Animazione e movimento divergente

Animazione al movimento divergente

Una corretta educazione al movimento divergente non mira a far correre il più velocemente possibile o a saltare il più in alto possibile ma…

…tende a sviluppare tutte le possibilità motorie della persona sin dalla sua infanzia migliorando le sue capacità relazionali, espressive e creative e avvicinandola al sentire le proprie emozioni.

Iniziare un’educazione in questo senso implica la massima autonomia di sperimentarsi in movimento, in modo che aumentino i propri vissuti motori, si delinea così l’attuale corpo in movimento.

L’immensità del bambino

Ogni bambino è un universo, ricco di:

  • curiosità,
  • idee,
  • interessi,
  • movimenti,

che va ascoltato singolarmente per fargli scoprire l’armonia tra il suo sentire, pensare e agire.

La voglia del bambino di esprimersi creativamente stimolerà le sue energie interiori.

L’ambiente in cui vive favorisce o inibisce questo processo.

Il secondo ambiente dopo il corpo di cui bisogna avere cura è il quartiere in cui si risiede che dovrebbe avere uno spazio attrezzato e vigilato dove i bambini possano giocare e socializzare.

Non si tratta di dare una verniciatura alle vecchie facciate ed un’aggiustatina generale, ma di cambiare completamente il rapporto con l’esterno valorizzando la strada.

La finalità dei giochi tradizionali

Il recupero dei giochi tradizionali di quartiere ha una grande valenza educativa, il bambino diventa protagonista attivo della sua città.

Nei quartieri soffocati dal cemento, dove ci sono palazzi addossati l’uno all’altro, dove non c’è luce, si ha un maggiore tasso di delinquenza. Il sorriso che il gioco regala è un antidoto contro l’aggressività.

Nell’educazione alla creatività, oltre a consegnare il gioco ai bambini, bisogna costruire loro anche un ambiente dove possano praticarlo.

Le finalità degli esercizi sono:
  1. arrivare a sentire il proprio corpo, a saperlo ascoltare
  2. acquisire naturalezza e spontaneità nel movimento
  3. ritrovare la spensieratezza e il divertimento nel giocare con gli altri
  4. migliorare le capacità relazionali con se, con lo spazio e con il gruppo
  5. esplorare le potenzialità espressive e creative.

Il laboratorio per il movimento divergente inizia con alcuni esercizi di libera esplorazione che stimolano l’organizzazione del sistema nervoso centrale.

La libera esplorazione

La cosa importante da fare è evitare forzature ed esercizi obbligati, ma è necessario lasciare il corpo libero di esplorare tutte le possibilità motorie, di trovare attraverso libere prove ed errori il suo adattamento migliore.

La finalità è portare verso l’esterno il proprio mondo interiore, è questo il significato della parola “espressione”. 

La libera esplorazione è una risposta del proprio corpo agli stimoli dell’ambiente, si sperimenta il modo in cui gli oggetti entrano in rapporto tra loro e già in questa fase si ha subito creatività.

E’ evidente che ognuno vede e sperimenta le relazioni in modo diverso ed originale rispetto ad un altro:

è fondamentale partire dal movimento spontaneo come è pure importante educare al rispetto dello spazio motorio dell’altro.

libertà di esplorazione
libera esplrazione

Agli esercizi di esplorazione motoria vanno associati poi quelli percettivi, di interiorizzazione del proprio corpo.

Il raffinamento percettivo arricchisce il rapporto con gli altri linguaggi espressivi.

Il corpo è la nostra casa farmaceutica su misura, è il primo ambiente salutare in cui siamo inseriti, una casa definitiva, non in affitto, è l’ambiente più adatto che madre natura ha dato ad ognuno di noi.

Questa casa va rispettata, curata, conosciuta, ma soprattutto rispettata senza accanirsi in complicate ristrutturazioni.

