziende amano i webinar perché possono essere: efficaci, interattivi e sociali, meno impegnativi, a buon mercato, ad ampio raggio e geograficamente neutri, utili e catalizzatori di comunicazione.”

Tutto vero o quanto meno detta così dà la voglia di partecipare o organizzarne uno subito, non credete?

Purtroppo no! Non è così!

La maggior parte dei webinar a cui ho partecipato da uditore mi hanno fatto spendere un bel po’ di soldi.

(anche se il singolo webinar è economico è la “somma che fa il totale”)

e per quelli gratuiti un bel po’ di tempo

(sappiamo che il tempo è denaro).

Prendendo spunto da quanto letto nel libro e riportato alla mia esperienza, posso asserire che sia quelli gratuiti che quelli a pagamento si focalizzano più ad attirare le persone che al contenuto.

In realtà, a chi li organizza interessa più raccogliere nomi di potenziali clienti o utilizzare la piattaforma per vendere prodotti e servizi, compromettendone la credibilità.

Ciò mi ha portato ad essere scettico sul valore della gran parte dei webinar siano essi gratuiti o no.

Scettico
Foto di Andrea Piacquadio

Per essere relatori bisogna non solo conoscere profondamente un argomento ma anche essere in grado di proporlo e soprattutto riuscire a trasmettere ciò che si è costruito con la propria esperienza.

Inoltre è necessario tenere alta la concentrazione del pubblico proponendo argomenti dai contenuti interessanti, pratici, essenziali e di facile comprensione.

“Quando si è online, bisogna tenere viva l’attenzione degli spettatori coinvolgendone solo gli occhi e le orecchie”, dice Shelley Ryan “altrimenti, si metteranno a controllare l’email e a leggere l’oroscopo”.

Come comportarsi quando si deve relazionare ad un webinar o cosa mi aspetto da un relatore?

Semplicemente:

  1. Mostrare (evitando di raccontare) i protocolli di lavoro evidenziando come vanno eseguiti dai propri atleti.
  2. Realizzare slide con informazioni essenziali ma con immagini in grado di stimolare sempre di più l’attenzione.
  3. Presentare una unica idea in ogni slide per evitare di confondere, usando video e immagini autentiche magari prese dai propri lavori evitando di riciclare immagini viste e riviste.
  4. Evitare l’autocelebrazione a favore della concretezza

“Il formatore non trasmette concetti ma agisce come veicolo e acceleratore nello sviluppo di competenze da parte del fruitore”

di Tiziano Megaro

Allenamento donna

Triade della donna

Esercizio fisico amatoriale – agonistico

Aumenta l’interesse delle donne per queste discipline

Grazie ai cambiamenti sociali degli ultimi trent’anni, l’interesse da parte delle donne nei confronti dell’esercizio fisico, amatoriale e agonistico, e in particolare per le attività di tendenza come il CROSSFIT, il POWERLIFTING, la corsa ad ostacoli (SPARTAN RACE), risulta essere più coinvolgente.

Il più delle volte, le motivazioni che portano una donna ad iscriversi in palestra sono date da un fattore…

estetico o da un fattore competitivo estremo, solo secondariamente per stare bene o per motivi di salute.

Nonostante sia ben noto il ruolo benefico dell’esercizio nella promozione della salute fisica e mentale, l’attuale tendenza generale è volta a volerne aumentare considerevolmente, durata, frequenza ed intensità.

Talvolta però l’atleta, nella convinzione di migliorare le proprie prestazioni, eccede con l’esercizio fisico e scompensa con il ridotto introito alimentare, arrivando a sbilanciare il fabbisogno energetico fino a compromettere il normale funzionamento del ciclo mestruale.

Triade
Foto di Andrea Piacquadio
Cosa è la Triade?

Nel 1992 la Task Force on Women’s Issues of the American College of Sports Medicine, definisce la “Triade dell’atleta femminile” (TRIADE) la combinazione di:

  1. Bassa disponibilità di energia (con o senza disturbi del comportamento alimentare).
  2. Ridotta densità minerale ossea (BMD) manifestata con osteoporosi e osteopenia.
  3. Inibizione dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadico (HPG) e alterazione degli ormoni FSH e LH con conseguente disfunzione mestruale fino all’amenorrea vera e propria (FHA).

Viene definita “amenorrea delle atlete”, l’assenza di mestruazioni spontanee che si protrae per almeno 3 mesi.

Le amenorree delle atlete possono essere classificate in:

  • «Amenorree primitive», ovvero quando la donna non presenta la comparsa del menarca (prima mestruazione);
  • «Amenorree secondarie», nel caso in cui la mestruazione scompaia dopo un periodo più o meno lungo di flussi mestruali spontanei.
Davide-Antoniella-Functional-training
Il prof. Davide Antoniella
Vediamo differenze e cause delle amenorree delle atlete

L’amenorrea da esercizio fisico, assieme all’amenorrea da disturbi alimentari (come da bulimia e da anoressia nervosa), fa parte delle amenorree ipotalamiche funzionali.

Quest’ultime vanno differenziate dalle amenorree ipotalamiche da causa organica, che comprendono quelle secondarie a patologia tumorale, ischemica o flogistica.

Le cause più accreditate che possono determinare lo stato di amenorrea sono:

  • Inadeguata alimentazione.
  • Modificazioni ormonali dovute all’esercizio fisico, perché alterano la produzione di GnRH, importante “regolatore” del ciclo mestruale e di cortisolo (ormone dello stress).

La prevalenza di amenorrea tra le atlete non è ben documentata, ma è stimata tra il 5% e il 40% (2-3% della popolazione generale) a seconda del tipo di disciplina sportiva e del livello competitivo.

Gli sport più a rischio sono quelli che richiedono

intensità particolarmente elevata:

molta resistenza, come le gare di fondo:

oppure quelli come:

che invece richiedono un aspetto fisico particolarmente definito con bassissime percentuali di grasso.

Anche lo stress emotivo è associato all’amenorrea (FHA) ed è stato considerato sia causa sia effetto della condizione.

Donna in allenamento
Come si manifesta la Triade dell’atleta femminile?

Il primo campanello d’allarme solitamente riguarda l’alimentazione.

Il rapporto con il cibo ritenuto troppo calorico, diventa una vera e propria ossessione fino a manifestare, in alcuni casi, sintomi anoressici.

Dal punto di vista clinico, i sintomi più significativi della scarsa disponibilità di energia legata anche a questo atteggiamento, sono i suoi effetti sul ciclo mestruale e sulla salute delle ossa.

Com’è noto, l’esercizio fisico incentiva l’attività degli osteoblasti, ovvero le cellule che producono matrice ossea, ma la carenza di estrogeni ne peggiora la struttura trabecolare.

Barrack et al. (2010) hanno dimostrato come le atlete di endurance (40%) abbiano, infatti, una densità ossea più bassa rispetto alle ballerine o alle ginnaste (10%).

Molti sono anche gli studi che hanno evidenziato quanto la quantità di massa scheletrica acquisita durante l’adolescenza, sia uno dei fattori più importanti nel determinare l’osteoporosi e il rischio di fratture nel corso della vita.

Approssimativamente il 50% della massa ossea viene acquisita proprio in questo periodo;

l’aumento maggiore è tra 11 e 14 anni e solo a 18 anni le donne riescono a raggiungere il 95% della loro densità ossea (BMD) totale.

Il picco di massa ossea al collo del femore avviene all’età di 16 anni ma, nella colonna lombare, la massa ossea continua ad aumentare fino al terzo decennio di vita.

Durante i periodi di limitata disponibilità di combustibile, l’energia viene deviata o ripartita lontano dalla crescita e dalla riproduzione al fine di dare priorità ai compartimenti vitali per la sopravvivenza dell’individuo.

Questo dimostra l’enorme importanza di considerare l’allenamento in funzione delle fasi di crescita e di quanto sia fondamentale dosare attentamente l’attività motoria per quanto riguarda volume, intensità, tipo, recupero, progressione, frequenza e durata.

triade 2
Diversi studi hanno dimostrato come ci siano numerose conseguenze se questa condizione interessa un lungo periodo
  1. Aumentato rischio di infortuni muscolo-scheletrici
  2. Alterazioni cardio-circolatorie
  3. Fratture da stress
  4. Profilo lipidico anormale
  5. Disfunzioni endoteliali
  6. Perdita irreversibile di massa ossea
  7. Depressione
  8. Ansia
  9. Scarsa autostima
  10. Aumentata mortalità (Weiss Kelly et al. 2016)

La combinazione di questi fattori influirà inevitabilmente sulle prestazioni e sulla qualità della vita aumentando il rischio di lesioni, depressione, irritabilità, diminuendo coordinazione, forza muscolare e concentrazione

alterando lo sviluppo psico-fisico in fase di crescita e attivando processi degenerativi che a lungo termini porteranno ad aumentare il rischio delle malattie legate all’invecchiamento.

di Davide Antoniella

Insegnare ad insegnare

Vi insegno a insegnare…

…fate star bene i vostri ragazzi!

“Finalmente ho tenuto le lezioni di pallacanestro “in presenza” al concorso di laurea in Scienze Motorie e dello sport all’Università Cattolica di Milano”

Dopo un anno di lezioni “in remoto”,  finalmente ho parlato con…

…i miei studenti, li ho osservati, li ho guardati negli occhi, mi sono emozionato e ho trasmesso loro questo messaggio:

“Non ho la pretesa di farvi diventare dei giocatori di pallacanestro, vorrei solo che voi diventaste dei
bravi Insegnanti, quindi ………. parleremo sì di basket, ma il mio obiettivo principale è quello di

INSEGNARVI A INSEGNARE!”. 

Ho detto loro, volete diventare Insegnanti speciali?

Follow me…queste sono le raccomandazioni da seguire.

1) l’autorevolezza

Deve essere la vostra prima qualità.

Vi dà credibilità e vi fa diventare un punto di riferimento per i vostri allievi e ciò che dite, assume per loro un significato di “verità”.

Se ne accorgono subito e vedono in voi la serietà e vi seguono.

L’autorevolezza diventa progressivamente sicurezza e rafforza la vostra personalità che, con il passare del tempo, diventa

  • coerenza
  • convinzione
  • capacità

di svolgere bene il vostro ruolo all’interno del gruppo.

L’autorevolezza non è autoritarismo, non è “potere”, l’autorevolezza:

affascina, coinvolge ed emoziona.

Emozionateli!

2) la seconda qualità è la partecipazione.

La vostra deve essere una presenza attiva, animata dalla voglia di fare, di fare sempre meglio, di dare e di arricchire.

Questa voglia si misura con il desiderio di entrare in palestra, nel campo di gioco, in piscina, con entusiasmo e con la voglia di trasmettere e di coinvolgere: non deve essere una “routine”!

Guardateli negli occhi, vi diranno subito di quello che hanno bisogno.

La vostra partecipazione è condizionata dal modo di pensare, dallo sforzo di percepire o di far
percepire qualsiasi esercizio o gioco in modo accattivante, interessante, curioso, in una versione
sempre nuova, perché:

nulla rimane immutato e voi dovete coglierne le novità.

La vostra partecipazione deve essere anche affettiva e deve esprimere la voglia di trasmettere ciò che sapete e che avete raggiunto in anni di studi, di ricerche, di confronti, di approfondimenti e di
aggiornamenti.

Il vostro deve essere un “sapere” che si coniuga con la passione e con il piacere di trasmetterlo agli altri.

