I requisiti necessari per giocare a basket a livello competitivo superano di gran lunga quelli necessari ad eseguire le normali attività quotidiane e anche a quelli richiesti nella maggior parte degli altri sport.
Una buona condizione di base da sola non può essere sufficiente.
Una buona elasticità, un buon allenamento del core e la forza sono elementi essenziali per la pratica della pallacanestro, si rende necessario sviluppare anche qualità associate ad una elevata prestazione atletica come:
Tutte e quattro queste qualità atletiche sono in parte determinate dal proprio bagaglio genetico e qualunque inesperto telecronista di pallacanestro definirà “atleta naturale” quei giocatori un po’ più dotati nella media.
Veramente troppi giocatori dotati geneticamente hanno permesso che quelle loro capacità si deteriorassero, mentre altri si sono spinti a limiti estremi del proprio potenziale atletico.
In altre parole se si vuole migliorare la propria velocità, potenza, agilità e coordinazione lo si può fare.
LA VELOCITA’
Velocità, rapidità e abilità nel saltare sono le qualità atletiche considerate più importanti nel basket.
I giocatori che mostrano movimenti eleganti, fluidi, agili ed esplosivi sul campo nel confronto degli avversari sono gli stessi che, generalmente, eccellono in questo sport.
Essi hanno sviluppato abilità superiori nei movimenti fondamentali che consentono loro di spostarsi dal punto A al punto B molto rapidamente.
Le componenti
La velocità ha due componenti di base:
la lunghezza del passo
(la distanza coperta da un solo passo)
la frequenza dell’andatura
(il numero di passi effettuati nell’unità di tempo)
La cadenza alla quale l’atleta muove le sue braccia e le sue gambe e la distanza che ogni andatura copre, determina la velocità di un atleta.
Idealmente un giocatore adotterà un alto livello di frequenza per accompagnare un’ampia andatura.
Questo risulta valido anche per movimenti diversi dallo sprint in linea retta, come ad esempio i movimenti laterali, gli arretramenti e i movimenti combinati della pallacanestro.
Tutti i giocatori hanno delle limitazioni personali che riguardano la velocità e il come muovono braccia e gambe.
Infatti sprinter di fama mondiale e corridori di medio livello sono sorprendentemente simili in termini di frequenza di andatura.
Dato per scontato che ogni atleta potrebbe migliorare la frequenza dell’andatura, da un punto di vista di risparmio del tempo, un maggiore progresso dello sviluppo della velocità viene ottenuto mettendo in evidenza il progredire di un’andatura “esplosiva”.
Importante assicurarsi, però, di non sacrificare la frequenza dell’andatura solo per aumentare la lunghezza del passo.
Se il più grande fattore di limitazione dello sviluppo della velocità è la lunghezza del passo, perché l’atleta allora non può correre semplicemente con un passo più lungo?
Credo che la risposta è che quello che l’atleta guadagna in lunghezza dell’andatura è controbilanciato da una perdita di efficienza nel movimento.
Chiunque può mettersi a correre con un passo più lungo, ma movimenti di scavalcamento, saltelli, oscillazioni e una frequenza ridotta di passi quasi sempre producono un’andatura a passo più lungo a scapito della velocità.
I tre punti chiave per migliorare la lunghezza dell’andatura sono:
Schemi di movimento fondamentali come il correre, il saltellare, lo schivare, il cambiare direzione, il saltare, il saltare in alto e il correre all’indietro sono comuni nel gioco del basket.
Una volta che si conosce l’importanza della specificità e si vuole sviluppare un’andatura più efficace ed ampia, c’è bisogno di includere un programma di esercitazioni ed attività tese al miglioramento della velocità e della rapidità nel piano di allenamento di un atleta, in modo da migliorare anche i movimenti specifici del basket ed incrementando l’appropriato sistema di energia nello stesso tempo.
In quest’articolo ho fatto riferimento ad appunti e concetti, in cui credo, di grandi preparatori fisici della NBA oltre che a teorie sperimentate di alcuni preparatori italiani.
Spesso la coordinazione è ritenuta un equivalente dell’agilità, essa è la capacità di sincronizzare tutte le componenti e le doti atletiche dell’individuo. La coordinazione implica, così, il concetto di sinergia.
Un esempio che mi ha colpito nel mio percorso di studi ed in particolare sulla coordinazione è stato quello fatto dal quotatissimo…
Con questa metodologia quando si deve insegnare un movimento o un’azione e aderire cosi al concetto di sinergia, bisogna:
Mostrare e far capire l’intero movimento;
Scomporre il movimento nelle sue parti;
Padroneggiare ogni singola parte dell’intero movimento;
Riassemblare le parti per creare un movimento completo e migliorato.
Far allenare alla coordinazione di movimento consente l’armoniosa integrazione di tutti i movimenti in un’azione fluida, controllata ed efficace.
Praticando ogni movimento, o meglio ancora, ogni parte di ogni movimento, l’atleta intensificherà molto lo sforzo totale.
Tutto ciò serve a capire che l’agilità e la coordinazione possono essere apprese. Un atleta può migliorare efficacemente le proprie prestazioni e diminuire il rischio d’infortunio semplicemente migliorando agilità e coordinazione.
La prossima volta che guarderete una partita di pallacanestro vi invito ad osservare le schiacciate, i passaggi da dietro la schiena ed i tiri da 3 punti e fate uno sforzo per seguire le tracce dei movimenti di un giocatore, meglio ancora se si ha la possibilità di vederlo a rallentatore, prendendo nota come un giocatore si sposta da un punto A ad un punto B.
Se si osserva attentamente vedrete i fondamentali movimenti come saltare, operare i rimbalzi, correre, schivare e caracollare (volteggiare) in avanti, indietro e di lato.