Educazione alla creatività motoria

L’educazione alla creatività motoria deve realizzarsi da subito considerando che nei primi otto anni di vita il cervello è in grado di assorbire nel migliore dei modi, senza sovrastrutture e meccanismi di difesa, le stimolazioni provenienti dall’ambiente esterno.

Nel bambino fino ad otto anni germogliano nuove fibre nervose nella corteccia frontale, che pianificano le azioni.

Questo permette ai neuroni di creare nuove connessioni e di sperimentare la loro flessibilità.

Tutti sono naturalmente predisposti ad essere creativi, ma per poterlo diventare veramente è bene esercitarsi in modo da svegliare i neuroni assopiti ed attivare così nuovi collegamenti cerebrali.

Le animazioni che stimolano la creatività motoria sono infinite, importante è cambiare spesso attività e provare nuove situazioni suggerite dal gruppo classe.

Il cerchio

Proprio per ascoltare tutti è necessario stare spesso in cerchio.

Il cerchio ha un valore fantastico perché in esso si ha la possibilità di osservare ognuno e di trasmettere agli altri le tensioni creative che si vivono.

L’approccio al movimento si sviluppa attraverso il gioco, la musica e il divertimento.

Conclusione

Per iniziare gli esercizi-gioco bisogna imparare a vedere la realtà non dando niente per scontato.

Dobbiamo pensare che i nostri movimenti non sono solo quelli che ogni giorno meccanicamente ripetiamo, ma che ce ne possono essere altri.

Impariamo a scarabocchiare i nostri movimenti e vediamo cosa ne esce fuori; molte opere d’arte sono nate così.

La cosa importante è pensare con i propri pensieri ed agire con i propri movimenti.

Appuntamento al prossimo articolo! Il prof. Pasquale Iezza proporrà più di 50 esericizi di libera esplorazione.

trainingconcept.it

di Pasquale Iezza

basket moderno

I ruoli nel basket moderno

Una delle domande più comuni che un ragazzino del settore giovanile si sente rivolgere è “in che ruolo giochi?

La seconda, di solito, riguarda il giocatore che più ammira e quasi sempre la scelta cade su un atleta che ricopre lo stesso ruolo…

…Ha ancora senso parlare di ruoli nella pallacanestro moderna?

Prima di provare a dare una risposta, facciamo un salto nel passato.

I ruoli “classici”

Negli anni 80-90 era molto facile individuare il ruolo di un giocatore.

Grazie alle sue caratteristiche tecniche e fisiche, infatti, era evidente, osservando il roster di una squadra, chi giocasse nelle varie posizioni, e quale fosse il contributo di ogni singolo componente alla causa della squadra.

Il Playmaker doveva essere soprattutto un giocatore altruista, in grado di “sistemare” i propri compagni in campo, prevedere le situazioni ed essere il braccio dell’allenatore.

La Guardia non poteva prescindere da essere un realizzatore, principalmente tiratore, in grado di mettere a referto tanti punti;

L’Ala piccola era colui che toccava meno la palla tra gli esterni, finalizzatore, spesso tiratore dagli scarichi, intorno ai 2 mt dava una buona mano ai rimbalzisti;

Proprio l’Ala grande era il ruolo che forse più si stava sviluppando e cambiando.

Spostava gli equilibri, playmaker aggiunto, rimbalzista, un vero e proprio lusso.

Non parliamo di quelli che avevano la doppia dimensione:

gioco spalle a canestro e fronte, negli anni 2000 ampliarono sempre di più il loro raggio d’azione incominciando ad avere anche tiro da 3 punti;

Infine il Pivot, giocatore più alto, intorno ai 210 cm, doveva riempire l’area, intimidire in difesa, fare blocchi in attacco, prendere rimbalzi e non lamentarsi se faceva pochi tiri

chi aveva lo Shackleford di turno vinceva lo scudetto..!!.