Il “piacere di insegnare”, nessun lavoro, nessuna professione, senza il “gusto” di compierlo, può risultare gratificante, quindi efficace e proporzionato al gradimento dei vostri allievi, che lo dimostreranno stando attenti, coinvolti e appassionati a ciò che voi trasmettete.

Coinvolgeteli!

3) la terza qualità è il ruolo, il vostro ruolo

Ogni ruolo ha una sua liturgia che deve essere mantenuta.

Non vi è concesso di diventare amici dei vostri allievi.

Il vostro ruolo è sacro, non è una missione e la sacralità del vostro ruolo è fondata su un sapere razionale, ha un sapore fascinoso, misterioso, perché il mistero rimane dentro il pensiero umano.

Voi non siete il padre o la madre dei vostri allievi, non siete il loro amico, non siete lo psicologo che li deve accompagnare nel cammino della fanciullezza.

Siete un uomo o una donna con l’incarico di fare il direttore d’orchestra dove ognuno degli orchestrali suona il proprio strumento (chi bene e chi male, ma tutti suonano) e voi avete il dovere di accompagnarli e di farli “crescere”.

E ricordatevi che dovete indossare un abito consono alla cerimonia, alla cerimonia dell’insegnamento e dell’apprendimento.

Affascinateli!

4) la quarta qualità è “fateli star bene

La palestra, il campo di gioco, la piscina devono essere un’oasi di pace.

Fuori può regnare il caos, ma nella vostra palestra e nel vostro campo di gioco, i vostri allievi devono sentirsi al sicuro, deve regnare:

  • l’ordine
  • la giustizia
  • la stima
  • la collaborazione
  • la creatività
  • la voglia di sicuro,

fateli imparare.

Fateli stare bene i vostri allievi.

La palestra, il campo di gioco, la piscina sono un banco di prova per la vita futura e voi potete solo aiutarli ad essere pronti per affrontarla.

Fate capire loro che eccellere costa, imprimete nella loro mente che se vogliono veramente ottenere qualcosa di importante, devono impegnarsi e sacrificarsi.

Accompagnateli!

Conclusioni

“Voi dovrete diventare degli Insegnanti, degli Istruttori, degli Allenatori, degli Educatori… “in
gamba”.

Dovrete lasciare in eredità ai vostri allievi la gioia di giocare, di divertirsi e la voglia di migliorare!
Dovrete saper “leggere” nei loro occhi ciò che desiderano e se sarete in grado.

Cercate di far diventare lo sport che praticano un’avventura e non una marcia forzata per eccellere.

Dovrete essere una guida preziosa:

  • camminate accanto a loro
  • lasciateli esplorare
  • inventare
  • creare
  • indagare

e, se sarete stati per loro degli Insegnanti “speciali”, non vi dimenticheranno mai e sarete ricordati

per quello che siete stati e non per quello cha avete loro insegnato”.

Nelle mie lezioni ai Corsi A-B-D e C

Nelle mie lezioni, ho parlato poco di pallacanestro

Ho cercato di coinvolgerli, di affascinarli, di dare loro delle certezze ma anche di metterli in crisi e di creare dei dubbi.

Ho cercato di far capire loro che:

devono “essere messe assieme” per fare in modo di crearsi una “propria” metodologia d’insegnamento”.

Non si è bravi Insegnanti se si conoscono 100 esercizi, si è bravi Insegnanti se si conosce a che cosa
serve un esercizio, perché lo si propone e soprattutto che effetti produce.

Martedì e mercoledì: era come se fosse stata la mia prima volta da Insegnante!

Se non è EMPATIA non si può insegnare e nemmeno… apprendere!!!!!!

di Maurizio Mondoni

Competenze non cognitive

LA SCOPERTA DELL’ACQUA CALDA NELLA SCUOLA ITALIANA

Le “competenze non cognitive” diventano didattica!

Cosa significa che le “competenze non cognitive” diventano didattica?…

…Significa che finalmente nelle scuole italiane si insegnerà come gestire:

  • lo stress,
  • l’empatia,
  • il pensiero critico e creativo

ndr:

finalmente!!!???

Le competenze NON COGNITIVE

Sì del Senato alla proposta di legge che abilita all’utilizzo e alla valorizzazione delle “competenze non cognitive” in ambito scolastico.

E’ una proposta inclusiva che valorizza le competenze extradisciplinari, con l’obiettivo di incrementare le

“life skills”:

ndr:

Ovvero le abilità che portano a comportamenti positivi e che rendono l’individuo capace di adattarsi, di far fronte in maniera efficace alle sfide della vita di tutti i giorni.

A parte il fatto che molti Insegnanti (quelli bravi!) hanno già “in tasca” le “competenze non cognitive”.

Queste competenze se le sono fatte attraverso le conoscenze, con l’esperienza, con l’umiltà, con la perseveranza, frequentando Convegni, Forum e Corsi di formazione, anche perchè si sono accorti che non basta la laurea.

Le domande

Ma scusate un Insegnante “formato”:

ndr:

sic!

  • In Università non dovrebbe già essere in grado di “gestire” il gruppo classe?
  • Non dovrebbe già essere in grado di gestire l’ansia?
  • Di comunicare efficacemente?
  • Di gestire il pensiero critico e creativo?
  • L‘empatia?
  • L’empatia non si insegna, o ce l’hai o non ce l’hai?

Ma cosa mi venite a dire!!!

Praticamente ci si è accorti che fino ad ora non sono stati formati “BENE” gli Insegnanti e allora ecco che saltano fuori dal cilindro “le competenze non cognitive”.

La proposta

La proposta prevede una sperimentazione che sia inclusiva e che valorizzi delle competenze extradisciplinari, con l’obiettivo di incrementare le “life skills” (abilità che portano a comportamenti positivi e che rendano l’individuo capace di adattarsi, di far fronte in maniera efficace alle sfide della vita di tutti i giorni).

Il progetto “pilota” prevede che gli Insegnanti

ndr:

formati??!! da chi??!!

stimoleranno abilità non direttamente legate al processamento delle informazioni

ndr:

bisogna formare, non informare??!!

ma alle caratteristiche individuali, legate agli ambiti emotivi, psicosociali e a caratteristiche di personalità.

In pratica si insegnerà ai bambini, ai ragazzi e agli adolescenti come “saper vivere” stimolando la capacità di come:

  • gestire le emozioni,
  • gestire lo stress,
  • l’empatia

allenando il pensiero creativo e quello critico, cosa assolutamente indispensabile in una società soggetta costantemente agli attacchi di fake news e al peso dell’omologazione.

E poi ancora la capacità di prendere decisioni e risolvere problemi.

ndr:

è una scoperta dell’acqua calda!

Ulteriore domanda

Non pensate che molte famiglie e molti Insegnanti abbiano da tempo intrapreso questa strada?

Sì è vero ci sono Insegnanti (con la i minuscola) che:

  • non sanno gestire il gruppo classe,
  • non sanno insegnare,
  • puniscono,
  • poco empatici,
  • non sanno trasmettere
    • curiosità, interesse ed emozioni.

Forse, prima di dare loro in mano “le chiavi” dell’insegnamento non era meglio fermarli?

Conclusione

La proposta di legge introduce, quindi, l’avvio a partire dal 2023 ad una sperimentazione nazionale triennale per attività finalizzate allo sviluppo delle competenze non cognitive nei percorsi delle scuole di ogni ordine e grado.

Sarà un metodo che recupererà anche i soggetti più difficili e che potrebbe ridurre anche il fenomeno dell’abbandono scolastico.

ndr:

siamo anni luce indietro rispetto agli altri stati europei, come:

– nell’Educazione Fisica (pardon Motoria!) e nei programmi dei Corsi di formazione di molte Federazioni Sportive Nazionali.

prof. Maurizio Mondoni (un Insegnante empatico!)

di Maurizio Mondoni

Minibasket femminile

IN ITALIA SEMPRE MENO BAMBINE GIOCANO A MINIBASKET

COME MAI?
Che differenze ci sono tra i maschi e le femmine?

Sono molti gli studi in merito alle differenze tra maschi e femmine.

Adie Golberg sostiene che…

…già durante la prima infanzia è possibile individuare oltre cento differenze tra i maschi e le femmine:

la differenza riguarda i due emisferi cerebrali.

Oggi si conosce che in entrambi i sessi la parte sinistra è specializzata nel linguaggio e nelle funzioni logiche, mentre quella destra è specializzata nelle funzioni emotive, affettive e percettive.

I due emisferi sono collegati da un ponte di fibre nervose che consente ai due emisferi di scambiarsi le informazioni.

Le ultime ricerche

Ultimamente alcune ricerche hanno dimostrato che questo ponte nelle femmine è molto più voluminoso rispetto ai maschi e ciò comporta una maggiore integrazione tra le funzioni dei due emisferi e quindi una loro minore reciproca autonomia.

Questo permette alla femmina di mutare più facilmente i propri punti di vista e di interagire meglio con l’ambiente.

La femmina utilizza in misura maggiore l’emisfero destro che le permette di compiere azioni mentali in parallelo ed è più legato alla sfera emozionale e al linguaggio analogico.

E’ sicuramente più intuitiva del maschio perché il suo cervello è meno rigido del maschio.

Le femmine hanno la capacità di riconoscere azioni intuitive in soli 200 millisecondi, mentre i maschi sono molto più lenti.

Da studi recenti risulta che le femmine utilizzano entrambi gli emisferi, mentre i maschi ne utilizzano uno solo:

  • percezione spaziale, esatta sequenza delle azioni da compiere.

La femmina nello spostarsi nello spazio ha bisogno di punti di riferimento mentre il maschio riesce spesso ad andare a intuito.

Le femmine sono migliori dei maschi nelle funzioni del linguaggio, mentre i maschi sono più dotati delle femmine per:

  • i ragionamenti matematici e meccanici,
  • nei compiti visivi,
  • nell’immaginare la traiettoria di un oggetto che si sposta o è lanciato.

La femmina è molto più resistente del maschio:

  • agli stress sia in campo fisico che fisiologico,
  • ha una attività di comunicazione e di comportamento sociale migliore rispetto al maschio,
  • è più rapida e completa
    • perché la sua natura le consente una migliore integrazione tra pensiero ed emotività.

Le differenze le fanno i genitori 

Purtroppo sono i genitori a differenziare maschi e femmine, imponendo una differenza culturale (es. giocattoli, giochi e giochisport per i bambini e per le bambine).

E’ una questione di cultura motoria e sportiva!

Nel Minibasket

Per quanto riguarda il Minibasket a 6 anni esistono già differenze e disparità tra maschi e femmine.

La bambina ha minori disponibilità per quanto concerne la coordinazione senso-motoria, specialmente negli aspetti dinamici (ricevere e passare la palla in movimento) e per quanto riguarda la coordinazione dinamica generale.

La femmina durante il gioco è più fantasiosa, può percepire una serie di variabili e spesso prende decisioni importanti con un’alta probabilità di successo.

Nei gruppi misti le femmine sono meglio dei maschi dal punto di vista motorio, fanno amicizia più facilmente anche con i maschi (che non vogliono assolutamente giocare con le femmine), i maschi invece sono più aggressivi, scoordinati e impulsivi.

minibasket femminile

Le femmine possiedono una maggiore mobilità articolare e un miglior equilibrio rispetto ai maschi, sono meno coordinate dei maschi per quanto riguarda il lanciare e il ricevere.

Hanno paura del contatto e del “touching” sulla palla, sono meno aggressive dei maschi, sono uguali ai maschi per quanto riguarda il controllo della respirazione e la strutturazione spazio-tempo.