Gli schemi motori fondamentali sono esercizi evolutivi che i bambini imparano da subito e che saranno utili come movimenti fondamentali per più avanzate e specifiche capacità sportive.
L’abilità a muoversi in modo efficace ed esplosivo è essenziale per una prestazione vincente nel basket.
Gli atleti naturali eseguono questi fondamentali schemi di movimento con un alto grado di profitto. Tali giocatori sono notevolmente esplosivi, ma i loro movimenti in campo sembrano fluidi e senza sforzo.
Questo perché gli allenamenti specifici sono continui e costanti.
Per la maggior parte degli esercizi in campo, come per la pallacanestro, richiedono movimenti come lo sprintare, gli spostamenti laterali di forza (scivolamenti), gli spostamenti indietro o difensivi, il correre indietreggiando, ed una gran varietà di salti.
Bisogna quindi allenare questi movimenti sostituendo quelli generali ad altri analitici, modificando continuamente la sequenza per mettere alla prova la capacità atletica di adattamento ad un costante mutevole stress fisico dell’atleta.
In questo articolo vorrei portare in evidenza un concetto molto interessante sviluppato da alcuni autori riguardo alla specificità degli apprendimenti, ovvero quello dell’ipotesi del contesto-visivo.
Dopo una breve introduzione sul concetto di percezione visiva legata al movimento andremo ad analizzare uno studio interessante proposto dal gruppo di ricerca di A. Schmidt presso l’Università della California a Los Angeles e pubblicato sul Journal of Sport and Exercise Psychology nel 2008.…
Introduzione
Quando si parla di specificità si affronta un argomento molto complesso che richiede l’analisi di diverse componenti del movimento.
Frans Bosch definisce la specificità di un movimento (che poi si riflette nella sua trasferibilità) su cinque dimensioni, una delle quali riguarda quella percettivo-sensoriale.
All’interno di questa dimensione ritroviamo la percezione propriocettiva delle forze, delle posture, dei movimenti, e anche la percezione dell’ambiente circostante.
L’ambiente circostante è caratterizzato da due tipologie di informazioni.
Le “vuote” che devono essere processate dal cervello per far si che acquisiscano di significato.
Quelle che invece possiedono già un significato e sono percepite grazie a quella che viene definita “percezione diretta”, attraverso processi automatici ed inconsapevoli.
LA VIA DEL COSA E LA VIA DEL DOVE
Le visualizzazioni di oggetti che devono essere convertite in percezione nel cervello vengono solitamente definite “il cosa” del processo d’informazione.
Oltre al “cosa” esiste anche “il dove” dell’informazione, l’informazione del movimento, che invece è processata dal flusso dorsale della corteccia visiva.
Quello che sorprende è quanto le due vie siano effettivamente separate.
Il “cosa” dell’informazione viaggia lungo la via parvocellulare, mentre quella del “dove” lungo quella magnocellulare.
Il risultato di questa distinzione nelle vie del processo è che vi sia una significativa differenza tra i due flussi d’informazione.
Il “cosa” dell’informazione viene percepito consapevolente, mentre questo è in parte impossibile nel caso del “dove” dell’informazione, che è processato inconsapevolmente. (F.Bosch)
La via del “dove” è ultimamente conosciuta anche come la via del “come”.
Un termine che enfatizza la forte correlazione tra le informazioni visive sul movimento e la progettazione del movimento automatizzato controllato inconscio.
LE INFORMAZIONI DELL’AMBIENTE CHE GIÀ INCLUDONO LE INFORMAZIONI
Proprio come il “dove” dell’informazione, la percezione-diretta dell’informazione è principalmente processata inconsapevolmente.
LO STUDIO DI SCHMIDT
Questo articolo affronta lo spinoso e sempre molto acceso confronto tra il concetto di generalità e specificità nelle teorie dell’apprendimento e del controllo motorio.
Da sempre esiste questa dicotomia tra le teorie che sostengono l’esistenza di modelli generali di movimento.
Possibile poi attingere per lo sviluppo di abilità più specifiche, e le teorie che invece identificano nella specificità il processo migliore per l’acquisizione di abilità.
Nella parte iniziale dello studio vengono presentate due ricerche effettuate su giocatori di basket che identificano una caratteristica molto importante dell’apprendimento:
la specificità del contesto che determina i comportamenti.
Ricerca 1
La prima ricerca è stata effettuata su giocatori maschi della NCAA (Schmidt, Lee, & Young, 2005) e consisteva nel farli tirare a canestro da distanze sempre maggiori, comprese tra 9 e 21 piedi.
La tipologia di tiro che veniva richiesta era quella che prevedeva entrambi i piedi a terra, tipica del gesto del tiro libero.
L’ipotesi di partenza era che all’aumentare della distanza sarebbe aumentata la percentuale di errore, ed in effetti questo si verificò puntualmente.
L’aspetto interessante della ricerca è che alla distanza precisa di 15 piedi, quella del tiro libero (gesto tecnico molto ripetuto nel gioco del basket poiché previsto dal regolamento) il valore ottenuto si discostava da quella che era la previsione attesa.
Dimostrando un valore “anomalo” rispetto alle altre distanze che invece rispettavano la predizione (vedi figura 1).
Perché succede questo?
L’ipotesi degli autori fu quella appunto di un adattamento specifico a quel tipo di gesto, grazie alle innumerevoli ripetizioni effettuate durante la quotidiana pratica della disciplina.
Ricerca 2
La seconda ricerca presentata nella prima parte dell’articolo (Keetch et al., 2005) fu condotta invece su giocatrici femmine sempre di alto livello in cui gli autori, sulla base dei risultati del precedente studio.
