Ciclo mestruale

Donna: ciclo mestruale e preparazione fisica

Le donne che praticano attività fisica con continuità aumentano, nonostante permanga il gap di genere: secondo il CONI, nel 2016, la differenza maggiore è stata del 22.9% nella fascia d’età tra i 18 e i 19 anni (Centro Studi CONI, 2017).

Il ciclo mestruale è senza dubbio uno dei processi che più differenziano la fisiologia della donna da quella dell’uomo:…

non testimonia solo la corretta funzionalità del sistema riproduttivo, ma spesso viene visto come indice dello stato di salute della donna.

Antoniella con allieva
Il prof. Antoniella con un’allieva
Regolamentazione e controllo

Il suo controllo è regolato da un complesso apparato neuro-endocrino che coinvolge oltre all’ovaio anche sistema nervoso centrale, ipotalamo e adenoipofisi.

Combinare il calendario del ciclo mestruale con quello degli allenamenti o delle competizioni è uno dei problemi che ogni mese assillano l’atleta donna.

I volumi d’allenamento, le richieste estetiche sport-specifiche e lo stress psicologico possono rompere l’equilibrio ormonale nelle atlete d’élite, essenziale per la periodicità del ciclo.

Gli effetti esercizio-indotti sono solitamente reversibili e tendono a ripristinare il rilascio pulsatile di GnRH e delle altre gonadotropine tramite riposo, adeguato apporto calorico e aumento della massa grassa.

I numerosi piani pluriennali di allenamento ad elevata intensità, la specializzazione precoce ed i contesti sportivi incentrati sui risultati possono ledere lo sviluppo psicofisico dell’atleta che, soprattutto in età puberale, è molto delicato.

Le richieste prestative sembrano stressare maggiormente le donne rispetto agli uomini, sia fisicamente che psicologicamente.

Lo stress psicofisico può essere valutato primariamente attraverso l’intensità d’esercizio

Se questa è di livello moderato, ciò si traduce in un rilascio endogeno di endorfine che contribuisce ad attenuare gli aspetti negativi del ciclo, in particolare in fase mestruale.

Le atlete di endurance, le ginnaste e le ballerine sono le sportive più studiate, poichè hanno dimostrato maggiormente un ciclo mestruale alterato.

È stato visto come nelle atlete di endurance, l’esercizio aerobico prolungato induca un innalzamento a breve termine delle concentrazioni di testosterone indipendentemente dalla fase mestruale (O’Leary et al., 2013).

È interessante notare come atlete predisposte geneticamente ad una maggior concentrazione endogena di androgeni tendano a praticare sport in cui questo profilo ormonale comporti una buona performance.

Le ginnaste di alto livello invece presentano alti livelli di cortisolo con abolizione del suo ciclo circadiano e conseguente squilibrio all’interno dell’asse ormonale.

In queste attività, inoltre, è auspicabile una bassa percentuale di massa grassa ed il ridotto introito calorico provoca notevoli variazioni nei livelli di adiponectina, leptina e grelina che il solo esercizio fisico non sarebbe in grado di modificare.

Roberta Bacchetti
L’atleta Roberta Bacchetti di Rugby a 7 sport misto di contatto e di situazione

Alti livelli di adiponectina, secreta dal tessuto adiposo, coincidono con un maggior stato infiammatorio ed una ridotta disponibilità energetica.

Esercizio intenso, riduzione della massa corporea e della percentuale di massa grassa tendono a modificare i livelli fisiologici di leptina e grelina.

Questi due ormoni concorrono a regolare la secrezione degli ormoni sessuali e una loro continua variabilità tende a sopprimere il controllo neuroendocrino del ciclo (Ackerman et al., 2012).

Nel lungo periodo, la condizione in cui l’assetto ormonale si discosti dai livelli fisiologici può portare ad un menarca ritardato, oligomenorrea, amenorrea o addirittura alla cosiddetta triade dell’atleta donna.

Quest’ultima condizione presenta amenorrea combinata con scarsa disponibilità energetica e densità ossea ridotta.

Diversi studi hanno dimostrato come ci siano numerose conseguenze se questa condizione interessa il lungo periodo:

  • aumentato rischio di infortuni muscoloscheletrici;
  • fratture da stress;
  • profilo lipidico anormale;
  • disfunzioni endoteliali;
  • perdita irreversibile di massa ossea;
  • depressione;
  • ansia;
  • scarsa autostima;
  • aumentata mortalità

(Weiss Kelly et al., 2016)

Conclusione

Secondo diversi studi, gli sport in cui endurance e composizione corporea predominano c’è un’aumentata predisposizione al rischio.

In queste tipologie di attività, le atlete che presentano disturbi mestruali e ridotta massa grassa adottano strategie alimentari per ridurre l’introito calorico, come l’uso abituale di bevande non caloriche e una dieta incentrata su frutta e verdura (Maïmoun et al., 2014).

Il disturbo mestruale è associato quindi anche ad un disturbo alimentare.

Donne e sport di endurance
Donne e sport di endurance: occorre una preparazione fisica adeguata

Per quanto riguarda il metabolismo osseo, sono da valutare sia l’entità del disturbo mestruale, sia il carico iterativo sport specifico (Maïmoun et al., 2016).

Com’è noto, l’esercizio fisico incentiva l’attività degli osteoblasti:

  • questa tipologia di cellule viene stimolata soprattutto nelle attività in cui c’è un maggior stress meccanico (ginnastica);
  • l’attività osteogenica si riduce così in attività come il nuoto e in minor misura nella corsa e nella danza.

Barrack et al. (2010) hanno dimostrato come le atlete di endurance (40%) abbiano una densità ossea più bassa rispetto alle ballerine o alle ginnaste (10%). Inoltre, la carenza di estrogeni peggiora la struttura trabecolare delle ossa meno coinvolte nell’attività praticata.

Le donne presentano quindi un profilo ormonale molto sensibile al livello di allenamento, allo stato nutrizionale e psicologico.

Una preparazione fisica adeguata ed etica dovrebbe passare per un monitoraggio costante e globale dello stato di salute dell’atleta, specie nelle categorie giovanili.

di Davide Antoniella

Il movimento

Che cos’è il movimento?

Il prof. Pasquale Iezza regala, a tutti i nostri lettori, alcuni argomenti tratti dal suo libro “il movimento divergente” con il contributo del prof. Pino Palumbo, la dott.ssa Rosa Cipriano e del prof. Tiziano Megaro.

Saranno proposti, a puntate, alternandosi con i vari esperti della nostra piattaforma che hanno sposato, con grande generosità, la filosofia del nostro blog.

Il movimento è il modo più naturale che abbiamo per entrare in relazione con le cose che ci circondano.

Se si trovano in alto cerchiamo di…

arrivarci allungandoci o spiccando un salto, se sono in basso chinandoci con un piegamento, se sono vicine e davanti a noi camminando, se sono lontane e dobbiamo raggiungerle in fretta correndo.

Con il movimento instauriamo un dialogo con l’ambiente, ogni oggetto diventa accessibile, alla nostra portata.

Mettiamo un piede davanti all’altro ed usiamo una mano insieme all’altra per scoprire il mondo.

Il movimento ha la dinamicità dell’acqua che può essere solo contenuta in una forma, ma ha in più la forza di modificare con la sua energia creativa il contenitore.

Il movimento nello sport
Foto di Lukas

La nuova pedagogia del movimento divergente ha lo scopo di avviare un viaggio alla scoperta dell’intelligenza cinestetica, delle sue straordinarie potenzialità e dei suoi inesplorati sentieri.

Permette un collegamento tra il corpo, il mondo intorno a noi e le nostre emozioni.

Il movimento non ha confini e non deve avere frontiere, la sua ripartizione in punti ha solo lo scopo di condividere un’ipotesi di studio:

1) Il movimento automatico

Percorre le vie extrapiramidali e ci porta a dare una risposta meccanica, istintiva, agli stimoli ambientali.

  • Il midollo spinale è responsabile dei comportamenti automatici e stereotipati.
  • I riflessi spinali ci permettono una risposta quanto più rapida possibile in seguito a stimoli che segnalano situazioni potenzialmente pericolose per noi
    • se ad esempio la nostra mano è in contatto con una superficie bollente è fondamentale la reazione immediata dei muscoli senza aspettare l’elaborazione della corteccia cerebrale per evitare un’ustione;

2) Il movimento posturale 
  • Elabora le impercettibili informazioni provenienti dai propriocettori sensoriali e dal midollo spinale;
  • permette la conoscenza del nostro corpo nello spazio per arrivare a mantenere, attraverso i riflessi posturali, la nostra posizione eretta mentre siamo in piedi o camminiamo;
  • I propriocettori sono i sensori delle articolazioni, dei muscoli e dei tendini e rilevano la tensione muscolare e la posizione delle articolazioni;

Il segnale che parte dai propriocettori viene trasmesso fino al midollo spinale dal quale si origina un altro impulso nervoso che permette la contrazione involontaria della muscolatura.

Il movimento decisionale
3) il movimento convergente

Responsabile del movimento volontario, è più complesso perché integra le informazioni provenienti dai livelli inferiori e da quelli superiori del cervello.

Tutti i movimenti volontari del corpo sono guidati dal cervello, una delle parti più coinvolte nel controllo è la corteccia motoria.

Per realizzare i movimenti diretti verso una meta, la porzione anteriore del lobo frontale del cervello deve prima ricevere le informazioni dagli altri lobi, da quello parietale sulla posizione del corpo nello spazio e da quello temporale sulla memorizzazione delle azioni passate.

Il movimento convergente richiede una elaborazione percettiva, percorre le vie piramidali e ci permette di svolgere azioni volontarie che ripetute con l’allenamento, con l’imitazione di un modello, con l’addestramento, ci specializzano in una disciplina sportiva spesso unilaterale che sviluppa competenze specifiche a discapito di altre abilità motorie.

4) il movimento divergente
  • E’ la manifestazione espressiva, originale, articolata e consapevole delle nostre energie interiori.
  • E’ il movimento attento al nostro mondo interno in armonia con quello esterno.
  • Risana, in questo modo, le vecchie scissioni corpo-mente, ragione – sentimento, pensieri-affetto.