Fino a 11 anni la differenza tra maschi e femmine, per quanto riguarda la forza, è minima, poi a partire da quest’età l’incremento è maggiore nei maschi.

Dopo la pubertà i maschi hanno in media una forza che è di circa il 40% superiore a quella delle femmine.

Il Minibasket femminile

In Italia negli ultimi anni c’è stata una limitazione nell’avviamento delle bambine al Minibasket, in quanto ritenuto dai genitori un giocosport adatto ai maschi e per molte famiglie per le femmine è meglio la pallavolo, la danza, la ginnastica artistica, il pattinaggio, ecc.

E’ un discorso culturale, l’attività sportiva è per tutti, maschi e femmine indiscriminatamente!

L’immobilismo della Federazione Italiana Pallacanestro

Molte regioni “faro” nel Minibasket e nel basket giovanile femminile negli anni ’80-’90 e 2000:

  • Lombardia,
  • Emilia-Romagna,
  • Veneto,
  • Friuli Venezia Giulia,
  • Lazio,
  • Sardegna,
  • Puglia,
  • Piemonte, ecc.

oggigiorno hanno pochissime “adepte”, il Minibasket femminile e il basket giovanile non sono più “appetibili” e sicuramente non si risolve il problema con:

Ci vuole ben altro!

Conclusioni

Cara Federazione Italiana Pallacanestro fai qualcosa, rivaluta il Minibasket e il basket femminile, non sono di serie B!

Al posto dei progetti …

prendi le bambine per mano e accompagnale!

di Maurizio Mondoni

studenti - atleti

Tutelare gli studenti-atleti

…significa fare favoritismo?

La vita dell’atleta agonista non è affatto semplice, soprattutto quando va coniugata con la scuola/università o il lavoro.

A volte le difficoltà sono tali che i ragazzi gettano…

…la spugna e abbandonano uno dei due percorsi.

Molto spesso la scelta è obbligata dall’atteggiamento dei loro superiori:

che non fanno il minimo sforzo per comprendere le criticità di una dual career

  • scarsità di tempo,
  • stanchezza fisica e mentale,
  • frequenti spostamenti

né per venire loro incontro concedendo flessibilità sufficiente per conciliare le due vite.

Nel mondo della scuola, anche del lavoro, l’ostacolo maggiore all’integrazione degli studenti-atleti è rappresentato dai pregiudizi nei loro confronti.

delusione
foto da tredicesimoround.it

È molto diffuso il cosiddetto stereotipo “dell’atleta stupido”: la maggior parte dei professori cioè pensa che se un ragazzo si impegna tanto nello sport, allora lo studio non fa per lui.

Il pensiero inverso è diffuso tra gli allenatori, i quali pensano che se si dedica troppo alla scuola, non riuscirà a prepararsi a sufficienza per le gare.

Su quali basi scientifiche si fonda questa idea?

Nessuna!

Anzi si potrebbero fare molti esempi che è vero il contrario.

Si tratta, quindi, di una convinzione culturale, a priori e profondamente sbagliata, diffusissima in Italia, che impedisce una dual career serena.

La parzialità?

Un’altra credenza diffusa riguarda l’idea del “favoritismo”.

Finalmente negli ultimi anni a livello ministeriale sono stati presi dei tiepidi provvedimenti per sostenere gli studenti-atleti, ma molti docenti e dirigenti ostacolano i progetti perché li vedono come un favoritismo rispetto agli studenti che portano avanti un solo percorso di vita.

Prendendo in esame alcuni importanti documenti, è facile dimostrare come questa idea sia scorretta e che, al contrario, gli studenti-atleti si vedono negati i propri diritti di esseri umani, cittadini e studenti.

Leggi, articoli e costituzione

La “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” delle Nazioni Unite, all’articolo 26 comma 1, recita:

“Ogni individuo ha diritto all’istruzione”,

e al comma 2,

“L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana e al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.”

Il diritto allo studio è definito come diritto di tutti, ma la verità è che nella quotidianità non è riconosciuto ai giovani atleti poiché, senza la comprensione di dirigenti scolastici e professori, spesso sono costretti a compromettere la loro istruzione per raggiungere i vertici nello sport.

Passando alla nostra Costituzione all’articolo 3, comma 2, è scritto che

occorre garantire a tutti le medesime opportunità rimuovendo ogni ostacolo che possa impedire il pieno sviluppo della persona.

Ne consegue che ogni individuo è libero di perseguire il proprio sviluppo come meglio crede senza per questo essere discriminato.


Ancora, l’articolo n. 34,

“la scuola è aperta a tutti”,

introduce il principio di uguaglianza di opportunità educative, a prescindere da qualsiasi differenza.

Purtroppo nella realtà avviene di frequente che gli atleti vengano discriminati per la loro scelta di vita, spesso proprio dalle figure che maggiormente dovrebbero sostenerli (insegnanti, allenatori, datori di lavoro).

La Legge di Riforma 53/2003 sottolinea il diritto di tutti gli alunni alla personalizzazione dei percorsi di apprendimento.

Di nuovo, si tratta di un diritto del quale devono godere tutti gli studenti, nessuno escluso.

Altre norme

È possibile rintracciare anche norme più specifiche come la direttiva del 27 dicembre 2012 che

riconosce specificatamente il diritto all’istruzione dei bambini con Bisogni Educativi Speciali.

I cosiddetti BES sono ragazzini che si trovano a vivere, per un tempo più o meno lungo e per qualsiasi motivo, una situazione che li ostacola nell’apprendimento e nello sviluppo.

Gli studenti-atleti rientrano a pieno titolo in questo gruppo di allievi.

La dual career, infatti, è un percorso che, sebbene comporti molti benefici, si accompagna anche a notevoli difficoltà le quali, se non adeguatamente fronteggiate, possono tradursi in disagio psico-fisico e/o in abbandono della carriera scolastica o sportiva.

Nonostante ciò ancora oggi l’inclusione viene in genere rivolta soltanto agli allievi che presentano svantaggi motori e/o cognitivi, economici o sociali.

Al contrario, come definito nell’ Index per l’inclusione:  

“l’inclusione si riferisce all’educazione di tutti i bambini, ragazzi con BES e con apprendimento normale”

perciò ne consegue che la scuola deve essere un ambiente che risponde ai bisogni di tutti i suoi utenti.

Ogni ragazzo deve avere il diritto di sviluppare tutte le sue potenzialità, mentali ma anche pratiche, fruendo allo stesso tempo dei percorsi didattici grazie ai quali potrà godere di un positivo inserimento nel tessuto sociale, civile e lavorativo.

Conclusione

Infine, se per gli alunni stranieri o con svantaggio socio-economico è riconosciuta e prevista a livello nazionale la stesura di un Piano Didattico Personalizzato, gli atleti, che godono degli stessi diritti di qualsiasi altro studente, devono avere la possibilità, non passeggera e legata a una sperimentazione come accade attualmente, di vedersi redatto un Progetto Formativo Personalizzato.

In modo che individui tutte le criticità della loro condizione, a partire dalle assenze superiori alla media fino ad arrivare al tempo limitato da spendere nello studio individuale.

La richiesta di maggiore comprensione e flessibilità in presenza di una doppia carriera non nasce dal desiderio di avvantaggiare gli sportivi ma ha come obiettivo quello di rispettare le leggi italiane, restituendo loro quello che è un diritto di tutti gli allievi:

apprendimento in un clima sereno, di disponibilità, condivisione, sostegno e collaborazione.

di Virginia Abbagnale

Organizzazione lavoro

ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO DI STAFF

Seconda parte
(questo è il link alla prima parte “creare uno staff e lavorarci assieme”)

E’ il momento di entrare nell’ambito delle dinamiche collaborative all’interno dello staff nei vari periodi dell’anno.

Fare la squadra

Su ogni obiettivo di “mercato” cerco di incrociare informazioni, valutazioni (frutto di esperienze sul campo o di scouting video approfondito) ed idee con i miei assistenti per quanto riguarda la parte tecnica e col mio preparatore per gli aspetti fisico-atletici.

Studiare il gioco della squadra ed impostare il precampionato

Centrati gli obiettivi si passa ad una fase estremamente approfondita di conoscenza delle caratteristiche tecniche dei giocatori che formeranno la squadra.

Laddove possibile, per ogni giocatore, cerco col mio staff di scoutizzare più di un’annata e di individuare tutte quelle soluzioni che, inserite in un contesto collettivo, possano esaltarne le prestazioni individuali.

scouting 2
scouting

Sempre attraverso la collaborazione di tutti si fanno le scelte relative agli attacchi da utilizzare, ai concetti difensivi e, più in generale, alle regole che dovranno diventare patrimonio della squadra.

Quello che nasce in questa fase va comunque testato sul campo e non bisogna esitare a tornare sui propri passi nel caso ci si accorga che qualcosa è migliorabile o addirittura sbagliata.

Nulla è più coerente che cambiare le proprie idee sulla scorta di esperienze che smentiscano le certezze teoriche.

Contestualmente si lavora per organizzare il precampionato.

Con l’intero staff:

  • decidiamo quanti giorni prima delle gare ufficiali iniziare,
  • stabiliamo l’alternanza di lavoro tacnico-fisico,
  • i lavori congiunti e i giorni di riposo,
  • determiniamo i carichi di lavoro legandoli agli obiettivi tecnici stabiliti col club,
  • con gli assistenti programmo le date delle gare amichevoli,
  • stabiliamo gli obiettivi tecnico tattici dell’intero periodo e quelli settimanali
    • inserendoli in una logica di compatibilità col lavoro fisico.

A proposito dei carichi di lavoro  vorrei focalizzare un aspetto che differenzia di tanto la realtà del basket attuale da quella di ieri.

E’ innegabile che aumentare i carichi in certi periodi del precampionato possa inficiare il rendimento tecnico in alcune partite amichevoli ed a volte si rischia davvero di avere la squadra talmente “imballata” da subire sonore lezioni.

Questo ieri rappresentava un fattore di minimo rischio mentre oggi, nell’era del tutto e subito, può aprire profonde lacerazioni nel rapporto tra allenatore e club.

Io credo che il coach debba avere ben chiaro quello che è l’obiettivo finale senza farsi condizionare troppo ma è innegabile che il problema spesso esiste per cui sono convinto che vada fatto un ragionamento con se stessi  per stabilire se e fino a che punto si sia in grado di gestire situazioni simili.

Precampionato

La prima settimana di lavoro è solitamente conforme a quella prestabilita ma è frequente l’esigenza di  dover attualizzare le settimane successive in base ad una serie di criteri come:

  • la presenza o meno di infortunati,
  • il grado di  metabolizzazione del lavoro fisico fatto precedentemente o di assimilazione dei concetti tecnici,
  • l’esigenza di accelerare/decelerare a seconda delle risposte date dal campo,
  • la necessità di individualizzare i lavori di alcuni giocatori troppo indietro e troppo avanti.
programma allenamenti
da aiaroma.it

Tutto ciò deve essere frutto di analisi settimanali che lo staff deve assolutamente affrontare nella sua interezza.

Campionato

Inizia la fase più tattica.

Lo scouting degli avversari e la preparazione delle partite rappresentano una parte fondamentale e spesso decisiva del lavoro di staff.

Credo che il basket sia molto cambiato rispetto a un decennio fa o più.

Prima era frequente incontrare squadre capaci di fare scelte difensive diverse sulle stesse situazioni a seconda del giocatore, del lato di campo e di altri parametri di volta in volta analizzati.