Anche il giudizio degli addetti ai lavori era tarato su determinate convinzioni:

  • Un playmaker realizzatore non era un buon regista,
  • il lungo con tiro dai 5/6 metri era troppo perimetrale,
  • l’ala piccola doveva giocare correndo sui blocchi e facendosi trovare negli angoli
    • non dare “fastidio” nel trattare la palla.
Il cambiamento

Negli anni 2000 le cose cominciarono a cambiare.

Sempre più giocatori in grado di coprire due ruoli: i

  • l playmaker divenne uno dei migliori realizzatori delle squadre
  • le guardie erano anch’esse dei costruttori di gioco

da qui la definizione di un nuovo ruolo:

“combo”, quei giocatori ovvero in grado di coprire indistintamente le posizioni di 1e 2.

La stessa ala piccola deve avere ora nel suo bagaglio tecnico il gioco spalle a canestro per poter sfruttare la sua altezza ma anche per scalare nello spot di 4.

In verità non erano neanche poche le squadre che utilizzavano nella posizione di ala un’altra guardia, situazione tattica che permetteva di avere tre trattatori di palla ed essere meno prevedibili.

Probabilmente il ruolo di centro era l’unico che continuava ad avere una sua collocazione ben precisa sia tecnicamente che tatticamente, sicuramente però più atleta e verticale e con maggiore tecnica, soprattutto nelle ricezioni dinamiche.

è il momento dell’utilizzo quasi esclusivo dei pick&roll come arma principale dei vari attacchi, ed avere un efficace rollante in grado di chiudere i triangoli diventa necessario.


I giorni nostri

Diamo uno sguardo a cosa succede nell’NBA.

Sicuramente un punto di riferimento per il nostro sport, dove spesso è massima l’evoluzione dei giocatori dal punto di vista tecnico, ma soprattutto fisico.

NBA

La velocità del gioco, lo sviluppo atletico dei giocatori, le regole tattiche ma anche il passaggio dall’università di giocatori sempre più giovani ed acerbi tatticamente e ancora in fase di completamento tecnico, ci presentano squadre costruite per concetti e per caratteristiche dei giocatori piuttosto che per ruoli tattici.

Non si cerca il playmaker, il centro o l’ala grande, ma il tiratore, il difensore, il “facilitatore di gioco”, il lungo che apre le difese con il tiro da fuori.

Anche i nomi sono cambiati, per esempio:
  • la Point guard
    • giocatore che “inizia” l’azione, realizzatore dinamico in grado di creare per i compagni attaccando il canestro,
  • il tiratore 3D
    • tiratore da tre punti e gran difensore
  • il popper
    • colui che si apre dopo una blocco dilatando le spaziature
  • senza dimenticare il giocatore all round
    • colui che è in grado di portare palla ma anche essere il miglior rimbalzista e avere la doppia dimensione

In quest’ottica la risposta alla nostra domanda circa l’esistenza o meno dei ruoli nella pallacanestro moderna è:

sempre meno!

Infatti si va verso un quintetto con giocatori fisicamente uguali e tutti pericolosi con la palla in mano.

Il rovescio della medagli di questa “evoluzione”

Il gioco tranne alcune squadre è molto standardizzato.

Si fa fatica a riconoscere un sistema di gioco diverso dagli altri.

Le fortune di una partita ma anche di un’intera stagione dipendono dalle singole giocate e sempre meno da un gioco corale e di letture (da qui la costruzione dei super-team).

Non è un caso che quando arrivano le partite decisive per vincere un campionato, coloro che hanno nel roster ancora un playmaker, un centro e giocatori in grado di leggere le situazioni hanno più possibilità di raggiungere i propri obiettivi.

Pensiamo ai Lakers di Rondo, Howard oltre che di Lebron e Davis.

Conclusione

In Europa il cambiamento è meno evidente, pur avendo giocatori in grado di coprire più ruoli.

Infatti ancora possiamo ammirare i vari:

playmaker moderni, certo, ma con ruolo ben definito.