Volevano verificare se al variare della tipologia di tiro, in questo caso inserendo un salto durante l’esecuzione, si verificasse la stessa cosa vista precedentemente.
Ripeterono quindi l’esperimento facendo tirare le giocatrici sia in modalità “tiro libero” che in modalità “tiro in sospensione”.
Nella figura 2 notate quello che si è verificato.
Solo nella modalità di esecuzione con i piedi a terra si verificò nuovamente questa differenza rispetto alla predizione.
Dimostrando un’altra volta la specificità di questo apprendimento che solo se eseguito in quel preciso modo manifestò un risultato maggiore grazie alle numerose volte che è stato praticato.
L’inserimento di una variazione come quella del salto impedisce alle giocatrici di attingere a quello specifico apprendimento e sfruttare l’abilità speciale del tiro dai 15 piedi.
CHE FINE HA FATTO IL MODELLO GENERALE DI MOVIMENTO?
Capite bene che questi risultati rendono difficile la vita a tutte quelle teorie che tendono a considerare l’esistenza di un modello generale di movimento dal quale poi si specializzino alcune forme di esso.
In questo caso la dimostrazione del fatto che una semplice variazione, come la presenza di un salto durante il movimento, abbia di fatto annullato “l’esperienza” di quella specifica tipologia di tiro.
Ci porta a considerare molto difficile la trasferibilità tra due gesti diversi, anche solo per qualche dettaglio, figuriamoci per quelli molto diversi tra loro.
Se esistesse uno schema di movimento generale del “tirare a canestro”, o addirittura semplicemente del “lanciare” diventerebbe difficile spiegare i risultati appena mostrati.
Questi risultati suggeriscono che anni di pratica sulla linea del tiro libero:
producono un’abilità che ha uno specifico vantaggio di controllo del movimento a quella particolare distanza
fornisce poco o nessun vantaggio rilevabile per qualsiasi altra distanza
indipendentemente dalla sua vicinanza alla linea di tiro libero.
L’IPOTESI DEL CONTESTO VISIVO
Ora le spiegazioni potrebbero essere due sul perché si sia manifestato questo specifico apprendimento.
Una che potremmo definire “ipotesi dei parametri appresi”, ovvero il fatto che gli atleti avendo ripetuto molte volte in carriera questo gesto specifico abbiano imparato esattamente la gestione dei parametri di movimento per eseguirlo al meglio:
quantità di forza,
velocità della palla,
velocità di estensione delle braccia,
grado di flessione delle ginocchia, ecc…
L’altra spiegazione invece la definiamo “ipotesi del contesto visivo”, ovvero il fatto che questo specifico apprendimento dipenda dall’aver sviluppato una comprensione del contesto estremamente precisa riguardante quindi:
la presenza del tabellone,
l’angolo di visuale rispetto al canestro,
tutto quello che riguarda la visione da quella specifica distanza in quel punto specifico del campo da basket.
Come fanno gli autori a stabilire quale delle due ipotesi sia la più probabile?
Conducono uno studio in cui a delle giocatrici di basket di alto livello viene chiesto di tirare a canestro dalla distanza di 15 piedi:
ma da diverse angolature, non solo da quella del tiro libero (90° rispetto al canestro).
Le giocatrici dovranno tirare a canestro da:
3 angolature diverse a sinistra dal canestro
(45°, 60°, e 75°)
tre angolature diverse a destra dal canestro
(105°, 120°, e 135°)
Se fosse confermata l’ipotesi dei parametri appresi non si dovrebbero registrare differenze poiché essendo la distanza la medesima, anche i parametri restano gli stessi.
Se fosse invece confermata l’ipotesi del contesto visivo dovremmo aspettarci dei risultati diversi poiché a quelle angolature cambierebbero le informazioni visive percepite dalle giocatrici durante l’esecuzione del tiro.
I risultati sono mostrati nella figura 3.
Soltanto nella posizione dei 90° rispetto al canestro, quella cioè specifica del tiro libero nel basket si registra un performance migliore di quella predetta.
Dimostrando come non sia esistente di per sé un’abilità legata ai parametri del movimento (aver appreso quanta forza, quale velocità, ecc) ma invece un’abilità estremamente legata alla posizione in campo ed alle informazioni disponibili da quella specifica posizione.
CONCLUSIONE
Questo studio ci da conferma di quanto nella matrice di specificità sia presenta una dimensione di carattere percettivo-sensoriale.
Quando vogliamo allenare qualcosa di “specifico” non possiamo non considerare il contesto nel quale stiamo riproducendo quel gesto.
Non possiamo non considerare le informazioni visive a disposizione dell’atleta come un elemento fondamentale dell’apprendimento.
Non esistono lavori specifici fatti in zone di campo diverse da quelle reali, con distanze diverse da quelle reali, in posizioni di campo diverse da quelle reali.
La dimensione di specificità ci obbliga a definire “specifico” soltanto ciò che
Ciò che questa formula significa in termini semplici è che
Bisogna ricordare che potenza è definita come la massima quantità di forza che un muscolo può generare nel tempo.
Se la forza ha un ruolo vitale nell’equazione di potenza, ancora, alcuni allenatori e giocatori, commettono l’errore di confondere la forza con la potenza ed erroneamente giudicano la potenza in base alla quantità di peso che un giocatore può sollevare in palestra.
Questo non è un’unità di misura della potenza, ma piuttosto un indicatore della forza assoluta ed è di poco valore se non è subito trasferibile al campo di basket.
Per contro un atleta potente è in grado di unire la forza massimale con la velocità di movimento.
La forza esplosiva è anche chiamata dinamica o forza funzionale e dovrebbe essere lo scopo di ogni programma di allenamento di resistenza.