Oggi questo è impossibile per l’eterogeneità anagrafica dei giocatori che compongono la squadra e per il processo di crescita tecnico-tattica degli stessi.

Credo sia molto più efficace avere poche regole, precise e facilmente metabolizzabili.

Di partita in partita si faranno piccoli adattamenti senza mai uscire dalle regole.

Sulla base di questo concetto  va impostato il lavoro di scouting e di valutazione delle scelte con gli assistenti ed il preparatore

In queste due fasi, PRECAMPIONATO e CAMPIONATO, il lavoro di staff si sviluppa in tre momenti differenti:

  • FUORI DAL CAMPO
  • IN CAMPO
  • IN PARTITA
Fuori dal campo
Scouting prossimi avversari

L’assistente addetto deve visionare almeno due gare dei prossimi avversari e produrre un report video che mi piace avere a disposizione subito dopo la partita precedente.

(Durante la settimana va scremato e mostrato alla squadra nella forma più breve e impattante possibile).

Deve contenere tutti gli attacchi usati in transizione e metà campo (da questi si estrapoleranno i 4/5 più usati su cui si lavorerà durante la settimana), le scelte difensive della squadra analizzata e le caratteristiche dei giocatori.

Scouting propria partita

A volte, se le circostanze lo richiedono, è opportuno produrre un video su se stessi.

Personalmente reputo che questo non vada fatto sistematicamente ma solo se c’è da enfatizzare qualche aspetto estremamente importante sia in negativo per correggere che in positivo per rafforzare la fiducia in qualcuno o qualcosa.

Programmazione

Con lo staff vanno valutate e decise le scelte tecnico-tattiche e programmata la settimana di lavoro.

Di giorno in giorno vanno preparati i piani di allenamento.

Infine, sulla base delle scelte tattiche e delle relative verifiche sul campo, si appronta il piano di partita definitivo.

IN CAMPO
Allenamenti

Gli assistenti devono conoscere a fondo il piano di allenamento e condurne parte a seconda delle capacità di ognuno.

Entrambi gli assistenti sulle 2 metà campo ed il primo assistente sul lavoro a tutto campo.

Il preparatore fisico avrà il proprio spazio in fase di attivazione e in eventuali lavori differenziati.

E’ ovvio che la profondità degli interventi degli assistenti dipenderà dalle capacità ed esperienza degli stessi.

Questo sia negli allenamenti di squadra che negli individuali e in quelli a gruppi per ruolo.

Se si hanno assistenti all’altezza si può anche assegnar loro la preparazione e lo sviluppo di una singola tematica tattica durante il corso dell’intero anno.

IN PARTITA
Riscaldamento

Lo conduce il preparatore o solo un assistente, sempre lo stesso.

Partita

Chiedo agli assistenti di parlarmi costantemente comunicando osservazioni e idee.

La stessa cosa dovrà fare il preparatore relativamente alla sfera fisica e alla fatica che “vede sulla faccia dei giocatori”.

Si può anche assegnare ad ogni assistente il compito di guardare  l’attacco o la difesa e, contestualmente, la redditività dei nostri attacchi e quella degli avversari.

Time out/Intervalli

Indicativamente:

  • i primi 20” per parlare con gli assistenti ed i restanti 40” per comunicare con la squadra nei time out;
  • 40” circa con gli assistenti e il resto  con la squadra durante gli intervalli tra quarti;
  • alla fine dei primi 20’ di gara ci si può dilungare un po’ di più ma non tanto da bloccare troppo la squadra in spogliatoio.

Ribadisco di essere assolutamente conscio che non in molte realtà è davvero possibile creare uno staff totalmente in grado di rendere pratiche le idee che ho esposto.

Io stesso, pur avendo avuto la fortuna di collaborare spesso  con assistenti e preparatori di buon livello, non ho sempre avuto la possibilità di lavorare con uno staff completo.

Lapalissianamente concludo,

meglio scegliere bravi tecnici e brave persone che bravi tecnici e basta.

di Domenico Sorgentone

Creare uno staff

CREARE UNO STAFF E LAVORARCI ASSIEME

Prima Parte

Tanti anni da capo allenatore di squadre senior hanno fortificato in me la convinzione che avere uno staff tecnico di alto livello sia la base imprescindibile per impostare una o più  stagioni proficue per il mio lavoro,…

…per il lavoro dei miei collaboratori, per il miglioramento tecnico-fisico dei giocatori che ho a disposizione e per l’ottenimento dei risultati che ogni club legittimamente si aspetta.

Introduzione

Cosa siamo noi allenatori se non manager a cui viene richiesta la capacità di saper utilizzare al meglio le risorse umane che gli vengono messe a disposizione ?

Domenico Sorgentone
Coach Domenico Sorgentone – da roseto.com

Usare le capacità tecniche dei giocatori, per dare un gioco alla squadra, che non sia solo imposto ma che prenda spunto da ciò che i tuoi giocatori sanno fare meglio, è l’unico modo, a mio modo di vedere, per riuscire ad ottenere un risultato tecnico il più vicino possibile al reale potenziale della squadra.

Allo stesso tempo, saper utilizzare i componenti dello staff, secondo le proprie attitudini e fornendo loro le giuste motivazioni che nascono dal reale coinvolgimento nelle scelte e nel lavoro quotidiano, è la via migliore per far si che chi collabora col coach diventi un reale valore aggiunto.

Per ultimare il discorso generale prima di entrare nel merito, vale la pena specificare che le condizioni di professionalità e di organizzazione delle società per cui si lavora sono talmente diversificate.

E’ impossibile per me dare dei concetti comuni a tutti per cui mi limiterò ad indicare i criteri che ho seguito nelle mie esperienze lavorative.

Formare uno staff

Ho sempre cercato di avere al mio fianco persone conosciute direttamente o attraverso le informazioni di colleghi.

Non sempre è possibile portare con sè uno o più componenti dello staff.

E’ quasi sempre possibile, però, conoscere a fondo i collaboratori che una società ti propone attraverso le loro esperienze pregresse.

Vanno, comunque, valutate anche sulla base delle proprie idee sulle persone che forniscono le informazioni.

Costruire una buona rete informativa è un aspetto fondamentale del lavoro di un allenatore perché  può fornire i mezzi per poter scegliere un giocatore o un collaboratore riducendo al minimo la possibilità di errore.

I ruoli fondamentali per formare uno staff che sia in grado di coprire la totalità degli aspetti necessari  sono tre, anche se qualcuno ha la fortuna di poterlo arricchire di ulteriori figure funzionali alla logistica dell’allenamento (appoggi, videoripresa, scouting ecc.).

Nell’ordine (non di importanza) sono:

Le caratterisitche

La caratteristica comune che cerco nei due assistenti è essenzialmente riferita ad una buon livello di conoscenza tecnico-tattica mentre  per tutte le altre qualità mi baso su criteri di complementarietà.

Almeno uno dei due deve:                            

  • essere un professionista per ragioni di tempo utilizzabile
  • avere buone conoscenze informatiche e capacità di match analysis
    • per lavorare sui video propri o degli avversari
  • avere inclinazione verso il lavoro individuale di miglioramento dei giocatori
  • essere un ex giocatore di buon livello
    • perché molti di loro sono in grado di percepire umori e situazioni di possibile rischio nei rapporti tra giocatore e giocatore e tra giocatore e staff.
    • Inoltre sanno guardare le cose dalla prospettiva dell’atleta oltre che da quella dell’allenatore. 

Attenzione però, non mi riferisco a tutti gli ex giocatori ma a quelli ormai formati e temprati dal campo in qualità di tecnici.

La scelta del preparatore fisico

Nella ricerca del preparatore tendo a guardare, con molto interesse,:

  • chi è in possesso di  una conoscenza approfondita della pallacanestro e delle sue specificità tecnicofisiche
  • chi ha una buona dose di esperienza settoriale 
  • colui che ha la capacità di saper mediare tra le proprie esigenze di carichi e tempi di lavoro e quelle dell’allenatore.

Questo ultimo aspetto è secondo me essenziale.

Tanti anni di carriera mi hanno insegnato che qualsiasi allenatore/preparatore che si rispetti è portato ad “accaparrarsi” più ore di allenamento possibili a scapito dell’altro aspetto del lavoro.

Saper mediare con razionalità evita squilibri dannosi e ottimizza la qualità del lavoro.

Tutto quello che ho scritto in relazione alle competenze ed alle qualità che cerco nei miei collaboratori è importantissimo:

ma niente raggiunge l’importanza che ha la statura umana delle persone di cui cerco di circondarmi.

Nota della redazione

Nella seconda parte dell’articolo, che pubblicheremo la settimana prossima (giovedi 2 dicembre 2021), si entrerà nell’ambito delle dinamiche collaborative all’interno dello staff nei vari periodi dell’anno.

di Domenico Sorgentone

sport-e-cultura

Breve riflessione su come si costruisce una cultura sportiva

L’argomento è dibattuto da tempo senza che vengano individuate con una certa precisione modalità ed effetti.

Spesso si tira in ballo la scuola come organo maestro nell’inculcare i principi dell’educazione, ma…

…non sempre l’istituzione scolastica dà del tu allo sport in quel rapporto virtuoso tra educatori sportivi ed alunni.

Il recupero della cultura sportiva

E allora il problema di recuperare una adeguata “cultura sportiva” lo si tira in ballo ogni volta che assistiamo ai fischi dell’inno nazionale della squadra avversaria o a imprecazioni razziste nei confronti del giocatore che ha una pelle differente da quella a cui si è abituati a vedere a queste latitudini.

Se invece sei un praticante o un addetto ai lavori, come si usa dire, cultura dello sport vuol dire anche la capacità di individuare i tuoi limiti per sapere come e dove intervenire.

Di saper riconoscere la superiorità dell’avversario, la consapevolezza assoluta ed indistruttibile che nulla si ottiene senza un duro lavoro.

Se fai parte di questo mondo sai benissimo che non c’è nulla che si possa anteporre al riconoscimento del merito – ovvero di quella nozione che nel resto della società italiana viene completamente ignorata.

Insomma, lo sport è – o dovrebbe essere – “un’altra cosa”.

È sempre stato così.

Ci dovrebbero essere variabili talmente obiettive da impedire scorciatoie o facilitazioni per chi non ha le caratteristiche per andare avanti, come, in genere accade in altri contesti a cominciare dalla politica, ma non solo.

Le domande

Ma chi dovrebbero essere quelli maggiormente in grado di piantare semi nel terreno?

Di predicare una forma corretta di approccio alla materia sportiva?

Di fare, di un popolo di commissari tecnici, della gente capace di riconoscere cosa sia lo sport ed i suoi valori?

Chi sono queste figure?

Probabilmente coloro i quali hanno un approccio diretto nel mondo sportivo, coloro che hanno delle responsabilità tecniche o dirigenziali ed anche e soprattutto quanti hanno a che fare con la materia della divulgazione.

Il ritratto

Se mescoliamo assieme questi elementi, ne viene fuori un identikit molto chiaro.

L’identikit corrisponde perfettamente alla figura dell’allenatore, a maggior ragione quando questa figura ha sovente attenzioni mediatiche continue:

l’allenatore della nazionale di calcio.

Quel ruolo non si limita a selezionare i migliori giocatori, a coordinare sedute di allenamento e stabilire principi tecnico tattici per raggiungere i migliori risultati.

Quel ruolo ha una enorme responsabilità anche nei confronti della divulgazione di una certa cultura sportiva.