I nostri movimenti volontari non si dissociano dai nostri impulsi profondi.

Il pensiero, il movimento, l’emozione si uniscono in un unico flusso coinvolgendo ogni parte del cervello, si mettono in collegamento il sistema extrapiramidale e quello piramidale che in realtà non sono mai separati.

Il movimento divergente crea connessioni ripristinando il senso di unità. Le connessioni stabiliscono i nessi tra le sensazioni, le emozioni, le immagini e il pensiero, compreso quello laterale.

I gesti non sono frammentati, staccati, robotizzati, divisi perché vivono l’esperienza corporea nella sua pienezza migliorando il nostro modo di comunicare.

Il movimento divergente ci fa esplorare tutte le possibili combinazioni delle azioni motorie attraverso il gioco, una delle attività più serie che esistano, ricordandoci che non abbiamo un corpo, come se fosse un’automobile acquistata da poco, ma che siamo un corpo. 

Il sistema motorio

si divide, partendo dal basso in:

Le aree motorie oltre a quella motoria vera e propria sono quelle delle regioni corticali premotorie e quelle dell’area motoria supplementare.

I movimenti di tipo riflesso si fermano ai livelli inferiori, al midollo spinale, senza arrivare alla corteccia.

A completare il controllo del movimento ci sono poi il cervelletto e i nuclei della base, tra i quali c’è Putamen, una sorta di supereroe tuttofare a forma di guscio di noce.

La corteccia motoria è quella parte del cervello che pianifica, controlla ed esegue i movimenti volontari del corpo dall’alto del centro operativo del lobo frontale.

I movimenti involontari e volontari sono sempre integrati e il movimento divergente permette il loro naturale collegamento. 

Il  movimento divergente fa così il suo ingresso nelle scienze pedagogiche (Il Movimento divergente, Pasquale Iezza, Aranblu editore, 2001), un ingresso fondamentale perché fecondo di prospettive didattiche e formative nel mondo della scuola e dello sport. 

E’ il movimento, apprendista meccanico, specializzato nelle giunzioni neuro-muscolari, nei cambi, nei circuiti e nei gangli di collegamento, ed ha un’officina con tutte le chiavi di accensione dei motoneuroni di qualsiasi cilindrata.

Ha facilitato nuove risposte a discipline sportive che sembravano codificate in modo permanente, basti solo pensare:

Diego Maradona
Diego Maradona con la maglia dell’Argentina

che a rivederla “scioglie il sangue nelle vene”.

video tratto dal film ” cosi parlo’ bellavista” (1984)

di Pasquale Iezza

Superallenamento

Periodizzazione – Superallenamento si…

ma programmato

Sottolineare quanto sia importante mantenere sotto controllo certi segnali, come la difficoltà a recuperare dopo una sessione di allenamento particolarmente dura, è di una importanza estrema.

I sintomi più evidenti sono:

  • irritazione muscolare che continua oltre le 48 ore dopo l’esercizio;
  • dolore cronico alle articolazioni;
  • sonno agitato e/o stanchezza dopo il sonno;
  • cambiamenti notevoli nelle normali funzioni del corpo;
  • mancanza di motivazione.

Se si nota qualcuno di questi, bisogna modificare:

  • l’intensità
  • la durata
  • la frequenza degli esercizi

e continuare ad osservare qualunque cambiamento.

In seguito a sedute di superallenamento è necessario inserire, in un programma di allenamento, un giorno o due alla settimana esclusivamente dedicati al riposo. 

Nel programma di periodizzazione è assolutamente previsto un paio di periodi di riposo “attivo “ che seguono la stagione pre – agonistica e la stagione regolare (o post – agonistica)

La periodizzazione
periodizzazione

E’ il programma pianificato di allenamento di un atleta o di una squadra durante tutto l’anno che culmina in un ottimale livello di condizionamento atletico o in una buona prestazione complessiva in un periodo prestabilito della stagione.

Nello specifico nel basket, che è uno sport in cui ogni partita conta, un allenamento stagionale teso a raggiungere il culmine della forma nei play – off, non è realistico.

Perciò un piano sistematico di allenamento fornisce delle variazioni:

  • Nell’ Intensità di allenamento (gradi di difficoltà dell’esercizio; la qualità del lavoro);
  • Nel volume (la quantità di lavoro);
  • Nella tecnica (abilità specifica al basket e capacità atletiche)

Le variazioni sono attuate per massimizzare l’effetto dell’allenamento e le prestazioni altamente positive.

Manipolando queste variabili, compreso l’allenamento della forza, è possibile preparare un piano efficace per la stagione da iniziare.

di Tiziano Megaro

Arbitro

Il giudice arbitro di canottaggio

Questo sconosciuto!

Il canottaggio è uno sport semplice: sei barche allineate, partenza al Via! e vince chi arriva prima.

A cosa servono, allora, i giudici arbitro? Dove sono durante la gara?

Può sembrare strano ma sparsi sul campo ci sono non meno di nove umpire e un canottiere li incontra (e li maledice) quasi tutti.

Il problema, nel canottaggio,…

Corso giudice arbitro
Corso per giudice arbitro di Canottaggio

è che ancora oggi l’arbitro è visto come una figura seccante e pignola che è lì per il solo gusto di tormentare gli atleti.

In realtà, gli allenatori in primis dovrebbero capire che il solo scopo di un giudice è quello di assicurare che la manifestazione si svolga nel miglior modo possibile, garantendo a tutti pari opportunità e massima sicurezza.

Immaginiamo di seguire un canottiere attraverso il campo di gara e scopriamo insieme i compiti degli arbitri.

Il primo incontro con l’autorità lo hanno i timonieri e gli atleti PL (pesi leggeri) quando si recano alla registrazione del peso.

PL
Foto di Patrick Case

Questo è un momento, allo stesso tempo, atteso e temuto dai ragazzi:

  • da un lato, ci sono la speranza di non superare il peso minimo (o massimo) e la prospettiva di una bella mangiata;
  • dall’altro il timore di non rientrare nei limiti e dovere ricorrere a metodi dell’ultimo minuto per dimagrire i grammi necessari.

Nonostante le ansie che questo momento comporta, è il secondo step quello ritenuto più irritante: il controllo imbarcazione.

Atleti e tecnici ancora non capiscono la pignoleria riguardante accessori come palline e laccetti, si arrabbiano se vengono mandati indietro e talvolta si rifiutano di apportare le modifiche richieste dal giudice.

Desidero lanciare qui un appello accorato:

Allenatori, atleti, quale piacere pensate possa provare un arbitro nell’impedire a un ragazzino di gareggiare?


Nessuno.


Eppure talvolta è costretto a rifiutare le barche.

La motivazione?

La sicurezza del canottiere.

Sicurezza


Dal momento in cui gli sfidanti si preparano a fare il loro ingresso in acqua, gli
umpire si trasformano nei loro angeli custodi, e cosa fanno questi se non vegliare sulle persone loro affidate proteggendole?

La pallina e i laccetti, che vi seccano tanto, sono dispositivi introdotti appositamente per la sicurezza dei vostri pupilli nel caso di scontro con altre barche e capovolgimento.

Capite adesso che nulla muove il giudice se non la preoccupazione per i ragazzi?

Torniamo ora alla nostra esplorazione del campo di gara.

Dopo aver superato il controllo identità e imbarcazione, l’atleta è libero di iniziare il riscaldamento sull’acqua.

Qui ci sarà un altro angelo custode pronto a vegliare sui canottieri e a intervenire in caso di incidenti o malori improvvisi.

All’avvicinarsi dell’ora prevista per la gara, i ragazzi si accostano al Marshall, il quale procede con l’appello, in modo tale da assicurarsi che tutti i partecipanti siano presenti.

Il Marshall è un giudice arbitro situato in acqua, al limitare dell’area di riscaldamento, nei pressi della zona di partenza. Ha il compito di fare l’appello degli iscritti e indirizzarli allo starter all’appropinquarsi dell’orario stabilito per la gara.

Dopodiché, lo Starter permette loro di occupare le rispettive corsie.

L’Allineatore, con l’ausilio di attrezzi specifici, fa in modo che la prua di tutte le barche sia perfettamente allineata, poi lo Starter, fatti gli ultimi controlli, dà inizio alla gara con uno sventolio di bandiera.

Il percorso può estendersi da un minimo di 500 metri a un massimo di 2000 ma, per quanto possa sembrare infinito ai concorrenti, questi non verranno lasciati soli neanche un istante perché sempre sarà con loro il giudice pronto a guidarli e soccorrerli in caso di pericolo.

Mai solo

E infine, una volta che la gara si sarà conclusa regolarmente, ecco che gli arbitri all’arrivo (ben tre, per assicurare la massima certezza) potranno comunicare le posizioni finali.

Morale

Adesso, dopo questo immaginario giro su un tipico campo di canottaggio, siete ancora sicuri che i giudici arbitro siano figure messe lì per fare le belle statuine e tormentare gli atleti?

di Virginia Abbagnale

Time out

Il Time out nel basket

“Chiama un time out!”, “quando lo chiami il time out?!”.

Sono tra le frasi più urlate dagli spettatori a noi allenatori durante la partita, a testimonianza dell’importanza che lo stesso pubblico
attribuisce a questo aspetto del GIOCO.


Facciamo però un passo indietro.

Il significato sportivo del termine Time Out è sospensione del tempo, ed era proprio questo il motivo per cui fu inserito nelle regole del nostro sport,
ovvero dare la possibilità di riposo ai giocatori.

Era quindi una pausa momentanea dal GIOCO.

L’evoluzione della pallacanestro ha reso, invece, questa interruzione del “giocato” una fase concreta della partita, tanto da essere un’arma tattica che tutti noi allenatori dobbiamo essere in grado di sfruttare a pieno.

Il primo aspetto da tener conto è il numero di time out che ogni squadra ha a disposizione.