Così come i vari:

lunghi che sono dei riferimenti dentro l’area.

Il sistema di gioco è ben definibile

Le squadre migliori sono quelle con le letture più evolute, dove le giocate dei singoli sono delle espressioni di talento all’interno di un gioco corale.

Probabilmente nei prossimi anni la sfida è proprio

trovare una sintesi tra le due espressioni di basket, coniugando lo sviluppo dei giocatori moderni con la qualità del gioco.

di Sergio Luise

Time out

Il Time out nel basket

“Chiama un time out!”, “quando lo chiami il time out?!”.

Sono tra le frasi più urlate dagli spettatori a noi allenatori durante la partita, a testimonianza dell’importanza che lo stesso pubblico
attribuisce a questo aspetto del GIOCO.


Facciamo però un passo indietro.

Il significato sportivo del termine Time Out è sospensione del tempo, ed era proprio questo il motivo per cui fu inserito nelle regole del nostro sport,
ovvero dare la possibilità di riposo ai giocatori.

Era quindi una pausa momentanea dal GIOCO.

L’evoluzione della pallacanestro ha reso, invece, questa interruzione del “giocato” una fase concreta della partita, tanto da essere un’arma tattica che tutti noi allenatori dobbiamo essere in grado di sfruttare a pieno.

Il primo aspetto da tener conto è il numero di time out che ogni squadra ha a disposizione.

Excursus tra i vari campionati.
Logo della Federazione Internazionale Pallacanestro

Area FIBA

  • Si hanno un massimo di 5 time out di 60 secondi per ogni team.
  • Sono così distribuiti: 2 nei primi 2 quarti e 3 nei secondi.
  • Negli ultimi 2 minuti della partita se ne possono chiamare massimo 2, più un altro per ogni eventuale supplementare.
  • E’ solo la panchina (allenatore o vice allenatore) a poterlo chiamare.

NBA

  • La situazione è molto diversa.
  • Si hanno un massimo di 7 time out per squadra, ognuno con durata di 75 secondi.
  • Possibilità di chiamare massimo 2 time out negli ultimi 3 minuti, più altri 2 per ogni eventuale supplementare.
  • Oltre la panchina (allenatore o vice allenatore) la richiesta può avvenire anche direttamente dal giocatore che possiede la palla.

Attenzione però, secondo la regola “televison time out“, durante ogni quarto ad ogni squadra viene obbligatoriamente assegnato un time out per ragioni televisivi anche se non chiamato dalle squadre stesse!

Proprio la gestione del numero dei time out, comporta una prima decisione strategica da parte dello staff.

È fondamentale, infatti, avere sempre ben presente quanti ne restano a disposizione, ipotizzando un loro utilizzo nei momenti decisivi della partita.

Questa scelta dipende molto dal feeling che lo staff tecnico ha con la partita e con i momenti di essa, rimanere senza può costare il risultato finale.

Quando chiamarlo?

Non c’è un’unica risposta a questa domanda.

  • Può esserci la volontà di modificare il ritmo della squadra avversaria, interrompendo per esempio un break positivo, ma può anche essere la soluzione per cambiare tatticamente delle scelte che non pagano e che hanno bisogno di essere mostrate con “calma“.
  • Altro significato è il time out chiamato in prossimità degli ultimi secondi di un quarto o per gestire meglio il possesso previa una violazione di tempo, in cui sfruttando una rimessa a favore si mostrano alla squadra le cosiddette situazioni speciali (a.t.o. plays).

Non sempre però la tattica è la protagonista della sospensione, ci sono time out il cui obiettivo è essenzialmente psicologico, dare una scossa ad una squadra o a singoli giocatori in difficoltà.

E’ in questo caso che la conoscenza dei caratteri dei propri uomini è fondamentale per andare a toccare le giuste corde per avere una reazione.

C’è chi ha bisogno del bastone e chi della carota!