D’altronde il calcio è lo sport di gran lunga più visto e letto sui mass media e quel ruolo deve essere ben consapevole del fatto che le sue dichiarazioni rivestono un ruolo di enorme rilievo anche nei confronti dei praticanti e nelle tifoserie di altre discipline.

L’affermazione

A tal proposito ho ascoltato le dichiarazioni del Commissario Tecnico italiano dopo la scialba prestazione dell’Italia in Irlanda che non ha consentito alla nazionale di ottenere il passaporto per i prossimi campionati mondiali.

Il C.T. esprime fiducia sulle residue possibilità della nazionale e poi afferma un altro concetto che estrapolo letteralmente:

“Andremo ai Mondiali a marzo e magari lo vinceremo”.

Non lo può sapere, ma soprattutto non lo può dire.

Un C. T. non può rilasciare una dichiarazione simile.

Perché?

Non ci si aspetta da un uomo di sport che parli come un qualunque politicante che sta per affrontare delle elezioni e che deve mostrare sicurezza e spavalderia perché quegli atteggiamenti possono far presa sull’elettorato.

Un uomo di sport predica la cultura dell’impegno e del sacrificio.

Nessuno meglio di lui sa che solo attraverso quel banco di prova si possono ottenere risultati, non vende la pelle dell’orso prima di averla comprata, e poi quell’orso, a vedere bene, pare ancora vivo e vegeto per essere comprato.

Senza contare il fatto che quella dichiarazione ha un effetto devastante anche nei confronti dei suoi stessi giocatori, i quali psicologicamente sono assolti dalle loro responsabilità.

Un C.T. che non riconosca i limiti della sua squadra, che:

  • che afferma di aver tenuto il pallino del gioco per tutta la partita
    • dimenticando che non ha quasi mai impensierito la porta avversaria
  • le occasioni migliori sono capitate proprio agli avversari
    • pure se non hanno tenuto in mano il pallino del gioco,

non ha la necessaria lucidità per inquadrare bene che momento sta vivendo la squadra e tutto l’ambiente circostante.

Conclusione

Senza questa obiettività, senza un bagno di umiltà, si è persa una importante occasione di far capire, in un colpo solo, a pubblico e addetti ai lavori, che bisogna ripartire da altre basi, con atteggiamenti differenti e senza mostrare alcuna gratuita arroganza.

umiltà sportiva
Luis Enrique – umiltà sportiva da golditacco.it

Quando si vince c’è fin troppa euforia per costruire messaggi educativi:

la vittoria è esaltante e gioiosa, ma è la sconfitta – o la mancanza di risultati momentanei -il momento migliore nel quale:

si può costruire la cultura della consapevolezza, del miglioramento e del sacrificio.

E in questo caso l’occasione è andata clamorosamente sprecata.

di Dino De Angelis

Le mie crociate

Le mie crociate: considerazione ad alta voce!

LA “RIVOLUZIONE CULTURALE” SCOLASTICA MOTORIA E SPORTIVA IN ITALIA DEVE PARTIRE DALLA FORMAZIONE UNIVERSITARIA DEI FUTURI INSEGNANTI.

A margine del Disegno di Legge relativo all’introduzione dell’Insegnante di Educazione Motoria nella Scuola Primaria, il motto e l’obiettivo principale da perseguire da parte dei Docenti ai…

…corsi di laurea in Scienze Motorie e dello Sport e Laurea Magistrale dovrebbe essere:

INSEGNARE A INSEGNARE.

O MEGLIO “IMPARARE A INSEGNARE

Insegnare a insegnare deve essere una componente fondamentale dell’azione dei docenti universitari.

E’ assodato che ogni Docente ha cercato e cerca di sviluppare “le proprie tecniche” per svolgere al meglio questo compito.

Nella maggior parte dei casi ha costruito la propria competenza in solitudine, oppure partecipando a Seminare e a Corsi di formazione.

L’Università non lo ha aiutato molto e non gli ha fornito gli elementi necessari per insegnare.

Bisogna “crescere” nella formazione, formare deve essere l’obiettivo per ogni Docente universitario!

In Università manca un momento di confronto comune con i colleghi:

  • uno scambio di idee sulle metodologie adottate,
  • una condivisione di pratiche e strumenti utili a innalzare la qualità della didattica e dell’apprendimento degli studenti.
INSEGNARE A INSEGNARE ATTRAVERSO LA DIDATTICA

Insegnare a insegnare deve essere il MANTRA in Università, per chi deve formare chi ha scelto di Insegnare a scuola, nello sport e nel mondo della disabilità.

Un Mantra che mira a rafforzare le competenze didattiche dei Docenti Universitari (Formatori), per innalzare la qualità degli insegnamenti e incoraggiare una didattica innovativa.

Si deve fare affidamento alle più recenti teorie della ricerca in campo didattico:

  • valorizzare l’apprendimento attivo “active learning”;
  • puntare alla centralità di chi apprende, attraverso modelli riflessivi (“reflective learning”)
  • esperienziali (“experiential learning”)
  • trasformativi (“trasformative learning”).
I PRINCIPALI OBIETTIVI

Ad esempio gli obiettivi fondamentali da fornire ai futuri Insegnanti durante le lezioni sono:

  • fornire loro le competenze di base per
    • progettare, condurre, comunicare e valutare l’attività di insegnamento e apprendimento svolta in aula;
  • costruire una comunità professionale che, interagendo attivamente al suo interno,
    • elabori, approcci, strategie, metodologie e pratiche volte a migliorare costantemente la propria pratica didattica.
La laurea ti abilita all’insegnamento?

La laurea non ti abilita all’insegnamento.

Sarebbe molto utile predisporre, post-laurea, un Corso di preparazione all’insegnamento per chi insegnerà nella Scuola Primaria, nella Scuola Secondaria oppure a livello universitario.

Pertanto basta con le lezioni frontali, con gli esami a crocette, con materie che servono a poco, con il didatticismo.

E’ opportuno attuare un percorso formativo che si struttura secondo un’organizzazione modulare costituita da temi importanti quali:

  • incontri frontali condotti in forma interattiva;
  • workshop pratici finalizzati alla sperimentazione di procedure, tecniche e strumenti per l’azione didattica;
  • valorizzazione delle disabilità e i percorsi da attuare.
Proposta formativa

Questa proposta formativa deve essere un impegno delle Università per cambiare gli ordinamenti delle materie contemplate nel percorso degli studi.

inclusiva

Deve essere rivolta a tutti i Docenti interessati a migliorare la qualità didattica e professionale attraverso:

  • progettazioni di corsi di insegnamento a seconda della scuola;
  • programmazione e obiettivi da raggiungere;
  • tecniche della comunicazione;
  • metodologie di insegnamento;
  • strumenti di e-learning;
  • metodologie di valutazione;
  • percorsi di tirocinio “veri”.

Concludendo:

un’Università inclusiva che Forma e non Indottrina.

di Maurizio Mondoni

La scuola inizia

LA SCUOLA SI AVVIA ALLA RIPRESA

CAOS, IPOCRISIA E INCERTEZZA

La scuola italiana si appresta all’inizio delle lezioni in un’atmosfera di grande incertezza e preoccupazione.

Le rassicurazioni che il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi dispensa quotidianamente a piene mani sui Media, TV, Tgcom2, FB e Social, le sue strombazzate del tipo:…

…“Noi oggi, dati alla mano, parliamo su base nazionale dell’85,5% del personale scolastico che si è vaccinato”, “Gli studenti si devono vaccinare!” ……. servono a poco e suscitano irritazione

Le scelte del governo sono?

E’ chiaro che le scelte del Governo non permettono ancora una volta un inizio delle lezioni sereno e sicuro, perchè:

  • gli organici sono in sottonumero;
  • il precariato e i concorsi sono in guerra;
  • pochi sono gli spazi e molte sono le “classi pollaio”;
  • i trasporti sono inadeguati;
  • il tracciamento?

Su nessuno di questi problemi fondamentali si sono fatti passi avanti significativi e pensare che il Governo ha avuto l’estate a disposizione per porvi rimedio.

E ancora

La “cabina di regia” ha concordato il “green pass” obbligatorio per:

  • il personale della scuola (Dirigenti, Insegnanti e Personale ATA e chi non è in regola sarà considerato assente ingiustificato e …… perderà lo stipendio);
  • i docenti universitari;
  • gli studenti universitari;
  • gli allievi delle scuole superiori con più di 16 anni.

Per quanto riguarda la vaccinazione obbligatoria resta aperta la discussione in merito al tampone (con prezzi calmierati).

L’ipotesi della gratuità dei test anti-Covid, spiegano fonti di governo, è stata scartata perché avrebbe potuto disincentivare i più giovani a immunizzarsi.

E allora cosa fa il Ministro MIUR Patrizio Bianchi?
  1. Fa scattare disposizioni ipocrite come quella del metro (flessibile) di distanziamento,
    • così nessuno dei Dirigenti Scolastici sa come effettuare i tanti controlli previsti e soprattutto, ancora una volta, non è garantita la copertura di tutte le cattedre in autunno e forse fino a Natale.
  2. Vuole creare un’app “ad hoc” per controllare il “green pass” degli Insegnanti e personale scolastico che funzionerà con un sistema a semaforo:
  • disco verde per chi è in regola;
  • quello rosso per chi ha il certificato scaduto.

Ci sono i vigili per le multe?

Afferma inoltre:

  • “E’ tempo di fare una RIFORMA DELLA SCUOLA e non ho paura di usare questa parola.
  • Nel programma “Scuola d’estate” abbiamo messo molte risorse, soprattutto al Sud e abbiamo risposto a problemi specifici dei ragazzi.
  • Uno dei nostri punti di forza è stata l’inclusione sociale unita alla nostra tradizione umanistica, che siamo riusciti a “legare” ai nuovi approcci tecnologici.
  • Da questo partiremo quest’anno per fare un grande cambiamento”.

E bravo il Ministro, ha trovato la “formula magica”: Riformare la Scuola Italiana!

In questi ultimi anni sono cambiati tanti Ministri dell’Istruzione (a seconda dei “colori politici”) e ognuno ha parlato di riforme, di programmi (“La Buona Scuola, sic!), di ………, ma non è cambiato niente o quasi.

Conclusioni

Invece di controllare il “green pass” per il personale scolastico, sarebbe ora di:

  • costruire nuovi edifici scolastici;
  • creare classi aperte, funzionali, moderne, a misura di alunno, studente;
  • costruire nuove palestre, piscine e impianti polivalenti;
  • predisporre nuovi programmi “al passo dei tempi”, moderni;
  • preoccuparsi delle disabilità scolastiche e creare strutture idonee “ad hoc”;
  • migliorare i trasporti;
  • rivalutare la professionalità del personale scolastico (Dirigenti, Insegnanti e personale ATA).

Ma purtroppo quest’anno all’inizio della scuola si delinea la seguente situazione e …….. questo è il quadro che il Governo ci ha preparato una scuola:

  • meno sicura;
  • che colpisce il diritto allo studio dei ragazzi/e più fragili;
  • che registra carichi di lavoro fuori da ogni contrattazione per docenti e personale ATA;

si delinea forse ancora la DaD e

La DaD da proteofaresapere

sarebbe il disastro più assoluto!

di Maurizio Mondoni

Cooperative learning

APPRENDIMENTO COOPERATIVO (COOPERATIVE LEARNING)

L’apprendimento è la nostra capacità di adattarci a situazioni diverse cercando sempre la soluzione adeguata.

Ogni risposta è la base di un nuovo apprendimento.