Excursus tra i vari campionati.
Logo della Federazione Internazionale Pallacanestro

Area FIBA

  • Si hanno un massimo di 5 time out di 60 secondi per ogni team.
  • Sono così distribuiti: 2 nei primi 2 quarti e 3 nei secondi.
  • Negli ultimi 2 minuti della partita se ne possono chiamare massimo 2, più un altro per ogni eventuale supplementare.
  • E’ solo la panchina (allenatore o vice allenatore) a poterlo chiamare.

NBA

  • La situazione è molto diversa.
  • Si hanno un massimo di 7 time out per squadra, ognuno con durata di 75 secondi.
  • Possibilità di chiamare massimo 2 time out negli ultimi 3 minuti, più altri 2 per ogni eventuale supplementare.
  • Oltre la panchina (allenatore o vice allenatore) la richiesta può avvenire anche direttamente dal giocatore che possiede la palla.

Attenzione però, secondo la regola “televison time out“, durante ogni quarto ad ogni squadra viene obbligatoriamente assegnato un time out per ragioni televisivi anche se non chiamato dalle squadre stesse!

Proprio la gestione del numero dei time out, comporta una prima decisione strategica da parte dello staff.

È fondamentale, infatti, avere sempre ben presente quanti ne restano a disposizione, ipotizzando un loro utilizzo nei momenti decisivi della partita.

Questa scelta dipende molto dal feeling che lo staff tecnico ha con la partita e con i momenti di essa, rimanere senza può costare il risultato finale.

Quando chiamarlo?

Non c’è un’unica risposta a questa domanda.

  • Può esserci la volontà di modificare il ritmo della squadra avversaria, interrompendo per esempio un break positivo, ma può anche essere la soluzione per cambiare tatticamente delle scelte che non pagano e che hanno bisogno di essere mostrate con “calma“.
  • Altro significato è il time out chiamato in prossimità degli ultimi secondi di un quarto o per gestire meglio il possesso previa una violazione di tempo, in cui sfruttando una rimessa a favore si mostrano alla squadra le cosiddette situazioni speciali (a.t.o. plays).

Non sempre però la tattica è la protagonista della sospensione, ci sono time out il cui obiettivo è essenzialmente psicologico, dare una scossa ad una squadra o a singoli giocatori in difficoltà.

E’ in questo caso che la conoscenza dei caratteri dei propri uomini è fondamentale per andare a toccare le giuste corde per avere una reazione.

C’è chi ha bisogno del bastone e chi della carota!

La mia esperienza

Nella mia esperienza da assistente ho lavorato con head coach ai quali piaceva avere un mini time out con l’intero staff prima di comunicare con la squadra, richiedendo quindi sintesi e chiarezza nell’esposizione delle idee proposte, altri invece volevano avere tutto chiaro prima di rivolgersi al tavolo per chiamare la sospensione.

Da capo allenatore io ho sempre preferito la prima soluzione, sfruttavo quel momento anche per lasciare dei secondi sola la squadra affinché parlassero tra loro.

Sergio Luise 3
Sergio Luise in un time out

Non raramente, se c’è un’intesa consolidata all’interno dello staff, il capo allenatore lascia condurre il time out al vice, soprattutto se l’indicazione da presentare alla squadra è un’idea dell’assistente.

Importante, comunque, che non ci sia un un’accavallarsi di voci. I giocatori in quei pochi secondi devono avere la massima concentrazione, recepire poche cose ma chiare.

Peggio di non avere time out a disposizione è averlo ma con una squadra che ritorna in campo confusa!

Strategie

Alcune volte si sfruttano i pochi metri che separano le panchine dal campo per suggerire all’orecchio del giocatore le ultime indicazioni mentre il tavolo ha fischiato la fine della sospensione.

Fondamentale ottimizzare tutti i secondi!

Ci sono allenatori, poi, che:

  • preferiscono sedersi.
  • Altri che guardano negli occhi i propri giocatori prima di parlare.
  • Altri che utilizzano solo raramente la lavagnetta.
Conclusione

Ognuno ha la sua tecnica e il suo modus operandi, l’importante è organizzare e sapere cosa si vuol trasmettere in quel momento, senza lasciare nulla all’improvvisazione o chiamare il time out perché lo chiede il
pubblico.

Bisogna sempre essere consapevoli di ciò che si sta facendo.

“Finalmente lo hai chiamato!!”…direbbe qualcuno dagli spalti…

di Sergio Luise

Pirlo

Pirlo: grande giocatore!

Coach del domani?

Basta essere stati buoni giocatori per essere anche grandi allenatori?

Prescindiamo per una volta dai singoli sport, ma restringiamo però il campo almeno agli sport di squadra, che esigono dinamiche e competenze relazionali assolutamente diverse da quelli di tipo individuale. 

Il caso del giorno, è evidente, riguarda Pirlo, neo allenatore della Juve.

La nomina ha fatto scattare, inevitabilmente, parecchie osservazioni sull’opportunità di nominare un allenatore che non ha mai allenato. 

Provo a riassumere le principali osservazioni, assumendomi ogni rischio di tralasciare pareri importanti, ma solo a mo’ di sollecitare un approfondimento successivo che non ha alcuna pretesa di essere assoluto.

Tra le tante cose che lo sport insegna c’è il postulato che la sua dinamica è talmente complessa e mutevole da rendere impossibile una previsione che possa avere il requisito minimo dell’attendibilità.

La riflessione

Dunque, esattamente come hanno fatto i virologi parlando di un virus ancora sconosciuto, mi rendo perfettamente conto di addentrarmi in un terreno solo parzialmente conosciuto, per aver ricoperto un ruolo di allenatore per poco più di tre decenni (praticamente nulla), e di rischiare di intravedere dietro l’orizzonte un panorama dal pronostico complesso.

Secondo la mia concezione (ecco, con questa premessa rendo ogni argomentazione soggettiva, e quindi priva della presunzione dell’assolutezza), un allenatore è una somma perfetta ma non compiuta di una serie di competenze, delle quali l’ottima conoscenza del gioco ne costituisce solo una parte.

Allenatore

Veniamo al caso. Pareri discordanti, dicevamo.

Partiamo dai pareri favorevoli.

Primo aspetto: Pirlo è stato eccellente giocatore

Dai piedi ottimi e dalla presenza sempre percepita favorevolmente dal gruppo dei giocatori e delle squadre per le quali ha militato. Requisito a mio avviso che dice molto di più del suo talento.

Pirlo alla Juve

Essere visto come parte integrante di squadre differenti testimonia una duttilità caratteriale, una personalità ed una identità non solo tecnica che non può che costituire un ottimo viatico per la carriera che si appresta a fare.

Secondo aspetto: conoscenza del gioco

Chi ha giocato molti anni a certi livelli il gioco lo conosce benissimo, ma se hai giocato nel ruolo di playmaker lo conosci senz’altro di più.

Non perché un difensore o una punta abbiano meno capacità di comprensione del gioco, ma indubbiamente se il gioco lo hai creato tu, e lo hai fatto benissimo e per molto tempo, penso che le tue capacità di compenetrarti in una dimensione che esula la tua individualità di giocatore costituisca un asset importantissimo per vedere le cose come coach.

Terzo aspetto favorevole: Pirlo, a detta di Ulivieri (uno dei responsabili dei corsi di Coverciano) è stato un allievo modello

Ha mostrato di conoscere il calcio a menadito (e questo lo avevamo supposto pure se non avesse frequentato il corso).

Non mi dilungherò su quanto un corso sia in grado di apportare significative competenze ad un allenatore specie per allenare a certi livelli, ma dirò subito che, sempre a mio sommesso avviso, da quel punto di vista la percentuale fa fatica ad arrivare alla doppia cifra.

Tra i pareri favorevoli si cita, in questi giorni, il paragone con esempi illustri che hanno fatto strabene nel passato, pur non avendo alcuna o poca esperienza come allenatore.

In casi simili si sono tirati in ballo mostri del calibro di Guardiola e Zidane. Paragoni difficili? Forse. Ma nella dinamica delle cose mi paiono azzeccati nel metodo, meno nel merito. Entriamo allora nel merito.

Cose negative:

Ovvio: la scarsa (o inesistente) esperienza di panchina. Vuol dire poco questo? 

Se esaminiamo i due big citati, non vorrei scomodare termini come carisma, personalità e via cantando, perché significherebbe porre il povero Andrea in una condizione di subalternità, e non me la sento per palese disconoscenza del suo livello nei temi suddetti.

Parlo solo di un’ultima cosa che a me pare evidente.

Un allenatore che si definisca efficace deve avere una certa capacità di persuasione, la qual cosa non equivale a manipolare, ma semmai a convincere i suoi giocatori ad abbandonare le proprie sacrosante individualità (la maggior parte dei giocatori nutre un egoismo che va spesso a discapito della complessità del gruppo).

Capacità di persuasione equivale in molti casi ad avere qualità comunicative e di estroversione che, devo essere onesto, in Pirlo ho notato assai poco.

Ovvio che il mio parere si fonda su quel che si vede (interviste, partecipazione a trasmissioni tv, ecc.) quindi mi rendo conto che, anche qui stiamo parlando di impressioni, ma non mi pare che il nuovo allenatore della squadra che è continuamente alla ricerca del tutto e subito, abbia mostrato scioltezza o approfondimento di argomenti e quindi concluso nel modo seguente.

Conclusione

Se Andrea dai piedi d’oro saprà unire alle indubbie conoscenze tecniche e tattiche da lui possedute, anche un netto miglioramento delle sue abilità di conoscenza dei complessi fattori umani che vanno sotto il nome di “dinamiche di gruppo”.

Dinamiche di gruppo

Saprà definire anche attraverso un netto incremento della sua capacità di comunicazione e di persuasione, un vocabolario che gli permetterà di gestire tanto la stella come l’ultimo ragazzo che viene dalle giovanili e coinvolgere tutti in una entusiastica partecipazione anche emotiva alle sorti del club che gli è stato affidato, beh, allora avremo probabilmente l’allenatore ideale.

Ed è, alla fine, quello che si augurano i tifosi della Juventus ed anche tutti quelli che sperano che un bravo e stimato giocatore senza alcun passato da allenatore possa diventare il coach del domani. 