La mia esperienza

Nella mia esperienza da assistente ho lavorato con head coach ai quali piaceva avere un mini time out con l’intero staff prima di comunicare con la squadra, richiedendo quindi sintesi e chiarezza nell’esposizione delle idee proposte, altri invece volevano avere tutto chiaro prima di rivolgersi al tavolo per chiamare la sospensione.

Da capo allenatore io ho sempre preferito la prima soluzione, sfruttavo quel momento anche per lasciare dei secondi sola la squadra affinché parlassero tra loro.

Sergio Luise 3
Sergio Luise in un time out

Non raramente, se c’è un’intesa consolidata all’interno dello staff, il capo allenatore lascia condurre il time out al vice, soprattutto se l’indicazione da presentare alla squadra è un’idea dell’assistente.

Importante, comunque, che non ci sia un un’accavallarsi di voci. I giocatori in quei pochi secondi devono avere la massima concentrazione, recepire poche cose ma chiare.

Peggio di non avere time out a disposizione è averlo ma con una squadra che ritorna in campo confusa!

Strategie

Alcune volte si sfruttano i pochi metri che separano le panchine dal campo per suggerire all’orecchio del giocatore le ultime indicazioni mentre il tavolo ha fischiato la fine della sospensione.

Fondamentale ottimizzare tutti i secondi!

Ci sono allenatori, poi, che:

  • preferiscono sedersi.
  • Altri che guardano negli occhi i propri giocatori prima di parlare.
  • Altri che utilizzano solo raramente la lavagnetta.
Conclusione

Ognuno ha la sua tecnica e il suo modus operandi, l’importante è organizzare e sapere cosa si vuol trasmettere in quel momento, senza lasciare nulla all’improvvisazione o chiamare il time out perché lo chiede il
pubblico.

Bisogna sempre essere consapevoli di ciò che si sta facendo.

“Finalmente lo hai chiamato!!”…direbbe qualcuno dagli spalti…

di Sergio Luise

Forza tridimensionale

La forza tridimensionale e funzionale negli sport di situazione

L’effettore finale del movimento è il sistema muscolare, che trova nelle sue unità funzionali, i sarcomeri, i protagonisti del suo accorciamento in toto, spiegabile grazie alla teoria dello scorrimento dei filamenti.

I sarcomeri in quanto singola unità, devono sommarsi tra loro per creare il substrato strutturale motorio.

Sistema muscolare

Deve far riflettere come a partire da un evento “banale” quale lo scorrimento di Actina e Miosina, possa derivare una variabilità gestuale estremamente complessa. Per cui la chiave dell’allenamento o della prevenzione di un evento traumatico, deve orientarsi ad ottimizzare tutto quello che precede e consegue la formazione dei ponti trasversali a livello del muscolo e non concentrarsi sul mero rinforzo locale.

A questo possiamo poi aggiungere la maggiore complessità degli sport situazionali, grazie all’interazione del soggetto in questione con gli eventuali compagni di squadra, con l’avversario/i, con le infinite possibilità di variabili legate al gioco e di tutto ciò che ne consegue.

La sommazione dei sarcomeri, da un punto di vista teorico, si effettua in duplice modalità. La sommazione in serie e la sommazione in parallelo.

Se si considera il comportamento di due sarcomeri e si valuta il risultato complessivo di questi, le caratteristiche del movimento derivato di tale organizzazione sarà peculiare.

La sommazione in parallelo porterà ad un quadro di caratteristiche orientate ad un’espressione di forza maggiore, la sommazione in serie darà vantaggio sulla velocità di accorciamento (1).

La forza che il muscolo può esprimere non dipende esclusivamente dall’attività muscolare “pura”, ma può avere man forte dalle strutture passive perimuscolari.

La forza generata dal tessuto contrattile può esprimersi grazia a una duplice modalità di trasmissione, la quale, può essere di tipo diretto o indiretto.