Apprendere è il verbo all’infinito più usato nella scuola perché è la finalità di ogni insegnamento, è il fratello gemello dell’altro verbo all’infinito imparare.

Apprendere, da ad-prehendere, significa acquisire, afferrare, catturare, se un ragazzo impara qualcosa quella diventa sua, gli appartiene, se ne impossessa, farà parte del suo…

…bagaglio culturale e non lo lascerà più, quella cosa insieme alle altre porterà alla costruzione di una nuova conoscenza che costruirà la sua persona definendola.

L’esempio

Infinite sono le possibilità di apprendere e l’apprendimento cooperativo è la modalità di insegnamento più adatta perché si basa sull’interazione all’interno di un gruppo di allievi che collaborano, cooperano, al fine di raggiungere un obiettivo comune.

Io ho imparato a portare la bicicletta senza rotelle e senza rompermi i denti a 4 anni, osservando e giocando con un mio amico della mia stessa età che la guidava con sicurezza, dopo che qualche giorno prima avevo frantumato i vetri del corridoio a casa.

Esempio cooperative learning
foto di Yan Krukov
Attività cooperativa non lavoro di gruppo

Con l’apprendimento cooperativo si insegna e si apprende insieme a, si fa squadra, svolgendo attività in coppie o terzetti, con un numero maggiore ci sarà sempre chi cerca di imboscarsi.

Nelle coppie e nei terzetti cooperativi la comunicazione è facilitata:

  • si sottolinea un testo ma anche si discute
  • si fanno insieme mappe o riassunti cooperativi
  • ci si esercita insieme
  • si ragiona o si scrive insieme

ognuno deve offrire il suo contributo altrimenti l’attività cooperativa non si potrebbe portare a termine.

L’attività cooperativa si differenzia dal lavoro di gruppo, dove a cooperare sono dai 4 studenti in su, perché in questo caso c’è un maggiore rischio di dispersione, sovrapposizione, con qualcuno che cerca di imboscarsi lasciando fare il lavoro agli altri.

Gli studenti si aiutano reciprocamente, sentendosi corresponsabili del reciproco percorso.

Il lavoro congiunto e il confronto con coetanei che vivono la stessa esperienza sono risorse preziose per la costruzione di una identità personale e sociale integrale.

Confrontandosi con il pensiero degli altri sulla base delle proprie idee e del proprio bagaglio esperienziale, anche gli studenti più impegnativi possono essere valorizzati come autori legittimi di conoscenza e acquisire la consapevolezza di essere considerati persone portatori di storie, interessi e finalità soggettive.

Tali risultati positivi sono più facilmente conseguibili quanto più l’insegnante prepara accuratamente le coppie e i terzetti.

cooperative
Foto di Yan Krukov

Quando l’incoraggia ad impegnarsi in controversie e confronti di punti di vista piuttosto che a perseguire l’unanimità e il conformismo.

Percorrere una strada in un solo senso di marcia non permette il confronto e non ti fa apprezzare il paesaggio ma soprattutto impoverisce la costruzione di relazioni sociali.

John Dewey e Lev Vygotsky

Si potrebbe sinteticamente richiamare il pensiero di John Dewey e di  Lev Vygotsky fortemente convinti che

la scuola deve diventare un vero e proprio laboratorio per imparare ed imparare ad imparare in un clima collaborativo, cooperativo, perché nel gruppo si può fare quello che non è possibile fare da soli.

Fondamentali sono le attività in coppia o terzetti possibilmente eterogenei, almeno per mezz’ora al giorno, dove non verranno stabiliti ruoli permanenti per consentire a tutti di scambiarseli in base alle diverse esigenze, tutti saranno leader e gregari.

Nel ciclismo ho sempre apprezzato il ruolo dei gregari quelli che stanno a fianco del loro compagno leader a cui tirano la volata, lui taglia il traguardo ma a vincere sono tutti insieme.

L’apprendimento cooperativo permette più facilmente di dimostrare le competenze acquisite in base alle proprie potenzialità.

Lo studente impara insieme al compagno ad utilizzare le sue conoscenze ed abilità in situazioni diverse perché nel confronto ha imparato a distinguerle.

Le occasioni

Studiare regolarmente in coppia o terzetti insegna a ragionare sui:

  • problemi da prospettive diverse
  • a riorganizzare il proprio modo di pensare
  • ad attribuire un nuovo significato alle proprie esperienze
  • a modificare i comportamenti

e questo implica una capacità di cambiamento e di adattamento che facilita una didattica veramente inclusiva.

Una scuola esclusivamente competitiva ed individualistica spinge gli studenti all’abbandono scolastico perché crea un ambiente ostile che non ispira fiducia.

abbandono scuola
Foto di cottonbro

Una scuola cooperativa ed altruistica spinge, invece, al confronto, alla relazione, alla comunicazione, al ragionamento, alla soluzione dei problemi, alla creatività, allo sviluppo delle idee.

L’insegnante avrà il compito di osservare, stimolare, orientare, facilitare la partecipazione di ognuno, senza mai offrire soluzioni preconfezionate, in modo che tutti possano apprendere.

In questo modo si sviluppa la competenza di convivenza civile strettamente legata all’intelligenza legata alla capacità di mettersi in relazione con il mondo e con gli altri.

La forma di intelligenza più importante quella che sviluppa l’abilità sociale, la caratteristica maggiormente richiesta in ogni curriculum.

La competenza non può compiersi fuori da un contesto relazionale. 

L’intoppo

La difficoltà spesso è degli insegnanti che sono abituati, per tradizione ed esperienza personale, alla lezione di tipo frontale.

lezione frontale
Foto di Max Fischer

Nella maggior parte delle volte utilizzano un’unica modalità espressiva per trasmettere agli studenti informazioni e contenuti.

Si aggiunge, poi, a questa la loro inesperienza a lavorare in gruppo perché non sono stati formati all’insegnamento di squadra (team teaching).

Il modello è stato ed è spesso ancora questo:

l’insegnante ha un carico di sue conoscenze, lo scarica in classe, assegna agli studenti il compito di trasportare per un po’ il peso a casa per poi farselo riconsegnare senza nessuno sconto alla prossima fermata, la prova di verifica.

Conclusioni

La valutazione delle conoscenze acquisite si basa sulla restituzione fedele dello stesso carico.

Seppure la soluzione è intuitiva, basterebbe suddividere il carico in modo da renderlo più leggero tra gli studenti, quelli con le spalle più larghe potrebbero aiutare i più gracili chiedendogli solo di aiutarli con le forze che possono impegnare.

cooperative learning 2
Foto di Yan Krukov

Il segreto è che tutti devono metterci almeno una mano.

Ognuno è responsabile del carico, del suo studio.

In questo modo vengono rispettate le difficoltà e i tempi di apprendimento dei singoli studenti.

di Pasquale Iezza

Stretching yes or not

Stretching: yes or not?

Con la fine della stagione agonistica, ma soprattutto con l’inizio delle preparazioni precampionato per moltissimi preparatori e sportivi, torna in gran voga l’ormai vecchio dibattito sulla valenza dello stretching.

Fa bene? fa male? Non fa niente?

Una risposta assoluta come “si” o “no” a questa domanda, non solo è sbagliata a priori, ma anche del tutto assurda.

Innanzitutto è bene ricordare che con la parola stretching, spesso si intendono esercitazioni molto diverse tra loro, che inducono adattamenti differenti.

Credo si possa ormai affermare, senza molti dubbi, che in sport che non richiedono una particolare mobilità articolare, lo stretching statico (il più diffuso e conosciuto) eseguito in maniera maniacale, sia, se non negativo, per lo meno inutile.

E’ evidente, però, che per atleti giovanissimi che si avvicinano a qualsiasi tipo di disciplina non deve essere vietato.

Giovani stretching
Foto di Ketut Subiyanto
GLi abitudinari e i vari esercizi di stretching

Non bisogna però dimenticare che “molti atleti” sono “affezionati” ai loro riti preventivi e preparatori.

Spesso i possibili effetti negativi indotti dal divieto brusco, può superare quelli indotti dal fare, appunto, lo stretching statico.

Diverse sono le tecniche di stretching, come:

Lo stretching balistico

Molto in voga negli anni passati, consisteva nell’arrivare in posizione di allungamento molleggiando sui muscoli tesi.

Si forzano le parti del corpo in posizioni che oltrepassano il normale range di movimento (ROM), utilizzando lo slancio di un movimento oscillante.

Si arriva cioè in posizione di massimo allungamento, e poi si tenta di andare oltre questa posizione con un movimento brusco e violento.

Oggi questa metodologia è fortemente sconsigliata, perché si mettono a repentaglio l’integrità delle strutture muscolo-tendinee delle articolazioni interessate.

Lo stretching statico

E’ il più conosciuto.

Consiste nell’assumere lentamente una determinata posizione, diversa per ciascun muscolo o gruppo di muscoli, che va mantenuta per un periodo di tempo più o meno lungo.

Può essere attivo o passivo.

Quello Passivo differenzia dall’attivo, per l’intervento di altre persone o attrezzi che aiutano a raggiungere la posizione.

Lo stretching dinamico

Consiste nell’allungare un certo gruppo muscolare con oscillazioni e movimenti controllati.

L’escursione aumenta progressivamente fino a raggiungere il grado desiderato, per poi aumentare anche la rapidità del gesto.

Stretching dinamico
Stretching dinamico – da running studio
PNF “facilitazione propriocettiva neuromuscolare” o Isometrico

Esistono varie tipologie di stretching PNF, ma il più utilizzato consiste nell’allungare e contrarre la muscolatura durante la fase di stretching e approfittare della stanchezza della muscolatura che è stata contratta pochi secondi prima, per allungarsi sempre di più.

Quindi

Dire che lo stretching fa bene a priori, è sbagliato. Dire che lo stretching va evitato come la peste, è sbagliato.

Siamo dei professionisti con un bagaglio culturale che spazia dall’anatomia umana, alla fisiologia, biochimica, biomeccanico.

Pertanto siamo tenuti a conoscere nello specifico gli adattamenti indotti da tutte le diverse metodiche di stretching, e solo attraverso questa conoscenza saremo in grado di utilizzarle al meglio in base alla programmazione specifica per obiettivi.

Esempio

Molte tecniche di stretching statico, di cui oggi si parla tanto male, trovano un largo e positivo utilizzo in discipline che richiedono una grande mobilità articolare come la ginnastica artistica o il nuoto sincronizzato e la prevenzione ai traumi in quasi tutti gli sport.

Quindi, come già detto in tante riunioni tecniche e dibattiti in forum specializzati, avere conoscenze non vuol dire applicarle in modo indiscriminato senza rielaborarle alla luce delle proprie esperienze, degli anni di lavoro, di osservazione e di valutazione.

Un monito ai colleghi educatori – istruttori – preparatori fisici

Cerchiamo e continuiamo ad avere un approccio personale alle cose e di rielaborare le proprie conoscenze in modo elastico e funzionale: i libri e i testi non sono bibbie ma strumenti di notevole aiuto per permetterci di approfondire e studiare.

Vi invito infine a leggere alcune interessanti pubblicazioni sull’argomento del Prof. Gilles Cometti, un cardine nel nostro ambito.

Gilles Cometti
Gilles Cometti al lavoro con un atleta – da performancelab
Conclusione

Per quanto mi riguarda dedicare qualche minuto alla pratica dell’allungamento, in base alla mia esperienza pratica, ai miei approfondimenti ed alle mie continue partecipazioni a clinic specialistici,

va a completare quella che viene chiamata “programmazione ordinaria”.

di Tiziano Megaro


Copertina Peer education

Educazione tra pari

PEER EDUCATION

Non insegno mai nulla ai miei allievi cerco solo di metterli in condizione di poter imparare”.