La pliometria
L’allenamento pliometrico è un modo estremamente efficace per unire la velocità alla forza ed ha come risultato la forza dinamica (energia).
saltare in alto
saltellare
passare la palla medica
fare torsioni e piegamenti addominali
sono solo alcuni delle centinaia di esercizi pliometrici che aumentano la componente rapida dell’energia.
Gli adattamenti fisiologici associati all’allenamento pliometrico sono di natura neuromuscolare.
La pliometria utilizza la naturale tendenza elastica del muscolo ed il potenziamento riflesso per produrre una forza più grande.
Si potrebbe pensare ai principi della pliometria come a quelli di un elastico che viene tirato e poi rilasciato.
Mentre l’elastico è tirato l’energia è immagazzinata nelle proprietà elastiche della gomma. Quando la tensione viene allentata, l’energia è trasferita in una uguale e opposta reazione.
La pliometria facilita il caricamento di un muscolo, o di un gruppo di muscoli, inducendo una rapida estensione che provoca una risposta neurologica che produce una più vigorosa contrazione reattiva.
Il processo di sviluppo della potenza nel basket deve essere rivolto al miglioramento della velocità, della forza e della meccanica del movimento.
Miglioramento della velocità
Per incrementare tutte le capacità motorie (ad esempio tutti i movimenti in avanti, indietro, laterale e quello combinato) bisogna indirizzare gli sforzi verso lo sviluppo di una notevole lunghezza del passo pur mantenendo una rapida frequenza dello stesso.
Questo permetterà di coprire più terreno e di mantenere nello stesso tempo il proverbiale “passo rapido” che gli allenatori considerano una caratteristica importante dei grandi giocatori di basket.
La potenza è la capacità di esercitare una forza esplosiva che può essere esercitata:
dal petto
dalle spalle
dai tricipiti
quando si esegue un passaggio all’altezza del petto
oppure la temporanea contrazione dei muscoli, che permettono le articolazioni delle anche, delle ginocchia e delle spalle appena prima di un salto verticale.
La velocità con la quale i muscoli coinvolti sono in grado di contrarsi e di esercitare forza è direttamente proporzionale all’energia prodotta.
In altre parole, più veloce è l’applicazione della forza, più grande è il potenziale per un aumento della potenza.
Un altro fattore è la quantità assoluta di massa o di peso che deve essere spostato.
Se si trasporta un peso eccessivo in forma di grasso extra, sarebbe molto conveniente elaborare un programma per la perdita del peso insieme ad uno specifico allenamento di potenza per aumentare la forza ed anche i tessuti muscolari dell’atleta in questione.
Con meno grassi e più muscoli si avrà il potenziale per effettuare movimenti in maniera più esplosiva.
Miglioramento della forza
La capacità di esercitare una forza in modo esplosivo – di muoversi con più potenza – richiede un’adeguate quantità di forza muscolare.
Di conseguenza, più grande è la forza dell’atleta, più grande è il potenziale per una aumento della produzione di forza.
La forza è importante per un giocatore di basket solo se si trasferisce subito sul campo da gioco.
E’ difficile ripetere in palestra i molti schemi di movimento che si eseguiranno durante una situazione di gioco o un allenamento.
L’allenamento di forza funzionale cerca di mettere in connessione il lavoro in palestra al campo di gioco.
I palloni medicinali, le piste ruotanti, i giubbotti zavorrati, lo step sono soltanto alcuni dei metodi alternativi di sovraccaricare il sistema nel tentativo di costruire la forza e la potenza in modo specifico per l’azione di basket.
Schemi di movimenti usati sul parquet come il correre all’indietro, lo sprintare, lo schivare lateralmente possono essere tutti migliorati sovraccaricando questi movimenti attraverso la pratica dei principi di allenamento della forza funzionale, inseriti nel programma di allenamento.
Conclusione
Usare i movimenti più efficaci per eseguire con successo una particolare abilità è essenziale per la realizzazione di una maggiore potenza.
…già durante la prima infanzia è possibile individuare oltre cento differenze tra i maschi e le femmine:
la differenza riguarda i due emisferi cerebrali.
Oggi si conosce che in entrambi i sessi la parte sinistra è specializzata nel linguaggio e nelle funzioni logiche, mentre quella destra è specializzata nelle funzioni emotive, affettive e percettive.
I due emisferi sono collegati da un ponte di fibre nervose che consente ai due emisferi di scambiarsi le informazioni.
Le ultime ricerche
Ultimamente alcune ricerche hanno dimostrato che questo ponte nelle femmine è molto più voluminoso rispetto ai maschi e ciò comporta una maggiore integrazione tra le funzioni dei due emisferi e quindi una loro minore reciproca autonomia.
Questo permette alla femmina di mutare più facilmente i propri punti di vista e di interagire meglio con l’ambiente.
La femmina utilizza in misura maggiore l’emisfero destro che le permette di compiere azioni mentali in parallelo ed è più legato alla sfera emozionale e al linguaggio analogico.
E’ sicuramente più intuitiva del maschio perché il suo cervello è meno rigido del maschio.
Le femmine hanno la capacità di riconoscere azioni intuitive in soli 200 millisecondi, mentre i maschi sono molto più lenti.
Da studi recenti risulta che le femmine utilizzano entrambi gli emisferi, mentre i maschi ne utilizzano uno solo:
percezione spaziale, esatta sequenza delle azioni da compiere.
La femmina nello spostarsi nello spazio ha bisogno di punti di riferimento mentre il maschio riesce spesso ad andare a intuito.
Le femmine sono migliori dei maschi nelle funzioni del linguaggio, mentre i maschi sono più dotati delle femmine per:
i ragionamenti matematici e meccanici,
nei compiti visivi,
nell’immaginare la traiettoria di un oggetto che si sposta o è lanciato.