Tanto come sempre, il campo rivelerà la verità. In bocca al lupo! 

In bocca al lupo

Di Dino De Angelis

La calma olimpica

La calma olimpica

Dopo la lettura di un articolo apparso sul sito dell’associazione allenatori di canottaggio, ho pensato di buttare giù qualche riflessione sulla definizione di “calma Olimpica”.

Visto le tre medaglie olimpiche alle spalle dovrebbe essere un argomento quantomeno a me familiare ma vi assicuro che tale non è.

È stato studiato che un atleta per arrivare a partecipare ad un’Olimpiade deve avere…

alle spalle 7-8 anni di preparazione specifica, tecnica, mentale e fisica, in modo da implementare quelle qualità che nel canottaggio sono indispensabili per arrivare ad essere un atleta di Alto Livello.

3 ori Agostino Abbagnale
Agostino Abbagnale – 3 ori olimpici

Come per altri sport il canottiere deve allenare la sua capacità di resistenza a carichi fisici e psichici molto elevati che possono mettere a dura prova la sua tenuta psicologica.

Deve inoltre essere capace di avere una grande duttilità in particolar modo nei rapporti interpersonali considerato che il canottaggio è prevalentemente uno sport di squadra, tranne la specialità del singolo dove il vogatore è da solo in barca.

Le specialità olimpiche nel canottaggio
  • 1x (singolo)
  • 2x (due vogatori di coppia)
  • 2- (due vogatori senza timoniere)
  • 4- (quattro vogatori senza timoniere)
  • 4x (quattro vogatori di coppia)
  • 8+ (otto vogatori con timoniere)

Altrettante sono le specialità femminili, a queste si aggiungono quelle specialità per vogatori che rientrano nella categoria pesi leggeri.

Come in altri sport anche nel canottaggio c’è una categoria riservata agli atleti che non superano il peso di 72,5 kg nei maschi e 69 kg per le atlete donne.

Questo chiarimento era doveroso per far capire appunto che gli atleti restano insieme in uno spazio ridottissimo, la barca, per lungo tempo durante gli allenamenti.

L’atleta di alto livello che riesce a raggiungere l’obiettivo più alto della sua vita sportiva, il “sogno” Olimpico, è assolutamente allenato e preparato a superare pressioni esterne che possono compromettere la sua tenuta psicofisica.

Tutto perfetto!

Ma, un’Olimpiade è una competizione che va oltre qualsiasi altra gara.

Le motivazioni

Molte volte si assiste durante le gare olimpiche ad un completo ribaltamento dei risultati da parte di equipaggi che negli anni del quadriennio olimpico hanno dominato la scena mondiale.

Le motivazioni di questo stravolgimento possono essere diverse.

Dalla preparazione specifica degli atleti, che nell’anno olimpico viene curata in maniera ottimale, alle motivazioni personali, che ogni Atleta mette in campo dando il meglio di sé stesso, proprio per raggiungere e far si che si avveri quel sogno:

Partecipare ad un’Olimpiade e, perché no, salire sul podio.

Però a fare la vera differenza oltre la preparazione, le capacità dei singoli Atleti, la bravura dell’equipaggio le capacità del team, vi è un quid in più che determina il successo, magari inatteso, da parte di un’atleta piuttosto che di un equipaggio.

Questo quid, che rimane qualcosa di indefinito, è una capacità che consente all’atleta, nei momenti topici di una competizione, di riuscire a dare qualcosa in più, mettere in campo energie psicofisiche inaspettate, rispetto agli avversari.

La “calma” fa parte di questo quid.

La calma, per me, è intesa come capacità dell’atleta di riuscire a non farsi condizionare da nessun evento esterno, di essere concentrato sull’obiettivo da raggiungere, riuscire a superare le problematiche che si possono presentare senza farsi influenzare in maniera negativa.

Tenere sotto controllo la tensione e lo stress che si sviluppa durante un evento tanto significativo per ogni Atleta è veramente qualcosa di fondamentale importanza, altrimenti si vanifica tutto quel lavoro fatto precedentemente.

Ecco perché negli ultimi anni si è assistito ad un progressivo aumento della presenza di uno psicologo sportivo negli sport di alto livello.

Si cerca di perfezionare il più possibile la preparazione e il profilo psicologico che è altrettanto importante dell’allenamento specifico, tanto per l’atleta quanto per l’allenatore.

Un connubio imprescindibile, in particolare nel canottaggio.

Da dove derivi questa particolare capacità dell’atleta è di difficile comprensione, fa parte del carattere, della personalità, dalle esperienze pregresse.

L’atleta con questa peculiarità riesce, in momenti fondamentali, a ragionare in maniera chiara a prendere decisioni in pochissimi attimi che faranno la differenza nell’esito di una competizione e che si sviluppa nell’arco medio dei 6 minuti.   

calma sport

La calma olimpica è una caratteristica dell’atleta che non si può trasmettere, non si può imparare, si può solo assistere alla sua più alta espressione, nel momento in cui da spettatori, siamo testimoni e viviamo le emozioni del risultato inatteso o la riconferma del successo tanto più difficile quanto più sofferto e meritato dagli atleti che hanno la fortuna e soprattutto la bravura di riuscirci.

Agostino Abbagnale calma olimpica

Pre – articolo: contenti!

Qualche settimana fa l’associazione nazionale Allenatori di Canottaggio (ANACC)Anacrowing” ha pubblicato su Facebook il seguente post:

La calma olimpica. Chi meglio del leggendario Agostino Abbagnale può rappresentare questa espressione? Lui che resta il canottiere italiano più titolato alle Olimpiadi – ben tre ori (Seul, Atlanta e Sydney) – eppure è meno noto dei suoi due fratelloni. Misteri della vita… Intanto, buon lavoro ad Agostino, impegnato a Piediluco con la nazionale Junior.”

Era ovvio e più che doveroso chiedere ad Agostino di scriverci qualche sua riflessione, opinione o idea nello specifico sul significato della “calma olimpica”.

Contattato non si è tirato indietro e quindi noi di trainingconcept.it siamo molto contenti di comunicare ai nostri lettori che il prossimo articolo, in uscita venerdì 21 agosto 2020, sarà di Agostino Abbagnale.

Nonostante la nostra piattaforma abbia come intento quello di evitare le autocelebrazioni evidenziando il firmatario dell’articolo o tutto ciò che possa sembrare auto elogiativo ( il vero scopo è quello di mettere a disposizione della comunità sportiva articoli di qualità) non si poteva evitare di scrivere qualche riga in più su chi ha portato in alto i colori della nostra bandiera.

Agostino Abbagnale
Agostino Abbagnale

Nella sezione “gli esperti dicono” vi è una riassuntiva biografia di Agostino ma è da aggiungere che oltre all’immensità come atleta ne posso garantire la grandezza come uomo.

Di poche parole ma pratico nei fatti, un atleta che ha vinto in 3 barche diverse e per chi lavora nel mondo del canottaggio sa cosa vuol dire.

Dotato di uno spiccato senso del confronto è stato definito dagli esperti “il più grande canottiere italiano di tutti i tempi”.

Si potrebbe continuare ma sfocerei nel banale e quindi mi tocca rimandarvi al prossimo articolo con “la calma olimpica” firmato da Agostino Abbagnale.

Buon ferragosto

Buon ferragosto

Scambiarsi gli auguri a Ferragosto è diventata da tempo un’abitudine.
Riporto un articolo letto e tratto da focus on Line


Il ferragosto è la festa più attesa dell’estate: ha origini nella storia dell’Antica Roma, poi intrecciate con la tradizione cattolica.

“Il nome della festa di Ferragosto deriva dal latino feriae Augusti (riposo di Augusto), in onore di Ottaviano Augusto, primo imperatore romano, da cui prende il nome il mese di agosto. Era un periodo di riposo e di festeggiamenti, istituito dall’imperatore stesso nel 18 a.C., che aveva origine dalla tradizione dei Consualia, feste che celebravano la fine dei lavori agricoli, dedicate a Conso, che, per i Romani, era il dio della terra e della fertilità.Fuochi di Ferragosto. 

In tutto l’Impero si organizzavano feste e corse di cavalli, e gli animali da tiro, esentati dai lavori nei campi, venivano adornati di fiori. Inoltre era usanza che, in questi giorni, i contadini facessero gli auguri ai proprietari dei terreni ricevendo in cambio una mancia. Anticamente, come festa pagana, era celebrata il 1° agosto. Ma i giorni di riposo (e di festa) erano in effetti molti di più: anche tutto il mese, con il giorno 13, in particolare, dedicato alla dea Diana.

DA FESTA PAGANA A FESTA CATTOLICA. 

La ricorrenza fu assimilata dalla Chiesa Cattolica attorno al VII secolo, quando si iniziò a celebrare l’Assunzione di Maria, festività che fu poi fissata il 15 agosto. Il dogma dell’Assunzione (riconosciuto come tale solo nel 1950) stabilisce che la Vergine Maria sia stata assunta, cioè accolta, in cielo sia con l’anima sia con il corpo.“

Nel darvi appuntamento al 18 agosto 2020 con la pubblicazione auguriamo BUON FERRAGOSTO A TUTTI I NOSTRI LETTORI

importanza dell'idratazione

L’importanza dell’idratazione

Lo stato di idratazione è un fattore molto importante, sia per la salute, sia per la prestazione sportiva.

Poiché l’organismo adulto contiene fino al 50-60% d’acqua, tutte le funzioni corporee dipendono dallo stato di idratazione. Infatti, nell’acqua extra- e intra-cellulare sono diluiti e trasportati molti elementi, tra cui grosse molecole e piccoli ioni.

L’acqua è determinante per la regolazione della temperatura corporea, la digestione e il trasporto degli elementi nutrizionali e delle sostanze di rifiuto. Un buono stato di idratazione è basilare per il mantenimento delle cellule, dei tessuti, degli organi, dei sistemi, degli apparati e di tutte le funzioni vitali.

Durante la prestazione sportiva l’organismo viene spinto oltre il limite di normalità. Ciò significa che senza una buona idratazione è impossibile esprimere al massimo le specifiche potenzialità atletiche.