Albert Einstein

Gli insegnanti hanno il compito fondamentale di dare di più a chi ha momentaneamente di meno.

Maestro deriva da magister che a sua volta discende da magis che significa:

gli studenti hanno bisogno di qualcuno che gli dia di più.

Un facilitatore che in modo positivo li…

…accompagni nella costruzione dei loro saperi non dando niente per scontato.

Spesso nelle scuole si adottano metodi di apprendimento dove si mettono gli studenti in competizione, vale chi ha successo, chi è protagonista, chi è capace di performance eccellenti.

E’ una gara a chi sa di più, un confronto spietato dove se non ti classifichi nelle prime posizioni, quella dei migliori, ti senti inadeguato, incapace, minore rispetto all’altro, ed è proprio questo da evitare.

L’insegnante deve fare in modo che chi ha un talento lo coltivi per poi donarlo a chi ha maggiori difficoltà, solo in questo modo diventa veramente fertile.

Insegnare
Una corretta educazione

Offrire qualcosa all’altro non determina un rallentamento degli eccellenti anzi facilita il rafforzamento delle loro conoscenze perché possono ripetere con parole diverse quello che hanno appreso.

Gli ebrei utilizzano il metodo di ripetere ad alta voce ad un compagno la lezione da imparare, in questo modo memorizzano e solidificano i  saperi.

Una corretta educazione non mira a far:

  • correre il più velocemente possibile,
  • leggere o scrivere in fretta
  • parlare speditamente
  • a dire le tabelline senza respirare,

perché ognuno ha i suoi tempi che vanno rispettati.

L’apprendimento

Ogni studente è un universo a parte, ricco di curiosità, di idee, di interessi, che va ascoltato singolarmente per fargli scoprire le sue infinite possibilità di adattarsi al mondo.

Gli insegnanti sanno che l’apprendimento non è un percorso isolato ma una strada da percorrere insieme, un correre passo dopo passo da singolo si arriva a moltiplicarsi con gli altri.

L’apprendimento è un processo fondamentalmente sociale, una pratica costruita insieme, una co-costruzione.

L’apprendimento è costruttivo quando quello che si apprende viene messo in contatto con l’informazione già conosciuta in modo da poterla riorganizzare in un procedimento migliorativo, questo è più agevole quando si ha la possibilità di condividere le informazioni.

L’educazione alla pari non è altro che questo:

imparare dall’interazione

Un compagno che ha capito già qualcosa e sta più avanti nel percorso diventa il tutor di chi sta un po’ più indietro, l’obiettivo è colmare il vuoto tra i due in modo che i ruoli nel tempo possano invertirsi.

Imparo ad imparare

Questo  è molto importante nell’attività motoria, dove spesso dietro un rifiuto a praticarla c’è un’ansia, una frustrazione, una difficoltà a mostrarsi che quando viene superata libera anche la mente.

E’ questo il vero significato dell’imparare ad imparare.

Io imparo ad imparare quando imparo a colmare le distanze tra me e:

  • il compagno più bravo,
  • la disciplina,
  • la conoscenza,
  • l’insegnante,
  • il mio disagio.

Non è mai una lotta contro qualcuno ma è un processo di riempimento.

Sono vuoto di qualcosa, e questa mancanza non mi permette di arrivare alla pienezza, al compimento per cui sento il bisogno di apprendere.

Dal compagno che ha la mia stessa età, è alla pari con me, imparo più in fretta perché lui mi fa capire il senso di quello che sto apprendendo perché lui ha scoperto un significato nel trovare la soluzione ad un problema.

Quel significato, quella risposta di senso, mi facilita il cammino aiutandomi a trovare la risposta senza nessuna pretesa di fare il mio insegnante ma con l’atteggiamento dell’esploratore che ha la gioia di condividere la sua scoperta.

La positività

Non serve scoraggiarsi alle prime difficoltà, far rotolare il morale raso terra, è  normale non capire subito qualcosa, o non riuscire a svolgere un gesto motorio, e soprattutto “nidda nasciu imparatu” come  recita un simpatico proverbio sardo, “nessuno è nato conoscendo le cose”.

Tutto dipende da come la mente percepisce il mondo, non è utile sentirlo ostile.

Chi pensa che un problema, un compito, un esercizio siano insormontabili, che ormai è tutto inutile, non vale la pena impegnarsi, meglio copiare.

Diventa un complice della:

  • negatività
  • critica
  • lamentela
  • falsità
  • passività

e finisce con il dipendere sempre da qualcuno:

non è mai completamente libero. 

L’atteggiamento vincente è quello di riuscire ad essere positivi, di mantenersi calmi e sereni, di affrontare la difficoltà nello studio riponendo la propria fiducia nell’altro.

Ci si farà aiutare con lo scopo, però, di diventare al più presto autonomo.

Bisogna avere una meta, e se questa viene da noi, è una buona meta, una meta del bene.

Insegnare ad imparare

Il compito dell’insegnante è esclusivamente quello di insegnare ad imparare.

L’educazione tra pari è una metodologia che pone gli studenti al centro del sistema educativo.

In particolare l’attenzione è posta sul gruppo dei pari, che costituisce una sorta di laboratorio sociale in cui sviluppare dinamiche, sperimentare attività, progettare, condividere, migliorando l’autostima e le abilità relazionali e comunicative.

Nello specifico

Si fonda su un approccio cooperativo dell’apprendimento in quanto si propone agli studenti di utilizzare le competenze acquisite per insegnarle ai propri compagni.

E’ basato sul lavoro in coppie o piccoli gruppi di pari dove uno è più esperto e assume il ruolo di tutor, di tutore: l’altro, meno esperto, è colui che deve apprendere, il tutee, il tutelato.

Il tutoring pone l’obiettivo educativo primario di imparare a studiare con gli altri.

Il ruolo dell’insegnante è di regia, in quanto attiva, organizza ed orienta verso il compito le potenziali risorse di apprendimento dei singoli alunni.

L’adulto o il coetaneo più esperto “offre” il suo modello di problem solving, non il contenuto, quindi, non il piatto servito e direttamente da imboccare ma le posate per poterlo mangiare.

Così c’è sempre una stampella a cui appoggiarsi per chi ne ha bisogno, un cucchiaio che ti viene offerto per la minestra riscaldata (scaffolding).

Imparare ad imparare è la competenza che preferisco.

Imparare dal latino significa acquistare.

E’ una parola composta da un in illativo e da parare (procurare) e quindi rimanda al catturare, acquistare una conoscenza.

Imparando prendo con me, un qualcosa che diventerà una risorsa che può consistere in un sapere, un’abilità o un comportamento, un qualcosa che è concreta e che farò mia, e allora diventerà veramente una mia preda, presa unicamente per me, ap-presa.

Questa preda ha però una particolarità, una volta catturata non vuole restare immobile nel mio carniere ma ha le ali della condivisione.

Ogni conoscenza acquisita spinge al volo, all’apertura, imparare diventa in questo modo un esercizio di mettere le proprie cose alla pari con l’altro che condivide con me compiti e finalità.

C’è sempre il pari nell’imparare, solo così il sapere sarà veramente fecondo.

L’uno diventa risorsa per l’altro.

Conclusione

Imparare è quindi anche un imparare a riconoscere se stesso e chi è diverso da se, accogliere i diversi stili di apprendimento.

Conoscenza e riconoscimento sono strettamente collegati e permettono alle persone finalmente di esistere, quel compagno che hai aiutato o dal quale sei stato aiutato ora c’è per te e ci sarà per sempre.

Questa naturale propensione al sapere condiviso, diviso con l’altro, è la prima tra tutte le pratiche didattiche che deve essere messa in opera e rafforzata nella nostra scuola.

Il grado di riconoscimento di ogni componente del gruppo, con le sue:

  • caratteristiche peculiari e speciali,
  • l’accettazione e la valorizzazione delle uguaglianze e delle differenze tra i compagni di classe,
  • il rispetto di ciascuno come persona,

permette di tenere uniti i diversi punti di vista e contribuisce all’apprendimento di tutti.

cooperazione
Foto di Yan Krukov

L’insegnante è bravo non solo se è abile e competente ma quando riesce a creare l’atmosfera giusta in classe

un clima cooperativo dove ognuno è risorsa per l’altro

questo è l’unico modo per realizzare un ambiente veramente inclusivo.

di Pasquale Iezza

finale scudetto 21-22

Milano – Bologna: finale scudetto!

Gara 2
La gerarchia

Al di là della cifra tecnica, per me va rispettata una regola che riguarda tutte le dinamiche di gruppo, in particolar modo per quei gruppi che sono formati per il raggiungimento di obiettivi (orchestre, militari, squadre) e questa regola, piaccia o meno, ha a che fare con il concetto di gerarchia.

La gerarchia definisce in modo chiaro le…

…responsabilità, e questa è una cosa decisiva per raggiungere l’obiettivo.

In un gruppo deve essere chiaro chi comanda e chi porta l’acqua, e in mezzo le figure intermedie.

Poi può anche capitare che chi porta l’acqua a volte si trasformi in protagonista, ma dentro un sistema molto chiaro e accettato da tutti.

Bologna questa gerarchia l’ha individuata in maniera precisa:

Teodosic
Teodosic Milo Virtus Segafredo Bologna – A|X Armani Exchange Milano Playoff – Finale – Gara 3
Foto Ciamillo-Castoria/ Gianluca Checchi

Milano è un’orchestra di splendidi esecutori ma con un unico difetto:

non si capisce chi dirige l’orchestra e chi accompagna.

Un piccolo difetto che sul campo diventa macroscopico specie quando deve compattarsi nelle fasi decisive della battaglia quando ogni piccola decisione può portare a vincere o perdere.

E questo non lo puoi cambiare o modificare in due giorni.

O lo hai individuato ex ante oppure continuerai ad affidarti alla vena dei singoli.

Milano 0 – Bologna 2

Gara 3
Primo aspetto: l’identità

Responsabilità e pressione.

Si dice spesso che ad avvertire più pressione sia la squadra in vantaggio.

Se a questo aggiungi il fatto di giocare la prima partita in casa, la bilancia avrebbe dovuto pesare tantissimo per la Virtus ed essere molto più leggera dall’altra parte.

Ma gli occhi vitrei di Messina e Datome hanno reso chiaro il fatto che Milano abbia una certa difficoltà a gestire il clima psicologico.

Lo si capisce davanti alle reazioni sui primi errori della squadra.

Punter sbaglia un tiro libero:

apriti cielo.

Non è così che si affronta sul piano mentale una partita.

La parola d’ordine dovrebbe essere: tolleranza; la seconda: positività.

Secondo aspetto (collegato al primo): sicurezza.

Milano (opportunamente) sceglie di cambiare le carte e giocare con un centro puro per alzare l’energia e l’intimidazione di Bologna.

Scelta che produce più solidità, rimbalzi, secondi tiri.

Ma dopo pochi minuti il centro non si vede più in campo.

Risultato: confusione tattica.

Chi siamo? Quelli più atletici e dinamici di sempre o quelli più muscolari di stasera?

L’identità della squadra va in vacanza.

Terzo aspetto

Quegli altri difendono ogni palla come se non ci fosse un domani. Risultato: una corazzata come Armani lasciata a 58.