Per cui possiamo avere (2):
  • Trasmissione Miotendinea, che si esprime agli estremi del muscolo.
  • Trasmissione Miofasciale, che può avere luogo lungo tutta la lunghezza del sarcomero.

Considerando il modello dello scorrimento dei filamenti e che a livello tendineo il movimento autorizzato sarà una trazione longitudinale al ventre muscolare, all’interno del ventre stesso le forze in gioco saranno di tipo tridimensionale.

I responsabili strutturali di questo sistema accessorio a quello longitudinale possono essere riconducibili all’Epimisio, Perimisio ed Endomisio. Per cui la forza, oltre che nascere dal sistema esclusivamente attivo, può nascere, grazie alle intime relazioni strutturali, anche dallo stroma connettivale (3).

epimisio endomisio perimisio
epimisio, endomisio e perimisio

La forza espressa da un singolo sarcomero dipende dal grado di sovrapposizione dei filamenti di actina e miosina. Essa è maggiore a lunghezze intermedie e tende a diminuire a mano che ci allontana da questa lunghezza ottimale.

Sulla base di questo sistema ausiliario di trasmissione di forza, un antagonista muscolare può essere fondamentale per l’ottimizzazione della produzione di forza da parte un dato muscolo, in quanto elemento di stabilizzazione.

In base a tale discorso si può capire come la forza sia angolo e gesto specifica, e di come più ci si allontani dalle caratteristiche tecniche di riferimento, più sarà difficile che la capacità allenante di un dato esercizio possa essere utile al miglioramento della performance.

Questo potrebbe indurre a far credere che esercizi aspecifici o di isolamento abbiano poco senso nell’ambito degli sport di situazione, ovviamente è un’affermazione che va contestualizzata al livello del soggetto (4).

Più un atleta è specializzato e più sarà preponderante la ricerca di una relativa specificità

Negli atleti evoluti si favorirà sempre più un approccio tendente all’ottimizzazione coordinativa gestuale, più che del miglioramento di parametri fisiologici. La stessa considerazione può essere usata per gli esercizi multiarticolari, nei quali potrebbe esservi uno stimolo eccessivo per determinati distretti ed irrisorio per altri.

Anche in tal caso la risposta va cercata nelle esigenze del singolo tramite una valutazione delle esigenze (5).

Considerare il vissuto dell’individuo, i traumi, infortuni, postura dinamica, caratteristiche trasversali, unitamente alle richieste dello sport praticato, è un primo approccio da considerare come riferimento operativo. 

Atleta forza tridimenzionale
CONCLUSIONI

A partire da questo piccolo cappelletto introduttivo, i riferimenti da considerare per orientare il lavoro possono essere riassunti dai seguenti punti:

  • Colloquio conoscitivo dell’atleta. (Considerare il suo vissuto, il suo stile di vita, la storia dei traumi, le sue esigenze)
  • Valutazione posturale soprattutto dinamica.
  • Valutazione delle richieste sport-specifiche. (Soprattutto angoli di lavoro, tipologie di forza maggiormente necessari, tempi di applicazione della forza, traumatismi principali della disciplina svolta)
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Bibliografia

  • C.Bosco. La forza muscolare. Aspetti fisiologici ed applicazioni pratiche.
  • Huub Maas and Thomas G. Sandercock. Force Transmission between Synergistic SkeletalMuscles through Connective Tissue Linkage.
  • Huub Maasa, Guus C. Baana, Peter A. Huijing. Muscle force is determined also by muscle relative position: isolated effects.
  • Schoenfeld BJ, Contreras BM. Is functional training really functional? ACSM Certified News 2010.
  • Schoenfeld BJ, Contreras BM. Do single-joint exercises enhance functional fitness? Strength Cond J 2012.