In pratica:

> Stato di Idratazione = > Prestazione > Recupero

< Stato di Idratazione = < Prestazione < Recupero

L’importanza di questa relazione vale soprattutto per:

  • Discipline ad alta intensità.
  • Discipline di lunga durata.
  • Discipline che provocano una sudorazione intensa o soggetti predisposti.

Funzione dell’Acqua e del Sudore

Tralasciando le funzioni vitali esercitate dall’acqua per il corpo umano, soffermiamoci sul ruolo dell’idratazione nella performance sportiva. 

Il movimento umano è basato sulla contrazione muscolare; alla fine di questo processo vengono prodotti calore e molecole di rifiuto.

Il trasporto dei nutrienti, dei sali e dei cataboliti si basa sul flusso sanguigno, mentre il calore viene disperso tramite la sudorazione.

Nonostante richiedano entrambi molta acqua, i due processi sono perfettamente in grado di coesistere.

D’altro canto, quando la regolazione termica impegna troppi liquidi, il volume del sangue diminuisce e la funzione di trasporto rimane compromessa lasciando “a secco” i tessuti.

Composizione, Dispersione e Performance

Il sudore è una soluzione idrosalina che contiene prevalentemente acqua, sodio e potassio; in misura inferiore magnesio e cloro. Viene prodotto dalle ghiandole sudoripare a partire dal plasma sanguigno.

La quantità media di sudore dispersa da un organismo in movimento è circa 1,5 litri/ora. D’altro canto, se la temperatura esterna è tale da richiedere un impegno fuori dal comune, l’escrezione può raggiungere i 4-5 litri/ora.

Il sudore non è l’unica via di espulsione dell’acqua; contribuiscono anche la diuresi e (in misura inferiore) la ventilazione polmonare. D’altro canto, il fisico è in grado di reagire alla disidratazione diminuendo la filtrazione renale e aumentando la sete.

sudore

La relazione tra perdita di liquidi e prestazione sportiva è molto stretta. Già con una deplezione pari al 2-3% rispetto al peso corporeo avviene un calo importante dei risultati.

Ad esempio, un un uomo adulto che pesa 70kg e perde 1,5-2,0 litri non è in grado di affrontare gli stessi sforzi rispetto al normale.

Migliorare l’Idratazione nello Sport

Non è certo una novità che per contrastare la sudorazione sia necessario bere di più.

In che modo?

Cosa Bere

Specifichiamo fin da subito che le bevande non sono tutte uguali.

Molti credono erroneamente che l’acqua rappresenti la bevanda migliore.

Tale supposizione è facilmente smentibile poiché, come abbiamo già visto, la composizione del sudore è diversa e più ricca rispetto all’acqua.

La bevanda ottimale dovrebbe contenere necessariamente potassio e magnesio.

Può essere prodotta anche a livello casalingo, miscelando vari ingredienti. Tuttavia, in commercio sono disponibili delle ottime formule che contengono tutti i nutrienti più utili.

Certi considerano l’utilizzo degli integratori alimentari idro-salini e/o multi vitaminici un atteggiamento “innaturale”. D’altro canto, analizzando lo sforzo atletico necessario alla maggior parte delle discipline, ci si rende conto che si tratta di attività tutt’altro che naturali (nessuna esclusa).

Gli integratori alimentari non possono certo sostituire una dieta sana ed equilibrata (cibi e bevande), ma consentono di fornire i principi nutrizionali “più critici” senza introdurre altri nutrienti dei quali talvolta non abbiamo bisogno (fibre, molecole antinutrizionaligrassiproteinezuccheri ecc).

integratore alimentare

Inoltre, bisogna considerare un altro fattore importantissimo, cioè il potenziale di assorbimento.

Alcuni pensano che l’acqua sia il liquido più facilmente assorbibile dall’organismo; non è corretto.

Infatti, le mucose assorbono meglio i liquidi a concentrazione isotonica o blandamente ipotonica. Per ottenere questa proprietà sono necessari diversi sali minerali e alcuni carboidrati.

Anche la temperatura è un fattore determinante per l’assorbimento. La bevanda dovrebbe essere molto fresca, facendo attenzione a non esagerare (ghiacciata non va bene!) scongiurando il rischio di crampi addominali, vomito, diarrea ecc.

Quanto Bere?

Può sembrare una banalità ma la risposta è: “né poco, né troppo”.

Bere poco favorisce la disidratazione e bere troppo causa altri problemi altrettanto nocivi.

L’eccesso di liquidi innesca la filtrazione renale. Tale processo richiede l’escrezione di sali minerali, soprattutto sodio e potassio.

Va ricordato che il sodio è generalmente presente in eccesso nella dieta, mentre il potassio in difetto.

Ecco che, nel tentativo di migliorare l’idratazione, bevendo troppa acqua si corre il rischio di peggiorare l’equilibrio salino compromettendo la prestazione sportiva.

Per evitare che ciò accada è sufficiente:

  • Ascoltare il senso della sete.
  • Bere poco più del volume di liquido espulso col sudore.
  • E’ sufficiente praticare una doppia pesata (prima e dopo l’allenamento) per conoscere l’entità della nostra sudorazione e compensarla negli allenamenti futuri.
  • Prediligere una bevanda idro-salina.
sali minerali

Per fare un esempio, se dopo un allenamento in palestra viene stimata una perdita di sudore pari a 2 litri, è necessario bere almeno 2,5-3,0 litri di liquido. E’ consigliabile che almeno 1/3 venga costituito da una bevanda idro-salina isotonica.

Quando Bere?

Comprendere quale sia il momento più adatto per bere non è semplice. Teoricamente, bisognerebbe prevenire la disidratazione bevendo molto, sia poco prima che durante l’attività. D’altro canto, entrano in gioco molte variabili di tipo soggettivo.

Non tutti sopportano i liquidi nello stomaco mentre praticano sport. Peraltro, le varie discipline possono risultare molto diverse tra loro.

Bere durante un allenamento di trekking è facile, pratico e presenta pochi effetti collaterali. Lo stesso non si può dire del nuoto di fondo o peggio dell’apnea subacquea profonda (durante la quale si trascorre molto tempo a testa in giù).

Immersi nell’acqua, soprattutto a testa in giù (come avviene nell’assetto costante dell’apnea subacquea profonda), avvengono facilmente: reflusso, rigurgito, nausea ecc.

Per evitare i molti inconvenienti del bere durante lo sport è necessario:

  • Bere a piccoli sorsi.
  • Prediligere bevande di facile assorbimento.
  • Evitare indumenti o imbragature scomodi o stretti.
Altre Considerazioni

Concludiamo rammentando che, oltre ai liquidi, l’attività motoria causa perdite anche di:

Nella scelta della bevanda, soprattutto in caso di attività molto intensa, prolungata e con sedute ravvicinate, è consigliabile prediligere un prodotto ricco di tutte le vitamine, potassio, magnesio, maltodestrine e nutrienti antiossidanti.

atleta beve

di Davide Antoniella

L'armonia dell'assieme

L’armonia dell’assieme

“Continua la rubrica dedicata ai lettori che decidono di contribuire offrendo a tutta la nostra comunità la propria riflessione, opinione, idea su di un argomento a loro più vicino. Ci delizia con quest’articolo Virginia Abbagnale (ex atleta di canottaggio, insegnante di lettere e filosofia, attualmente giudice di canottaggio)”
Grazie per continuare a “rompere il ghiaccio”. T.M.

Il canottaggio (e non canoa!) ha tante specialità; la più bella, a mio parere, è l’8+.

8 con

Quasi 18 metri di lunghezza per 93 kili, otto vogatori con un lungo remo ciascuno e un timoniere. Chiedi ad un tecnico e questo ti risponderà, ma la verità è che l’ammiraglia è molto di più.

Chiunque ha visto questa barca in azione concorderà con me che si tratta di pura magia:

canottieri che si muovono all’unisono, le grida di incitamento del timoniere, i remi che volano sull’acqua, la pallina che fila via a velocità impossibile. La barca appare leggera come una piuma, veloce come una freccia, i vogatori sembrano un solo uomo e pare che non possa esserci nulla di più facile e naturale.

Sbagliato.

Dietro a questa meravigliosa visione ci sono tanto sudore e lavoro.

C’è la fatica fisica.

“Ora dopo ora, giorno dopo giorno, con il sole afoso che crepa il terreno, con il freddo che gli penetra nelle ossa o con la pioggia che lo acceca, il canottiere non conosce riposo né vacanza.

I giorni rossi sul calendario spariscono e, anzi, sono più faticosi dei neri, la sveglia suona all’alba. Senza sosta il nostro eroe corre, rema, fa pesi e remoergometro. I primi minuti sono facili, divertenti, ma poi inizia a mancargli il respiro, boccheggia disperato alla ricerca d’aria. Contrarre i muscoli è doloroso, un incendio che si propaga senza sosta nelle gambe e nelle braccia, un urlo di dolore si fa strada nella gola, la testa lo prega di smetterla con questa follia, lo supplica di fermarsi perché se farà ancora un altro movimento potrebbe frantumarsi in mille pezzi e non riuscire a ricomporsi.”

sudore e lavoro canottaggio

È qui che entra in gioco la testa.

Da fuori può sembrare che il canottaggio sia solo uno sport di forza e resistenza fisica ma la verità è che per migliorarsi il controllo mentale è imprescindibile.
Il corpo umano è creato per assicurarsi la sopravvivenza, per questo quando lo spingiamo ai limiti entra in atto un meccanismo di autoconservazione che lo porta a fermarsi.

Ehi, sei matto? Fermati, sei vicino alla zona di pericolo!, questo urla la testa.

Ma il canottiere che vuole migliorarsi non può cedere alla tentazione, al dolce richiamo della sirena che tenta di ammaliarlo, e sessione dopo sessione raggiunge il limite, sopporta il dolore e spinge l’asticella dell’autoconservazione un po’ più in là.

Bene, penserete, ecco allora quali sono gli ingredienti per ottenere la magia. E invece no, ne manca ancora uno; quale?, l’assieme.

Per chi fosse a digiuno di canottaggio, si tratta della parola che si usa quando i vogatori si muovono, appunto, tutti insieme.