La femmina è molto più resistente del maschio:
agli stress sia in campo fisico che fisiologico,
ha una attività di comunicazione e di comportamento sociale migliore rispetto al maschio,
è più rapida e completa
perché la sua natura le consente una migliore integrazione tra pensiero ed emotività.
Purtroppo sono i genitori a differenziare maschi e femmine, imponendo una differenza culturale (es. giocattoli, giochi e giochisport per i bambini e per le bambine).
E’ una questione di cultura motoria e sportiva!
Nel Minibasket
Per quanto riguarda il Minibasket a 6 anni esistono già differenze e disparità tra maschi e femmine.
La bambina ha minori disponibilità per quanto concerne la coordinazione senso-motoria, specialmente negli aspetti dinamici (ricevere e passare la palla in movimento) e per quanto riguarda la coordinazione dinamica generale.
La femmina durante il gioco è più fantasiosa, può percepire una serie di variabili e spesso prende decisioni importanti con un’alta probabilità di successo.
Nei gruppi misti le femmine sono meglio dei maschi dal punto di vista motorio, fanno amicizia più facilmente anche con i maschi (che non vogliono assolutamente giocare con le femmine), i maschi invece sono più aggressivi, scoordinati e impulsivi.
Le femmine possiedono una maggiore mobilità articolare e un miglior equilibrio rispetto ai maschi, sono meno coordinate dei maschi per quanto riguarda il lanciare e il ricevere.
Hanno paura del contatto e del “touching” sulla palla, sono meno aggressive dei maschi, sono uguali ai maschi per quanto riguarda il controllo della respirazione e la strutturazione spazio-tempo.
Fino a 11 anni la differenza tra maschi e femmine, per quanto riguarda la forza, è minima, poi a partire da quest’età l’incremento è maggiore nei maschi.
Dopo la pubertà i maschi hanno in media una forza che è di circa il 40% superiore a quella delle femmine.
Il Minibasket femminile
In Italia negli ultimi anni c’è stata una limitazione nell’avviamento delle bambine al Minibasket, in quanto ritenuto dai genitori un giocosport adatto ai maschi e per molte famiglie per le femmine è meglio la pallavolo, la danza, la ginnastica artistica, il pattinaggio, ecc.
E’ un discorso culturale, l’attività sportiva è per tutti, maschi e femmine indiscriminatamente!
Molte regioni “faro” nel Minibasket e nel basket giovanile femminile negli anni ’80-’90 e 2000:
Lombardia,
Emilia-Romagna,
Veneto,
Friuli Venezia Giulia,
Lazio,
Sardegna,
Puglia,
Piemonte, ecc.
oggigiorno hanno pochissime “adepte”, il Minibasket femminile e il basket giovanile non sono più “appetibili” e sicuramente non si risolve il problema con:
Tanti anni da capo allenatore di squadre senior hanno fortificato in me la convinzione che avere uno staff tecnico di alto livello sia la base imprescindibile per impostare una o più stagioni proficue per il mio lavoro,…
…per il lavoro dei miei collaboratori, per il miglioramento tecnico-fisico dei giocatori che ho a disposizione e per l’ottenimento dei risultati che ogni club legittimamente si aspetta.
Introduzione
Cosa siamo noi allenatori se non manager a cui viene richiesta la capacità di saper utilizzare al meglio le risorse umane che gli vengono messe a disposizione ?
Usare le capacità tecniche dei giocatori, per dare un gioco alla squadra, che non sia solo imposto ma che prenda spunto da ciò che i tuoi giocatori sanno fare meglio, è l’unico modo, a mio modo di vedere, per riuscire ad ottenere un risultato tecnico il più vicino possibile al reale potenziale della squadra.
Allo stesso tempo, saper utilizzare i componenti dello staff, secondo le proprie attitudini e fornendo loro le giuste motivazioni che nascono dal reale coinvolgimento nelle scelte e nel lavoro quotidiano, è la via migliore per far si che chi collabora col coach diventi un reale valore aggiunto.
Per ultimare il discorso generale prima di entrare nel merito, vale la pena specificare che le condizioni di professionalità e di organizzazione delle società per cui si lavora sono talmente diversificate.
E’ impossibile per me dare dei concetti comuni a tutti per cui mi limiterò ad indicare i criteri che ho seguito nelle mie esperienze lavorative.
Formare uno staff
Ho sempre cercato di avere al mio fianco persone conosciute direttamente o attraverso le informazioni di colleghi.
Non sempre è possibile portare con sè uno o più componenti dello staff.
E’ quasi sempre possibile, però, conoscere a fondo i collaboratori che una società ti propone attraverso le loro esperienze pregresse.
Vanno, comunque, valutate anche sulla base delle proprie idee sulle persone che forniscono le informazioni.
Costruire una buona rete informativa è un aspetto fondamentale del lavoro di un allenatore perché può fornire i mezzi per poter scegliere un giocatore o un collaboratore riducendo al minimo la possibilità di errore.
I ruoli fondamentali per formare uno staff che sia in grado di coprire la totalità degli aspetti necessari sono tre, anche se qualcuno ha la fortuna di poterlo arricchire di ulteriori figure funzionali alla logistica dell’allenamento (appoggi, videoripresa, scouting ecc.).
La caratteristica comune che cerco nei due assistenti è essenzialmente riferita ad una buon livello di conoscenza tecnico-tattica mentre per tutte le altre qualità mi baso su criteri di complementarietà.
Almeno uno dei due deve:
essere un professionista per ragioni di tempo utilizzabile
avere buone conoscenze informatiche e capacità di match analysis
per lavorare sui video propri o degli avversari
avere inclinazione verso il lavoro individuale di miglioramento dei giocatori
essere un ex giocatore di buon livello
perché molti di loro sono in grado di percepire umori e situazioni di possibile rischio nei rapporti tra giocatore e giocatore e tra giocatore e staff.