Autori: Antonio Di Stasio e Dario Mirra

Gruppo giovanile

La gestione

…di un gruppo del settore giovanile
“Debutta la rubrica dedicata ai lettori che decidono di contribuire offrendo a tutta la nostra comunità la propria riflessione, opinione, idea su di un argomento a loro più vicino.
Questa è la volta di Francesco Callipo (giovane allenatore di pallacanestro).
Grazie per aver “rotto il ghiaccio”. T.M.

Francesco Callipo
Francesco Callipo

All’inizio del percorso formativo e di sviluppo di un giovane atleta l’impatto con il gruppo squadra può essere determinante, sulla velocità di apprendimento e sulla definizione di alcuni aspetti caratteriali del ragazzo, quali autocontrollo e impulsività, equilibrio e aggressività, leadership e disponibilità.

A partire dal Minibasket arrivando al Settore Giovanile, quasi la totalità dei ragazzi mantiene, come è normale che sia, un’impostazione individualista degli aspetti legati al gioco.

Gioco di squadra

In questo senso il Gruppo, il gioco di squadra e le attività di collaborazione possono, anzi, devono costituire un impatto emotivo che stimoli il giovane a sviluppare nuove capacità relazionali e diverse abilità nella gestione della propria emotività.

Il ruolo dell’allenatore deve essere quello di generare costantemente stimoli ai singoli atleti per provocare reazioni che li inducono a cercare delle motivazioni.

L’allenatore dovrà trasmettere all’allievo, con empatia e determinazione, le seguenti competenze:

  • Requisiti comportamentali – attitudinali, cercando di migliorare la loro soglia dell’attenzione. Saranno così in grado di recepire e processare le indicazioni che gli vengono fornite.
  • Requisiti fisici, che devono essere specifici, funzionali e mirati al fisico di ognuno, dedicandogli almeno 1/3 del lavoro settimanale. Col tempo, devono anche imparare a gestire il dolore o una limitazione, per evitare che, in futuro, non riesca a fronteggiare un problema di natura fisica che lo freni in fase di sviluppo.
  • Requisiti tecnici, nello specifico, avere la padronanza dello spazio e del tempo, ovvero sapere dove andare e quando farlo.Superato il minimo disagio, che tale reazione genera, il ragazzo si aprirà completamente al gruppo, per diventarne parte integrante con i propri pregi e difetti.Inoltre potrà, indirettamente, insegnare agli altri e, direttamente, imparare da tutti.

Superato il minimo disagio, che tale reazione genera, il ragazzo si aprirà completamente al gruppo, per diventarne parte integrante con i propri pregi e difetti.

Inoltre potrà, indirettamente, insegnare agli altri e, direttamente, imparare da tutti.

Mettersi in gioco

Affinchè tutto ciò avvenga, è fondamentale che i ragazzi siano sempre disposti a mettersi in gioco.

L’Allenatore ha la responsabilità di doversi guadagnare la fiducia degli atleti, per potergli dare sempre sicurezza e loro, in cambio non negheranno la propria disponibilità all’apprendimento e alla partecipazione.

Elemento di base, solido e determinante, è la Credibilità che l’allenatore riesce ad ottenere attraverso i comportamenti e le scelte, che devono essere sempre coerenti e adatte per ogni singolo atleta, anche se dovessero andare controcorrente.

Per il bene del ragazzo, per la sua maturazione prima e per il miglioramento del gruppo dopo, è di vitale importanza che acquisisca la consapevolezza che un “no” non è sintomo di fallimento, bensì è parte integrante del percorso di crescita.

In ogni caso, alla base ci siamo noi Allenatori, i quali con il comportamento, l’etica del lavoro e la tenacia sportiva trasmettiamo dei messaggi agli atleti che apprendono, modificano e ripropongono o in maniera positiva (superando gli ostacoli) o negativa (diventando poi abitudini difficili da cambiare).

Essenziale sarà lo stabilire regole di comportamento, piani di allenamento, attività di potenziamento, osservazione del gruppo e verifica degli obiettivi durante tutto l’arco dell’anno.