Anche in questo caso sembra facile ma non è.

Ogni atleta ha una personalità e un ritmo di palata che lo caratterizza, che fa di lui un individuo unico e irripetibile, ma quando è in barca, soprattutto in un’ammiraglia, bisogna superare l’individualità e otto devono diventare uno.

Non è semplice: finché è in barca, il vogatore deve rinunciare alla parte più spontanea e profonda del suo essere, la deve rinchiudere in un angolino della sua testa e deve affidarsi al suo timoniere. Ripone le sue speranze, la sua forza, le sue paure, tutto se stesso nelle mani del compagno. Ci vuole coraggio, un vero e proprio atto di fede.

Ecco, ora finalmente la ricetta è pronta.

La barca lunga e veloce, gli uomini (e donne!) che si muovono come uno solo, la potenza che si sprigiona ad ogni “Via” del timoniere;

non sembra tutto ancora più magico?

di Virginia Abbagnale

Forza tridimensionale

La forza tridimensionale e funzionale negli sport di situazione

L’effettore finale del movimento è il sistema muscolare, che trova nelle sue unità funzionali, i sarcomeri, i protagonisti del suo accorciamento in toto, spiegabile grazie alla teoria dello scorrimento dei filamenti.

I sarcomeri in quanto singola unità, devono sommarsi tra loro per creare il substrato strutturale motorio.

Sistema muscolare

Deve far riflettere come a partire da un evento “banale” quale lo scorrimento di Actina e Miosina, possa derivare una variabilità gestuale estremamente complessa. Per cui la chiave dell’allenamento o della prevenzione di un evento traumatico, deve orientarsi ad ottimizzare tutto quello che precede e consegue la formazione dei ponti trasversali a livello del muscolo e non concentrarsi sul mero rinforzo locale.

A questo possiamo poi aggiungere la maggiore complessità degli sport situazionali, grazie all’interazione del soggetto in questione con gli eventuali compagni di squadra, con l’avversario/i, con le infinite possibilità di variabili legate al gioco e di tutto ciò che ne consegue.

La sommazione dei sarcomeri, da un punto di vista teorico, si effettua in duplice modalità. La sommazione in serie e la sommazione in parallelo.

Se si considera il comportamento di due sarcomeri e si valuta il risultato complessivo di questi, le caratteristiche del movimento derivato di tale organizzazione sarà peculiare.

La sommazione in parallelo porterà ad un quadro di caratteristiche orientate ad un’espressione di forza maggiore, la sommazione in serie darà vantaggio sulla velocità di accorciamento (1).

La forza che il muscolo può esprimere non dipende esclusivamente dall’attività muscolare “pura”, ma può avere man forte dalle strutture passive perimuscolari.

La forza generata dal tessuto contrattile può esprimersi grazia a una duplice modalità di trasmissione, la quale, può essere di tipo diretto o indiretto.

Per cui possiamo avere (2):
  • Trasmissione Miotendinea, che si esprime agli estremi del muscolo.
  • Trasmissione Miofasciale, che può avere luogo lungo tutta la lunghezza del sarcomero.

Considerando il modello dello scorrimento dei filamenti e che a livello tendineo il movimento autorizzato sarà una trazione longitudinale al ventre muscolare, all’interno del ventre stesso le forze in gioco saranno di tipo tridimensionale.

I responsabili strutturali di questo sistema accessorio a quello longitudinale possono essere riconducibili all’Epimisio, Perimisio ed Endomisio. Per cui la forza, oltre che nascere dal sistema esclusivamente attivo, può nascere, grazie alle intime relazioni strutturali, anche dallo stroma connettivale (3).

epimisio endomisio perimisio
epimisio, endomisio e perimisio

La forza espressa da un singolo sarcomero dipende dal grado di sovrapposizione dei filamenti di actina e miosina. Essa è maggiore a lunghezze intermedie e tende a diminuire a mano che ci allontana da questa lunghezza ottimale.

Sulla base di questo sistema ausiliario di trasmissione di forza, un antagonista muscolare può essere fondamentale per l’ottimizzazione della produzione di forza da parte un dato muscolo, in quanto elemento di stabilizzazione.

In base a tale discorso si può capire come la forza sia angolo e gesto specifica, e di come più ci si allontani dalle caratteristiche tecniche di riferimento, più sarà difficile che la capacità allenante di un dato esercizio possa essere utile al miglioramento della performance.

Questo potrebbe indurre a far credere che esercizi aspecifici o di isolamento abbiano poco senso nell’ambito degli sport di situazione, ovviamente è un’affermazione che va contestualizzata al livello del soggetto (4).

Più un atleta è specializzato e più sarà preponderante la ricerca di una relativa specificità

Negli atleti evoluti si favorirà sempre più un approccio tendente all’ottimizzazione coordinativa gestuale, più che del miglioramento di parametri fisiologici. La stessa considerazione può essere usata per gli esercizi multiarticolari, nei quali potrebbe esservi uno stimolo eccessivo per determinati distretti ed irrisorio per altri.

Anche in tal caso la risposta va cercata nelle esigenze del singolo tramite una valutazione delle esigenze (5).

Considerare il vissuto dell’individuo, i traumi, infortuni, postura dinamica, caratteristiche trasversali, unitamente alle richieste dello sport praticato, è un primo approccio da considerare come riferimento operativo. 

Atleta forza tridimenzionale
CONCLUSIONI

A partire da questo piccolo cappelletto introduttivo, i riferimenti da considerare per orientare il lavoro possono essere riassunti dai seguenti punti:

  • Colloquio conoscitivo dell’atleta. (Considerare il suo vissuto, il suo stile di vita, la storia dei traumi, le sue esigenze)
  • Valutazione posturale soprattutto dinamica.
  • Valutazione delle richieste sport-specifiche. (Soprattutto angoli di lavoro, tipologie di forza maggiormente necessari, tempi di applicazione della forza, traumatismi principali della disciplina svolta)
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Bibliografia

  • C.Bosco. La forza muscolare. Aspetti fisiologici ed applicazioni pratiche.
  • Huub Maas and Thomas G. Sandercock. Force Transmission between Synergistic SkeletalMuscles through Connective Tissue Linkage.
  • Huub Maasa, Guus C. Baana, Peter A. Huijing. Muscle force is determined also by muscle relative position: isolated effects.
  • Schoenfeld BJ, Contreras BM. Is functional training really functional? ACSM Certified News 2010.
  • Schoenfeld BJ, Contreras BM. Do single-joint exercises enhance functional fitness? Strength Cond J 2012.

Autori: Antonio Di Stasio e Dario Mirra

Storia della preparazione atletica

Storia della preparazione atletica

Nuovo concetto di allenamento e suoi principi
Evoluzione preparazione fisica

La storia della preparazione atletica vede la sua comparsa, in modo sistematico, nel calcio intorno agli anni ’60; successivamente ha avuto una forte diffusione anche nelle altre discipline sportive.

La metodica di allenamento deriva…

dall’atletica leggera che, a quel tempo, era l’unico sport che aveva mutuato una cultura strutturata.

atletica-leggera

Questo intervento ha comportato un approccio aspecifico all’attività portando ad una stabilizzazione delle capacità degli atleti e ad una aumento del numero di infortuni.

Negli anni ’80 anche altri sport si affacciano ad un approccio “atletico “ ma con metodiche che nulla avevano a che fare con il modello prestativo.

Negli anni ’90, con la scoperta dei lavori di forza, anche per la pallacanestro, il preparatore ha assunto una rilevanza maggiore rispetto al passato.

Ciò nonostante, le metodiche non erano ancora specifiche anzi derivavano dai body builders con le stesse conseguenze derivanti dall’applicazione dei metodi dell’atletica leggera.

Da pochi anni è iniziata una piccola rivoluzione nell’area della preparazione fisica con l’introduzione di un concetto più moderno: “L’ALLENAMENTO FUNZIONALE”.

Alcuni studiosi hanno dimostrato quanto siano importanti gli aspetti coordinativi del gesto specifico rispetto all’esclusivo lavoro di aumento della forza muscolare, attraverso esercizi che niente hanno a che fare con i movimenti tecnici o la posizione che un cestista assume in campo.

L’allenamento funzionale quindi affiancherà l’allenamento tecnico – tattico del cestista attraverso programmi personalizzati e specifici.

Allenamento funzionale
PRINCIPI DI ALLENAMENTO

L’allenamento nasce dal modello di prestazione tipico del cestista e si sviluppa seguendo dei criteri che tengono in considerazione i requisiti fisici dell’individuo e la sua volontà.

Modello prestativo:

  • Energetico (fonti energetiche maggiormente utilizzate)
  • Biomeccanico (gesto che viene svolto, con partciolare riferimento al rapporto degli arti e anche delle componenti cinematiche e dinamiche)
  • Neuromuscolare (Percentuali di forza impresse e tempo di applicazione)

I parametri che definiscono il modello prestativo sono:

  • Durate della gara
  • Presenza di variazioni
  • Intensità e durata delle variazioni
  • Frequenza del gesto
  • Tempo di applicazione del gesto
  • Adattamento
  • Periodizzazione e progressione

Oltre agli elementi aggiuntivi che sono il riposo e la nutrizione.

L’obiettivo finale dell’allenamento è la gara, oltre per lo scopo agonistico ma anche perché è fondamentale conoscere, osservare e appuntare il comportamento dell’atleta in fase di gara in quanto ci indica la strada da percorrere per programmare l’allenamento.

Gara

(cit e rif.. Prof. Roberto Colli e prof. Gianni Cedolini)

Gruppo giovanile

La gestione

…di un gruppo del settore giovanile
“Debutta la rubrica dedicata ai lettori che decidono di contribuire offrendo a tutta la nostra comunità la propria riflessione, opinione, idea su di un argomento a loro più vicino.
Questa è la volta di Francesco Callipo (giovane allenatore di pallacanestro).
Grazie per aver “rotto il ghiaccio”. T.M.