Inoltre sanno guardare le cose dalla prospettiva dell’atleta oltre che da quella dell’allenatore.
La scelta del preparatore fisico
Nella ricerca del preparatore tendo a guardare, con molto interesse,:
chi è in possesso di una conoscenza approfondita della pallacanestro e delle sue specificità tecnicofisiche
chi ha una buona dose di esperienza settoriale
colui che ha la capacità di saper mediare tra le proprie esigenze di carichi e tempi di lavoro e quelle dell’allenatore.
Questo ultimo aspetto è secondo me essenziale.
Tanti anni di carriera mi hanno insegnato che qualsiasi allenatore/preparatore che si rispetti è portato ad “accaparrarsi” più ore di allenamento possibili a scapito dell’altro aspetto del lavoro.
Saper mediare con razionalità evita squilibri dannosi e ottimizza la qualità del lavoro.
Tutto quello che ho scritto in relazione alle competenze ed alle qualità che cerco nei miei collaboratori è importantissimo:
Nota della redazione
Nella seconda parte dell’articolo, che pubblicheremo la settimana prossima (giovedi 2 dicembre 2021), si entrerà nell’ambito delle dinamiche collaborative all’interno dello staff nei vari periodi dell’anno.
Nello sport il livello della prestazione distingue un campione dal resto dei praticanti.
Nel basket quanto meglio un giocatore riesce a palleggiare, tirare e passare, tanto migliori saranno le sue possibilità di successo ma queste abilità specifiche caleranno se il giocatore avrà una scadente forma fisica.
Molti operatori della comunità sportiva (dirigenti, allenatori, giocatori) equiparano il condizionamento atletico con la buona forma fisica.
Componenti fisiche necessarie
Essere in forma fisicamente non è soltanto essenziale da un punto di vista medico.
Le seguenti componenti di fitness sono comunque importanti per un serio giocatore e nello specifico di basket:
Per un’atleta, però, mantenere una capacità fisica oltre gli standard abituali di salute e benessere è essenziale per assicurare una prestazione ad altro livello per un prolungato periodo di tempo.
Sfortunatamente molti giocatori professionisti che sembrano essere in buona forma prestano pochissima attenzione alla propria salute fisica, mentale, sociale ed emozionale e poi si chiedono perche le loro carriere si sono abbreviate.
Mentre la buona forma fisica è un indicatore della salute complessiva, è il condizionamento atletico che determina il livello al quale le capacità specifiche di uno sport possono essere eseguite ed elevare tale livello.
Buona forma cardiorespiratoria
Una buona forma cardiorespiratoria si estrinseca nell’efficacia con la quale il cuore e i polmoni distribuiscono il sangue, l’ossigeno e le sostanze nutritive ai tessuti corporei attivi durante il lavoro fisico.
L’esercizio aerobico (con presenza di ossigeno) migliora la funzione cardiorespiratoria ed aiuta a prevenire le malattie cardiache.
L’allenamento aerobico può essere svolto attraverso una qualunque attività che richieda l’utilizzo continuo di grandi gruppi muscolari
camminare;
fare jogging;
nuotare;
andare in bicicletta;
sciare;
praticare il canottaggio
da 20 a 60 minuti, da 3 a 5 giorni alla settimana ad intensità moderata.
Un tale programma di allenamento migliorerà o manterrà la propria buona forma cardiorespiratoria.
Un sistema cardiorespiratorio allenato efficacemente è capace di sostenere uno sforzo di bassa intensità per lungo tempo poiché è in grado di:
consumare una grande quantità di ossigeno;
di far circolare l’ossigeno;
di utilizzare in modo aerobico l’ossigeno come fonte di energia per un periodo prolungato.
Il basket, d’altra parte, richiede brevi ma intensi periodi di attività, così che i giocatori spendono moltissima energia ad un ritmo veloce.
Le corse anaerobiche (con assenza di ossigeno) sono un altro aspetto della buona forma cardiorespiratoria e forniscono energia per attività ad alta intensità, cosi i sistemi di energia anaerobica devono essere parimenti sviluppati.
Eppure perfino atleti con una eccellente forma anaerobica possono lavorare a pieno ritmo soltanto per un breve tempo prima di dover interrompere.
in F.I.B.A. in qualità di Formatore degli Istruttori Minibasket;
migliaia di Corsi di Formazione, Clinic, Convegni, Forum in Italia e nel mondo;
vi presento alcune Regole fondamentali da seguire maturate in questi anni di esperienza diretta.
Cercare di superare la paura di parlare in pubblico
Per superare questo ostacolo ci si deve allenare costantemente e grazie all’esercizio continuo, “il parlare in pubblico” diventerà un piacere e non un’angoscia. Nella maggior parte dei casi il timore di affrontare la platea è legato all’inesperienza.
Lo stress colpisce soprattutto i neofiti che si sentono inadeguati in quella determinata circostanza.
Occorre prepararsi in modo adeguato
E’ sbagliato imparare a memoria il discorso, ai fini di evitare improvvisi vuoti mentali e se si memorizza il discorso parola per parola, si rischia di dimenticare tutto non appena si inizia a parlare.
L’importante è avere in testa i “concetti chiave” da cui partire per elaborare un’esposizione efficace:
Organizzare il discorso in sequenza
Ogni discorso (che deve essere preparato precedentemente), per essere più chiaro ed efficace, deve essere “strutturato” secondo una sequenza basata sullo spazio, sul tempo o su specifiche tematiche:
l’atteggiamento mentale dell’oratore influenza anche quello degli ascoltatori.