Saranno pure stanchi, ma mi sembra che ci sia anche qualcos’altro.

Quarto aspetto

Qualcuno saprebbe spiegarmi che giocatore è Micov? No, perché io non riesco a definirlo.

Non di poco conto è il fatto che, tranne rarissimi istanti, in tutte e tre le partite, i bolognesi sono per larghi tratti (circa 38 minuti su 40), davanti nel punteggio.

Non voglio parlare di supremazia, ma siamo vicini.

E se questa cosa non è sorprendente, allora dimmi tu cosa lo sia.

Milano 0 – Bologna 3

Gara 4
La riconoscenza

Il primo pensiero va alla dirigenza di Bologna.

Come si sentiranno dopo aver esonerato e poi aver dovuto ingoiare il richiamo dell’allenatore che poi li ha portati allo scudetto? Un minimo di vergogna sarebbe il minimo, oltre alle scuse.

Miopi.

Il secondo va a un ragazzo di 21 anni che accanto a giganti che hanno vinto titoli europei e mondiali non solo non sfigura ma è quello che dà la carica, difende per tre, non perde una palla e fa canestri decisivi.

Talento.

Il terzo è per un veterano che in NBA ha fatto i numeri, torna in Italia, accetta la sfida di una società che non vinceva lo scudetto da 16 anni, e nonostante cerchino di asfissiarlo, continua a segnare in ogni modo: da fuori, da sotto, su due piedi e pure palleggiando su un piede solo.

Stoico.

No, sul direttore d’orchestra non dico nulla. Tranne il fatto che continuare a incantare e fare assist come manna dal cielo e punti decisivi non è affatto scontato.

Vincente.

Infine la difesa. Qui basta vedere i parziali dei quarti per capire anche la gara 4 che tipo di trend abbia avuto: 19-24, 22-19, 14-8, 18-11, e capire che Virtus ha progressivamente spento gli avversari come una candela.

Supremazia.

E allora se sei un giovane allenatore, chiudi i libri, smetti di andare ai corsi, tagliati la partita e guarda una decina di volte al giorno soltanto le azioni difensive della Virtus. Ne uscirai un allenatore migliore.

Didattica.

Milano 0 – Bologna 4

di Dino De Angelis

Imparare ad insegnare

IMPARARE A INSEGNARE E…

…INSEGNARE A INSEGNARE ANCHE NELLO SPORT!

Gli studenti hanno il diritto di avere gli Insegnanti migliori!

Non si può avere il meglio se non si preparano gl’insegnanti al meglio.

Anche nello sport i bambini e i giovani hanno diritto di avere Istruttori e Allenatori migliori.

La tessera non qualifica!

Insegnare è…

…un’arte e come ogni forma d’arte è sinonimo di:

  • passione
  • creatività
  • dedizione
  • condivisione

Un Insegnante, un Istruttore, un Allenatore, esattamente come un artista, mette se stesso, il suo sapere e il suo ingegno a disposizione degli altri (studenti, bambini, giovani), affinché la società esca migliorata dal percorso fatto insieme.

Tutti possono insegnare?

Se un laureato al concorso per entrare di ruolo come Insegnante ha risposto bene ad una prova con domande a crocette, se ha superato la prova scritta ed è stato “un fine dicitore” alla prova orale, può fare l’Insegnante?

Non credo!

Eppure in moltissimi casi è così!

Se un partecipante a un corso di formazione di una Federazione Sportiva è simpatico al Capo Istruttore, se fa quello che vuole lui, se giura che adotterà il metodo di insegnamento che vuole lui (ma poi farà in molti casi il contrario!) può insegnare ai bambini o ai giovani?

capo istruttore
Foto di Mikhail Nilov

Non credo!

Eppure in molti casi è così!

Perché nel mondo della scuola non esiste un Corso di laurea o una specializzazione per diventare Insegnanti?

All’interno di questo corso ci dovrebbero essere molte ore di pratica su come si gestisce un aula, come si gestiscono a livello psicologico gli studenti, come si struttura una lezione efficace, come si utilizzano tutti gli strumenti tecnologici a disposizione, come si comunica, come si entra in empatia con gli studenti.

Perchè nel mondo dello sport non esiste un Corso di tirocinio “vero” anche nei Corsi di Formazione delle Federazioni Sportive che qualifica chi andrà a insegnare?

Si imparerebbe a comunicare con i giovani e i bambini, si imparerebbe veramente a “gestire” il gruppo, si imparerebbe a correggere l’errore, … e chi non è in grado (anche se ha la tessera) non deve più insegnare.

Non tutti possono fare gli Insegnanti!

Se uno studente si è laureato con 110 e lode ho solo dimostrato di essere un bravo studente, non significa assolutamente che ha le carte per fare l’Insegnante!!

Per non parlare del sostegno, con un corso di 400 ore “tutti” sono in grado di gestire delle persone “speciali”.

studente
Foto di cottonbro

Incredibile!

Se gli studenti sono valutati a fine anno, lo devono essere anche gli Insegnanti e se un Insegnante non è stato giudicato all’altezza per insegnare, non può essere riconfermato.

Non tutti possono fare gli Istruttori e gli Allenatori!

Non basta un corso di formazione di 20 ore (anche se biennale) per avere la “licenza d’insegnare”.

Rinnovare la tessera ogni anno per continuare a insegnare non è abbastanza!

Ci vuole ben altro!

Chi non è capace non deve più insegnare!

La scuola italiana

Purtroppo la scuola italiana e l’Università è basata solo sui voti e gli studenti la vivono solo come obbligo, non si ricordano quasi niente di quello che studiano perché l’obiettivo è prendere un voto!

Le Federazioni Sportive
Federazioni sportive
Foto da Agi

Seguire un corso di formazione per avere la tessera non basta, dobbiamo avere Istruttori e Allenatori preparati, competenti!

VOLTIAMO PAGINA!

Studenti migliori con Insegnanti migliori!

Bambini e giovani migliori con Istruttori e Allenatori competenti!

“Le crisi di insegnamento non sono crisi di insegnamento; sono crisi di vita. Una società che non insegna è una società che non si ama, che non si stima; e questo è precisamente il caso della società moderna”. (Charles Peguy)

di Maurizio Mondoni

La ricerca azione motoria

La ricerca – azione motoria

Non la verità di cui ci si crede in possesso, ma il sincero sforzo per giungervi determina il valore dell’individuo…L’illusione del possesso rende pigri e presuntuosi; solo la ricerca tiene desti e insonni”.

Gotthold Ephraim Lessing

La ricerca scientifica attribuisce una stretta relazione tra il corpo e la psiche, l’uno non esiste senza l’altra.

E’ una crudeltà separare ciò che è unito per natura ma, nonostante questo, i bambini, i ragazzi, gli adolescenti nella scuola italiana si muovono pochissimo. Ed è così che…

…si creano dei corti circuiti nell’apprendimento, a volte irreparabili.

L’animazione alla divergenza restituisce il corpo al movimento e il movimento alla psiche.

Il sistema scolastico, se vuole veramente formare la persona nella sua interezza, non può più rinunciare all’educazione motoria delegandola alle società sportive.

La socializzazione dei bambini nella scuola dell’infanzia si facilita con la corretta comunicazione non verbale dell’insegnante fatta di sorrisi e gesti accoglienti e si misura dall’ampiezza dell’apertura delle braccia che vogliono dire con chiarezza:

sei il benvenuto in questa scuola!

socializzazione
da informa giovani Ancona
Tutto parte da un dialogo centrato sul movimento.

L’insegnante è il digitus pueri, indica ai bambini la strada giusta da seguire cercando di fargli evitare buche, scivoloni e sbandamenti.

Nella scuola primaria, allo stesso modo, l’educazione motoria deve essere promossa per insegnare comportamenti organizzati, finalizzati e regolati, capaci di indirizzare l’istintiva esuberanza dei bambini.

Gli studenti imparano a stare meglio insieme vivendo negli spazi laboratoriali, allontanandosi ogni tanto dalla staticità dei banchi.

Le stesse attività considerate “di testa” come la lettura e la scrittura sono apprendimenti complessi che necessitano “del corpo”, dell’integrità delle aree motorie.

Per saper leggere è necessaria una buona organizzazione spazio-temporale e per saper scrivere una corretta postura e una coordinazione oculo-manuale, sono poi indispensabili una equilibrata lateralizzazione, un controllo neuromuscolare, un senso del ritmo, in sintesi:

una completa consapevolezza dei propri movimenti.

Il giusto incontro

Quando il laboratorio linguistico si incontra con quello motorio i risultati sono straordinari:

  • una corretta educazione motoria di base,
  • una buona percezione del proprio corpo
    • permettono al bambino di controllare, coordinare ed equilibrare i gesti motori per avviarsi ad un sereno apprendimento della lettura e della scrittura.

Legge e poi scrive, prima e meglio, il bambino che pratica un’attività motoria.

Le fasi del progetto di ricerca-azione prevedono:
  1. un’analisi dei bisogni e delle esigenze di formazione in relazione al contesto scolastico;
  2. l’individuazione dei traguardi, degli obiettivi e dei risultati di apprendimento;
  3. la pianificazione delle attività, dell’ambiente di apprendimento, della gestione del gruppo, delle scelte didattiche;
  4. la realizzazione dell’attività progettata e suddivisa in fasi di sviluppo;
  5. il monitoraggio e la verifica del processo di apprendimento;
  6. la documentazione e la valutazione dei risultati.

Il processo di insegnamento-apprendimento sarà basato su un approccio ludico che dia voce all’energia vitale positiva degli allievi capace di attivare e sostenere la loro maturazione e la loro socializzazione.

I docenti devono costantemente vivificare questa energia con la proposta di attività piacevoli, divertenti e, nello stesso tempo, formative.

Imparare giocando

Diventa sempre più necessario realizzare una “scuola ludica” nella quale il tradizionale schema di “imparare con fatica” si trasformi in “fare con piacere” e “apprendere con gioia”.

In tal modo la scuola può porre davvero l’alunno al centro del suo processo di formazione perché crea le condizioni ideali affinché ciascuno diventi attore della propria crescita, evidenziando le sue caratteristiche, le sue preferenze o, per dirla con Gardner, le sue intelligenze dominanti.

Una scuola così intesa apre percorsi educativi di grande interesse perché gli strumenti:

  • della conoscenza,
  • le abilità tecniche,
  • le competenze

vengono conquistate attraverso azioni di ricerca, di libera espressione creativa, di personale valutazione critica e non mediante l’azione ripetitiva e l’atteggiamento passivo di chi deve solo ascoltare per ripetere ciò che ha appreso.

La stessa dinamica educativa che, da sempre, ha caratterizzato un particolare modello di scuola caratterizzato da:

  • spiegazione,
  • approfondimento,
  • interrogazione,
  • valutazione

trova, così, le sue spinte di azione in:

  • identificazione di un problema,
  • ricerca degli elementi necessari per risolverlo,
  • valutazione dei risultati raggiunti
    • per l’assunzione concorde di un nuovo problema da affrontare.
Conclusioni

La società a tecnologia avanzata e a rapido sviluppo delle conoscenze nella quale viviamo pone alla scuola sfide continue che non possono essere ignorate trincerandosi nel valore della tradizione e nella visione quasi mistica dell’educazione.

La scuola dove configurarsi sempre più come un laboratorio ludico, dove ogni alunno possa fare le proprie esperienze nel confronto e, perché no, anche nello scontro con i compagni, ma sempre

in un clima di rispetto reciproco e di collaborazione.

di Pasquale Iezza