Francesco Callipo
Francesco Callipo

All’inizio del percorso formativo e di sviluppo di un giovane atleta l’impatto con il gruppo squadra può essere determinante, sulla velocità di apprendimento e sulla definizione di alcuni aspetti caratteriali del ragazzo, quali autocontrollo e impulsività, equilibrio e aggressività, leadership e disponibilità.

A partire dal Minibasket arrivando al Settore Giovanile, quasi la totalità dei ragazzi mantiene, come è normale che sia, un’impostazione individualista degli aspetti legati al gioco.

Gioco di squadra

In questo senso il Gruppo, il gioco di squadra e le attività di collaborazione possono, anzi, devono costituire un impatto emotivo che stimoli il giovane a sviluppare nuove capacità relazionali e diverse abilità nella gestione della propria emotività.

Il ruolo dell’allenatore deve essere quello di generare costantemente stimoli ai singoli atleti per provocare reazioni che li inducono a cercare delle motivazioni.

L’allenatore dovrà trasmettere all’allievo, con empatia e determinazione, le seguenti competenze:

  • Requisiti comportamentali – attitudinali, cercando di migliorare la loro soglia dell’attenzione. Saranno così in grado di recepire e processare le indicazioni che gli vengono fornite.
  • Requisiti fisici, che devono essere specifici, funzionali e mirati al fisico di ognuno, dedicandogli almeno 1/3 del lavoro settimanale. Col tempo, devono anche imparare a gestire il dolore o una limitazione, per evitare che, in futuro, non riesca a fronteggiare un problema di natura fisica che lo freni in fase di sviluppo.
  • Requisiti tecnici, nello specifico, avere la padronanza dello spazio e del tempo, ovvero sapere dove andare e quando farlo.Superato il minimo disagio, che tale reazione genera, il ragazzo si aprirà completamente al gruppo, per diventarne parte integrante con i propri pregi e difetti.Inoltre potrà, indirettamente, insegnare agli altri e, direttamente, imparare da tutti.

Superato il minimo disagio, che tale reazione genera, il ragazzo si aprirà completamente al gruppo, per diventarne parte integrante con i propri pregi e difetti.

Inoltre potrà, indirettamente, insegnare agli altri e, direttamente, imparare da tutti.

Mettersi in gioco

Affinchè tutto ciò avvenga, è fondamentale che i ragazzi siano sempre disposti a mettersi in gioco.

L’Allenatore ha la responsabilità di doversi guadagnare la fiducia degli atleti, per potergli dare sempre sicurezza e loro, in cambio non negheranno la propria disponibilità all’apprendimento e alla partecipazione.

Elemento di base, solido e determinante, è la Credibilità che l’allenatore riesce ad ottenere attraverso i comportamenti e le scelte, che devono essere sempre coerenti e adatte per ogni singolo atleta, anche se dovessero andare controcorrente.

Per il bene del ragazzo, per la sua maturazione prima e per il miglioramento del gruppo dopo, è di vitale importanza che acquisisca la consapevolezza che un “no” non è sintomo di fallimento, bensì è parte integrante del percorso di crescita.

In ogni caso, alla base ci siamo noi Allenatori, i quali con il comportamento, l’etica del lavoro e la tenacia sportiva trasmettiamo dei messaggi agli atleti che apprendono, modificano e ripropongono o in maniera positiva (superando gli ostacoli) o negativa (diventando poi abitudini difficili da cambiare).

Essenziale sarà lo stabilire regole di comportamento, piani di allenamento, attività di potenziamento, osservazione del gruppo e verifica degli obiettivi durante tutto l’arco dell’anno.

Fissare dei focus raggiungibili, passo dopo passo, magari con traguardi intermedi e soffermarsi ogni tanto a verificare come procedono le attività, senza timore di tornare indietro, se non si è contenti dei risultati prefissati.

Non sempre la colpa è della squadraforse i compiti devono essere proposti in maniera diversa.

Per questo è necessario continuare a condividere con il gruppo le proprie idee, spiegando la scelta di un certo tipo di lavoro, riconoscendo in ognuno di loro il miglioramento individuale.

Citando le parole del Coach Ettore Messina, “Ci vuole il tempo che ci vuole”, al di là se il ragazzo sia alle prime armi di un gruppo Under 13 o sia un giocatore di Serie A.

Ettore Messina
Ettore Messina. È tra gli allenatori europei di pallacanestro più titolati, potendo vantare nel suo palmarès ben ventotto trofei con i club, compresi quattro campionati italiani, sei campionati russi, quattro Eurolega, una Coppa delle Coppe e tre VTB United League

Non è semplice, al giorno d’oggi, stare al passo con i ragazzi che sono in continua evoluzione, parallelamente alla tecnologia che li circonda, abituati ad avere tutto e subito, ed a voler raggiungere l’obiettivo nell’immediato, senza avere costanza e pazienza.

Bisogna instaurare un rapporto di fiducia e stima reciproca con gli allievi, in modo tale che, nei momenti di difficoltà, avranno un punto di riferimento che possa alimentare in loro la voglia di continuare nello sport.

Dalla parte degli ultimi per farli sentire primi

Ultimi primi

di Francesco Callipo

Lo spogliatoio - titolo

Lo spogliatoio

Il sacerdote e i chierichetti sono nella sagrestia, prima che inizi la funzione religiosa.

È domenica: dalla porta principale della chiesa il vociare è sempre composto data la sacralità del luogo, ma nella sagrestia arriva lo stesso quel brusio tipico di quando la gente riempie i banchi.

La gente, quella massa che non riesci mai a distinguere quando stanno tutti assieme che sembrano formare un tutt’uno, quando non è ancora diventata una massa, la avverti, pure in un…

luogo di raccoglimento come quello.

Lo spogliatoio - in chiesa

Lo spogliatoio di una squadra di basket prima della funzione (pardon, prima della partita), ha molto di quel raccoglimento.

Questo luogo inviolabile e invalicabile a chi non fa parte di una ristretta cerchia di eletti, è uno dei luoghi più delicati, importanti e simbolici dello sport, sia di squadra che individuale.

Naturalmente le dinamiche tra sport individuale e di squadra sono diverse, ma quei muri, quelle panche e quegli armadietti, quegli attaccapanni e quella porta che delimita il confine, hanno visto e udito cose inenarrabili. Le hanno udite anche quando dentro quelle mura non parlava nessuno.

Il rito del pre-partita è uno dei momenti che nel basket, e in pochissime altre discipline, assume una sacralità totale. Più la partita assume un significato, più quel rito si fa intenso, assoluto, liturgico.

Il sacerdote che deve dare le disposizioni, nel basket si chiama in un altro modo, all’italiana è l’allenatore, ma è sempre più usato il nome di coach. Coach è la guida – ed è proprio una guida, in tutti i sensi il ruolo che lui esercita.

Lo spogliatoio - coach

In genere il coach non è, come forse si può pensare, quello che tiene le chiavi dello spogliatoio, anzi è bene che si accosti a quel luogo anche lui con il rispetto che si deve a coloro i quali sono i veri protagonisti della funzione sportiva, che sono ovviamente i giocatori.

Lì dentro, dentro quella che è la loro casa temporanea, ciascun giocatore deve avvertire il suo spazio come se fosse il proprio habitat, egli deve contrassegnare il proprio territorio e sapere che nessuno – neppure il Coach – potrà usurparlo.

È una questione di sentirsi a proprio agio – una delle condizioni essenziali perché la sua prestazione sia ottimale. Non c’è giocatore al mondo che possa giocare bene, allenarsi bene, avere un buon rapporto con sé stesso, con i compagni e con lo staff,  se non trova dentro quel rifugio una condizione di assoluta padronanza.

Il coach è bene che chieda permesso prima di entrare, non solo se si tratta di squadra femminile – lì scattano altri meccanismi -, ma anche se si tratta di una squadra di uomini, adulti o ragazzi che siano.

È un’antica forma di rispetto quella che deve usare, è anche attraverso questo simbolismo che lui dà il messaggio di non oltrepassare a suo piacimento quella linea immaginaria che separa il ruolo di guida dalla considerazione che deve avere per ciascuno dei suoi atleti.

Ci sono codici che non si imparano in nessun corso, che nessuna regola ti impone, ma che sono scritte indelebilmente dentro un rapporto trigonometrico: allenatori – staff -giocatori, che ha le sue regole precise, al violare delle quali si perde qualcosa dentro quelle formule che mantengono in equilibrio la cosa più delicata che vige all’interno di un team: il rispetto reciproco dei ruoli.

Lo spogliatoio - rispetto

E poi, quando alla fine, lui varca quella porta, e la sacrestia si prepara alla funzione che avverrà poco dopo, è lì che il miracolo eucaristico dello sport trova la sua più intensa realizzazione.

Una volta usciti tutti assieme, la squadra ha perso le sue singole individualità e si trasforma in una macchina perfetta nella quale ciascuno ha un compito preciso.

La gente – quella massa indistinguibile che nel frattempo ha preso posto sui banchi – a quel punto, saprà che il rito è pronto per il suo compimento.

“Due file!”

Lo spogliatoio - due
Gallinari e Mozgov in riscaldamento con i New York Knicks nel 2009

Condizioni sulla sicurezza

Alcuni giocatori pensano, erroneamente, che giocare molte partite sia tutto ciò di cui hanno bisogno per restare in forma.

Il giocare, semplicemente, una partita non stimola adeguatamente quelle qualità fisiche necessarie per elevare le abilità specifiche del basket o a qualsiasi altro sport ad un livello più alto.

Oltre alle componenti di buona forma fisica e buona prestazione atletica, un giocatore…

di pallacanestro o un atleta in genere, deve adottare la filosofia dell’allenamento totale che include tutte quelle variabili atletiche che tratteremo nei prossimi approfondimenti compresa la sicurezza.

sicurezza

Prima di realizzare un qualsiasi programma di allenamento bisogna assicurarsi di mirare ai maggiori benefici fisici diminuendo al massimo le circostanze negative che potrebbero causare infortuni. Questo fa parte in effetti delle responsabilità dell’allenatore e del preparatore fisico, ma anche gli atleti devono fare la loro parte ed usare del buon senso.