Se l’oratore è indifferente, anche gli ascoltatori saranno indifferenti, quindi per suscitare sensazioni positive bisogna credere profondamente in ciò che si dice, mostrando spontaneità e sincerità.
Durante il discorso è importante raccontare le esperienze “vissute” e utilizzare supporti visivi.
Un segreto per “essere vincenti” e catturare l’attenzione del pubblico in sala, è quello di parlare del proprio “background”, raccontando alcuni episodi della propria esperienza personale.
Se si vuole “catturare” l’attenzione della platea, è importante puntare non solo sul valore delle parole, ma anche sulle emozioni che le immagini e i video trasmettono
Conclusioni
Queste sono le “mie” regole per parlare in pubblico, spero di avervi trasmesso un po’ più di sicurezza e determinazione!
Una conoscenza adeguata dei principi fisiologici impliciti nell’allenamento e nella competizione del basket è molto valida per allenatori e giocatori.
Non basta essere bene allenati; gli atleti devono affinare il proprio…
…corpo specificatamente per il basket.
Lo stesso principio si applica al proprio allenamento fisico.
Mediante uno specifico adattamento il corpo cambia metabolicamente e/o meccanicamente (abilità di movimento) in risposta a una specifica esigenza.
Un atleta può essere ben allenato, ma è allenato specificatamente per il basket?
Ecco la premessa di specificità dell’allenamento.
Il basket è principalmente uno sport anaerobico ma richiede anche la collaborazione del sistema aerobico.
Un allenamento specifico per il basket, perciò, prevede l’utilizzo di uno schema che solleciti la produzione di energia anaerobica.
Per migliorare la capacità energetica si dovranno eseguire, quindi, brevi esercizi di grande intensità tutti adattati alla specificità dello sport in questione.
Le esercitazioni sul campo non sollecitano soltanto il sistema di energia anaerobica, ma molte di esse implicano capacità come:
che un giocatore incontrerà durante il corso di una partita
Il sovraccarico progressivo
Siccome le reazioni fisiologiche all’allenamento sono molto prevedibili e se il corpo è attentamente e progressivamente messo alla prova, avverranno appropriati adattamenti ed il corpo diventerà più forte.
Le reazioni fisiologiche all’allenamento sono molto prevedibili.
Se il corpo è attentamente e progressivamente messo alla prova, avverranno appropriati adattamenti ed il corpo diventerà più forte.
Questo è il concetto di sovraccarico progressivo.
Quando il corpo sperimenta uno stress fisico, a condizione che lo stress non sia troppo forte, il corpo stesso si adatterà a quello stress.
Esempio
L’adattamento può implicare una crescita muscolare (ipertrofia) frutto di ripetute sedute di allenamento di resistenza o può implicare una migliorata efficienza cardiorespiratoria frutto di allenamento aerobico.
Man mano che aumenta il livello di lavoro, aumenta anche la propria capacità di lavorare più a lungo e duramente.
Per contro, un periodo di inattività che produca un declino della capacità fisica influenzerà negativamente la forma e le prestazioni del giocatore.
Se si concede una lunga vacanza, all’atleta, durante il periodo di sosta e l’atleta fa poco o niente allenamento, si potrebbe sperimentare un effetto “contro allenante”.
Il corpo reagirà proprio come un braccio che è stato ingessato per alcuni mesi.
Mantenendosi in forma si potrà ottenere il massimo del proprio potenziale fisico.
Cosa più importante è che, sia che si sta in periodo di sosta, in periodo pre – agonistico o nella stagione agonistica, se si è ben allenati, il giocatore sarà meno soggetto ad infortuni oltre a ridurre la gravità del problema nel caso in cui incorra.
In questo senso mantenere un buon allenamento di base funzionerà a proprio vantaggio se si ha intenzione di avere una lunga e tranquilla carriera nella pallacanestro.
Il principio del concetto
Per raggiungere un livello ottimale di tensione fisica, bisogna ricordare il principio del sovraccarico progressivo.
Man mano che il proprio livello di forma migliora, gradualmente, si aumenterà l’intensità della sollecitazione fisica a cui si sta sopponendo il proprio corpo.
Le tre variabili maggiori per determinare uno stress adeguato sono:
l’intensità
la frequenza
la durata
Manipolando queste variabili in maniera programmata e ponderata si otterranno i risultati sperati.
L’intensità
L’intensità è probabilmente il più importante di questi tre fattori.
L’intensità di una sessione di allenamento può essere commisurata sia dal grado di difficoltà che da considerazioni di tempo.
Data la natura anaerobica del basket, gran parte dello sforzo si esercita in brevi scatti, con brevi interruzioni all’interno.
Come abbiamo già detto e ridetto, in alcuni precedenti articoli, anche il sistema aerobico necessita di una grande attenzione.
Un sistema aerobico efficiente aiuterà il corpo a tollerare meglio aumenti del livello di acido lattico, faciliterà la sua eliminazione e aumenterà la velocità di recupero.
Questo a sua volta permetterà al giocatore di effettuare prestazioni ottimali più a lungo.
La frequenza cardiaca
Fondamentale avere, per qualsiasi tipo di allenamento, il ritmo cardiaco sempre sotto controllo.
Qualunque metodo si userà l’utilità di conoscere il ritmo cardiaco ottimale dell’atleta e il ritmo cardiaco di riserva è oltremodo importante per regolare l’intensità dell’allenamento ad un livello appropriato.
Durante l’esercizio anaerobico il ritmo cardiaco arriverà al 95% del massimo o ancora più su.
E’ ovvio che un ritmo di lavoro di tale intensità non può essere sostenuto a lungo.
In modo facile molti giocatori imparano velocemente a moderarsi durante allenamenti particolarmente gravosi.