Fissare dei focus raggiungibili, passo dopo passo, magari con traguardi intermedi e soffermarsi ogni tanto a verificare come procedono le attività, senza timore di tornare indietro, se non si è contenti dei risultati prefissati.

Non sempre la colpa è della squadraforse i compiti devono essere proposti in maniera diversa.

Per questo è necessario continuare a condividere con il gruppo le proprie idee, spiegando la scelta di un certo tipo di lavoro, riconoscendo in ognuno di loro il miglioramento individuale.

Citando le parole del Coach Ettore Messina, “Ci vuole il tempo che ci vuole”, al di là se il ragazzo sia alle prime armi di un gruppo Under 13 o sia un giocatore di Serie A.

Ettore Messina
Ettore Messina. È tra gli allenatori europei di pallacanestro più titolati, potendo vantare nel suo palmarès ben ventotto trofei con i club, compresi quattro campionati italiani, sei campionati russi, quattro Eurolega, una Coppa delle Coppe e tre VTB United League

Non è semplice, al giorno d’oggi, stare al passo con i ragazzi che sono in continua evoluzione, parallelamente alla tecnologia che li circonda, abituati ad avere tutto e subito, ed a voler raggiungere l’obiettivo nell’immediato, senza avere costanza e pazienza.

Bisogna instaurare un rapporto di fiducia e stima reciproca con gli allievi, in modo tale che, nei momenti di difficoltà, avranno un punto di riferimento che possa alimentare in loro la voglia di continuare nello sport.

Dalla parte degli ultimi per farli sentire primi

Ultimi primi

di Francesco Callipo

Agostino Abbagnale

Agostino Abbagnale

Agostino è di Pompei ma da un bel po’ di anni umbro di adozione.

Titolare di un invidiabile curriculum agonistico nel mondo del canottaggio: 3 ori olimpici e 2 ori mondiali oltre ai vari campionati italiani. E’ stato giudicato dagli esperti un:

vogatore di eccezionale tempra atletica e tecnicamente completo

Nel 2006 è stato insignito dalla FISA (Federazione internazionale di Canottaggio) della Medaglia Thomas Keller, la più alta onorificenza nel mondo del canottaggio (mettere link wikipedia)

Attualmente è allenatore della Federazione italiana di canottaggio. Sempre  pronto a qualsiasi tipo di confronto, ha accettato senza nessun dubbio di dare il suo contributo.

Ho avuto sempre la sensazione, durante gli scambi che abbiamo avuto, della sua convinzione che tutti noi abbiamo un gran desiderio di dare alla collettività, nel senso più ampio della parola. 

Grazie, sinceramente, Agostino!

Massimiliano Palmisani

Massimiliano Palmisani

È innanzitutto un AMICO. Se si facesse una ricerca dei sinonimi di “leale “avreste come risultato: sincero, giusto, schietto, onesto, fidato e cavalleresco.

Ecco lui è tutto questo, senza esagerazione.

È nato a Caserta, lavora nel mondo dell’economia ma è in quello sportivo dove le nostre strade si sono incrociate, lavorando insieme in un bel po’ di club.

Massimiliano non è solo colui che insegna tecniche e strategie cestistiche, ma persona pronta ad imparare sempre in ogni situazione.

Con I suoi modi e metodi riesce a facilitare l’auto consapevolezza dell’atleta e crea continue occasioni di apprendimento che gli permettono di trasmettere competenze e conoscenze con l’obiettivo di perseguire e raggiungere il risultato.

La stima è talmente tanta che gli scambi, i pareri, le critiche come anche gli elogi su ciò che ci accomuna: lo sport, sono giornalieri.

Spesso approntiamo protocolli di lavoro, lui come allenatore ed io preparatore fisico nonostante i nostri impegni siano in squadre diverse.

Il prezioso contributo che ci darà sarà di rilievo perché fatto con la massima purezza e professionalità.

Grazie Massimiliano per essere qui!