Elenco alcune, generali, misure di sicurezza da seguire durante un programma di allenamento che come al solito possono sembrare banali ma che non si può, per nessun motivo, evitare:

  • Eseguire protocolli di propriocezione e mobilità;
  • Effettuare sempre una giusta attivazione, lo stretching (in dinamicità), prima dell’allenamento, ed il defaticamento dopo la seduta.
    • Al di là del condizionamento fisico di fondo, è fondamentale preparare il corpo all’attività sportiva con un incremento graduale e complessivo dell’impegno muscolare cardiovascolare che costituisce il “riscaldamento”.
      • Messo a regime, il corpo sopporta molto meglio carichi di lavoro intensi ma anche il graduale ritorno alle situazioni di riposo.
        • Attraverso un progressivo rallentamento dell’attività e attraverso il recupero di un tono muscolare più rilassato è un utile strumento di prevenzione dei danni da sport;
  • Evitare per qualsiasi motivo tiri a freddo dalla lunga distanza o qualsiasi gesto tecnico che necessita di un evidente sforzo muscolare;
  • Tenere il campo da gioco libero da ostacoli e pulito in caso di parquet;

L’interazione tra l’atleta e il terreno di gioco è stata studiata approfonditamente dalla biomeccanica con il duplice scopo di ottimizzare l’espressione del gesto sportivo e di ridurre l’incidenza di traumatismi.

mobilità

L’introduzione di materiali sintetici sempre più perfezionati ha modificato sensibilmente la natura e l’incidenza dei traumi di gioco.

D’altra parte i nuovi terreni hanno un differente comportamento dal punto di vista dell’aderenza della scarpa al terreno, che inizialmente ha prodotto un aumento dei traumi distorsivi.

Alcuni studi indicano nell’insieme un beneficio in termini di ridotta incidenza degli infortuni, attribuibile ai terreni sintetici rispetto a quelli naturali, soprattutto negli sport di squadra. Dobbiamo tenere conto, oltre che dei traumi acuti, dell’insidia delle lesioni micro traumatiche ripetute.

Un terreno rigido come un pavimento in cemento e linoleum assorbe ben poca dell’energia scaricata in salti ripetuti e perciò favorisce microtraumi del piede, dell’arto inferiore e della colonna. Ben diverso è l’effetto di un parquet elastico. La superficie inoltre può essere più o meno sdrucciolevole.

campo in cemento
fondo in cemento
campo in parquet
fondo in parquet
carpo in erba
fondo in erbetta

Alcune Federazioni sportive hanno adottato come regola la posa temporanea di terreni sintetici in tutte le competizioni (avviene per esempio nella pallavolo), con lo scopo di ottimizzare la presa del terreno e ridurre i possibili traumatismi

campo sintetico
fondo in sintetico
  • Far utilizzare scarpe che diano una corretta stabilità laterale, sufficiente ammortizzamento dei talloni e buon supporto plantare;
  • ll carico di lavoro va adeguato gradualmente alle capacità prestative del soggetto.

Questa affermazione apparentemente banale presuppone però una solida base di conoscenze tecniche che serve a poter giudicare il singolo atleta nello specifico momento.

L’uso di tabelle di lavoro standard può essere una piattaforma di partenza, ma rischia di non rispondere adeguatamente alle esigenze specifiche. Tanto un carico troppo lieve, quanto uno eccessivamente gravoso sono potenziali fonti di infortunio nella pratica dello sport.

Se un gran numero di giocatori è coinvolto nell’esercizio, bisogna comunicare efficacemente per evitare collisioni e quindi per quanto non completamente necessari, attrezzi come i coni, cinesini e gli adesivi che indicano i punti di tiro e le corsie di passaggio sul pavimento, aiutano ad eliminare la confusione e servono a mantenere il movimento fluido e sicuro.

Un aspetto, fondamentale, che, purtroppo, non viene preso molto in considerazione è quello di consentire un adeguato riposo e recupero agli atleti a secondo della forma dei singoli ed al livello di tolleranza dei lavori svolti nelle sedute.

Riposo

Riferimenti a G. Brittnham e Jurgen Weineck

Rompiamo il ghiaccio

Rompiamo il ghiaccio

Imbattendomi nella lettura di questo autorevole blog – sito (https://www.eurocities.org) mi sono soffermato su questo estratto:

Molti utenti trascorrono diverso tempo sui social network.

A molti utenti di internet oggi piace l’interazione virtuale che si può realizzare sulle reti sociali a suon di like e follower.

Spesso anche proprio il numero di like e di follower sui social viene considerato un fattore molto importante.

Per molti è essenziale anche per mantenere una certa autostima. Ma d’altronde non può essere considerata una pratica da condannare in maniera assoluta, per il grande desiderio oggi di essere visibili e di avere anche la possibilità di diventare influencer in dati settori.

Come fare a far aumentare il numero di like e di follower sui propri social network?

Vogliamo approfondire l’argomento, visto che il fenomeno dei like veri o falsi costituisce ormai una vera tendenza…

Era inevitabile che…

la riflessione venisse fatta pensando a “trainingconcept.it”.

Ho constatato, però, che per far sì che il nostro contenitore diventi punto di riferimento per i tanti operatori che lavorano nel mondo dello sport, della scuola e non solo, non sarà necessario eccellere in like, cuori o tweet, (a prescindere dal fatto se faccia piacere o meno riceverli) bensì di email con allegati articoli, quesiti, richieste di confronto e suggerimenti sugli argomenti da trattare come in molti stanno già facendo.

L’invito, dunque, è di andare nella sezione “contatti” del blog trainingconcept.it e compilare il form, mi auguro con allegato un bell’articolo.

Parte la mia avventura

Perchè tuffarsi in questa avventura?

Parte la mia avventura e magari la nostra.

Ho sempre amato la competizione ma non quella di voler sembrare a tutti i costi il più bravo.

Adoro invece competere con me stesso, mettermi sempre in discussione per poi mettermi alla prova.

Ho studiato e mi sono impegnato per le cose che mi piacciono, studiavo perché “mi piaceva”, mi piaceva la…

conoscenza il sapere, il capire, mi piaceva imparare con umiltà e costanza, l’osservare e mi piaceva soprattutto immedesimarmi negli altri.

Un blog è un’antologia in cui ogni persona racconta le sue storie e quelle degli altri a modo suo.

Però mi sono chiesto e fatto un test come molti esperti consigliano di fare prima d’iniziare questa nuova, affascinante, avventura.

Mi sono immaginato durante una discussione di gruppo e, più precisamente, nel momento in cui non vedo l’ora di intervenire riguardo ad un argomento che mi appassiona, nel mio caso la preparazione fisica.

Cosa mi succede in quell’attimo?
Mi agito, aspetto con ansia il mio turno, interrompo chi sta parlando “perché pensavo avesse finito”… insomma ho una voglia matta di trasmettere subito il mio messaggio agli altri.

Questo entusiasmo nel voler dire qualcosa, nel blogging, si traduce in alcuni chiari sintomi:

  1. non vedo l’ora di appuntare, prendere il mio tablet e scrivere
  2. seppure stanco non rinuncio: scrivo con continuità, anche se con irregolarità
  3. mentre lavoro o mentre faccio qualsiasi altra cosa… improvvisamente mi capita di pensare ad un’idea per un articolo
  4. voglio dire assolutamente la mia su un argomento che mi sta a cuore
  5. accetto il confronto con l’esterno cercando di dare e acquisire concetti che possono servire alla crescita professionale di ognuno di noi

Ho dedotto che era giunto il momento di aprire uno spazio, un canale, un giornale tutto mio dove posso liberamente scrivere, contestare, raccontarmi, raccontare e soprattutto, per chi lo volesse, dissentire dei miei articoli o, al contrario, concordare.
Per questo è nato il mio angolo che di conseguenza è aperto a tutti nel sano rispetto degli altri e di se stessi.

E’ un blog senza nessuno scopo di lucro, l’idea di base è quella di formarci insieme, confrontarsi, mettendo a disposizione di tutti le nostre competenze senza dover pagare un centesimo.

Un ringraziamento va a Mauro Ronci (marketing specialist) per avermi dato la spunto per scrivere la mia introduzione.

Tiziano Megaro

Mi presento

Ciao! Sono Tiziano

Il (solo) responsabile di questo blog . TrainingConcept.it

Ho scritto questa presentazione nel 2014, riproposta a tutti con la presentazione di questo spazio dopo 6 anni e ancora piuttosto attuale:..

  • scrivo un po’ per scherzo, un po’ per passione, un po’ per divertimento ma molto per dare e farmi dare una mano a chi lavora nel mondo dello sport o della scuola e ha a che fare con il fisico e con la salute di tante persone;
  • non sopporto quelli che “intorbidiscono l’acqua per farla sembrare profonda”;
  • ho una laurea in Scienze motorie, ma ciò che mi ha formato veramente, è stato lavorare sui campi con i tanti atleti in 30 anni di attività (atletica leggera, pallavolo, calcio, tennis e tanto nella pallacanestro);
  • abuso di internet dal 1995 (grazie a mio fratello), ma ammiro quelli che lo odiano per farli ricredere e capire che usato bene è una ricchezza da tenersi stretto;
  • sono stato proprietario di palestra, direttore di centri sportivi, proprietario di società di servizi per lo sport ed il turismo, animatore Valtur, allenatore/istruttore (atletica, pallavolo, pallacanestro) oltre che educatore;
  • sono insegnante di scienze motorie e attività per il sostegno e preparatore fisico;
  • odio dover leggere “le condizioni e la privacy” quando si sottoscrive un contratto perché è sempre scritto con un carattere piccolo e spesso illeggibile;
  • amo tutto ciò che ha a che fare con il mare;
  • ho pensato di far partire questo blog per svariati motivi più o meno seri.

Ecco una mia “bio” più istituzionale per i più curiosi.

Mi trovi su linkeldin, su facebook, su twitter e su Instagram ma è qui che scrivo in maniera più professionale e seria.

Se sei alla ricerca di qualcuno con cui scambiare punti di vista, con cui riflettere su argomenti in tema con il blog, in maniera totalmente gratuita, scrivici pure.