Un occasionale controllo del battito cardiaco subito dopo un esercizio rivelerà se essi stanno esercitando il massimo sforzo.
Durante le esercitazioni i giocatori spesso sbagliano più tiri che durante l’allenamento abituale.
Alcuni allenatori dovrebbero ricordare che, man mano che l’intensità di un esercizio aumenta, accuratezza e coordinazione diminuiscono.
Se è vero che lo sbagliare i tiri durante una esercitazione non dovrebbe essere incoraggiato è anche vero che l’allenatore dovrebbe essere sempre consapevole dello scopo di quella attività.
Conclusione
Intensità e riposo devono essere commisurate alle esigenze dell’atleta ed ai requisiti della pallacanestro.
L’importante nell’allenamento, ciò di cui l’atleta ha bisogno, non è solo l’attività sul campo e l’impegno fisico.
Per sostenere la filosofia dell’allenamento totale si ha la necessità, di considerare il riposo, una buona dieta ed una mentalità rivolta al raggiungimento di un’eccellente forma fisica.
Perché il corpo di un’atleta possa ricevere…
…benefici completi da un programma di allenamento, bisogna concedergli un adeguato riposo e un’ampia possibilità di recupero.
Non soltanto il riposo tra specifici esercizi all’interno di una seduta di allenamento, ma il riposo tra intere sedute di allenamento e quello tra fasi di allenamento (stagioni).
Per riposo non intendo riferirmi semplicemente al sonno, sebbene da 7 a 8 ore di sonno “notturno” sono caldamente raccomandate per la maggior parte degli atleti.
Il riposo
Il riposo riguarda anche quei giorni in cui non ci si allena, ci si allena ad intensità molto bassa o in modo piuttosto ibrido.
Ogni volta che si consente ad un sistema di energia o a un gruppo di muscoli altamente sollecitati di rilassarsi, ci si sta rilassando.
Bisogna sempre ricordare che l’adattamento fisico allo stress avviene durante il riposo.
E’ durante il riposo che il corpo si ricarica in preparazione ad uno sforzo successivo.
Così un adeguato riposo consente all’effetto dell’allenamento di essere “ottimizzato”.
Se si è dei fanatici dell’allenamento e non si permette al proprio corpo di recuperare tra le varie sessioni di allenamento:
Come evitare queste battute d’arresto?
Non basta svolgere una lunga sequenza di esercizi ogni giorno, ma bisogna valutare l’efficacia di ogni esercitazione alla ricerca di eventuali sintomi di superallenamento.
Sottolineare quanto sia importante mantenere sotto controllo certi segnali, come la difficoltà a recuperare dopo una sessione di allenamento particolarmente dura, è di una importanza estrema.
I sintomi più evidenti sono:
irritazione muscolare che continua oltre le 48 ore dopo l’esercizio;
cambiamenti notevoli nelle normali funzioni del corpo;
mancanza di motivazione.
Se si nota qualcuno di questi, bisogna modificare:
l’intensità
la durata
la frequenza degli esercizi
e continuare ad osservare qualunque cambiamento.
In seguito a sedute di superallenamento è necessario inserire, in un programma di allenamento, un giorno o due alla settimana esclusivamente dedicati al riposo.
Nel programma di periodizzazione è assolutamente previsto un paio di periodi di riposo “attivo “ che seguono la stagione pre – agonistica e la stagione regolare (o post – agonistica)
E’ il programma pianificato di allenamento di un atleta o di una squadra durante tutto l’anno che culmina in un ottimale livello di condizionamento atletico o in una buona prestazione complessiva in un periodo prestabilito della stagione.
Nello specifico nel basket, che è uno sport in cui ogni partita conta, un allenamento stagionale teso a raggiungere il culmine della forma nei play – off, non è realistico.
Perciò un piano sistematico di allenamento fornisce delle variazioni:
Nell’ Intensità di allenamento (gradi di difficoltà dell’esercizio; la qualità del lavoro);
Nel volume (la quantità di lavoro);
Nella tecnica (abilità specifica al basket e capacità atletiche)
Le variazioni sono attuate per massimizzare l’effetto dell’allenamento e le prestazioni altamente positive.
Negli anni 80-90 era molto facile individuare il ruolo di un giocatore.
Grazie alle sue caratteristiche tecniche e fisiche, infatti, era evidente, osservando il roster di una squadra, chi giocasse nelle varie posizioni, e quale fosse il contributo di ogni singolo componente alla causa della squadra.
Il Playmaker doveva essere soprattutto un giocatore altruista, in grado di “sistemare” i propri compagni in campo, prevedere le situazioni ed essere il braccio dell’allenatore.
La Guardia non poteva prescindere da essere un realizzatore, principalmente tiratore, in grado di mettere a referto tanti punti;
L’Ala piccola era colui che toccava meno la palla tra gli esterni, finalizzatore, spesso tiratore dagli scarichi, intorno ai 2 mt dava una buona mano ai rimbalzisti;
Proprio l’Ala grande era il ruolo che forse più si stava sviluppando e cambiando.
Spostava gli equilibri, playmaker aggiunto, rimbalzista, un vero e proprio lusso.
Non parliamo di quelli che avevano la doppia dimensione:
gioco spalle a canestro e fronte, negli anni 2000 ampliarono sempre di più il loro raggio d’azione incominciando ad avere anche tiro da 3 punti;
Infine il Pivot, giocatore più alto, intorno ai 210 cm, doveva riempire l’area, intimidire in difesa, fare blocchi in attacco, prendere rimbalzi e non lamentarsi se faceva pochi tiri
Anche il giudizio degli addetti ai lavori era tarato su determinate convinzioni:
Un playmaker realizzatore non era un buon regista,
il lungo con tiro dai 5/6 metri era troppo perimetrale,
l’ala piccola doveva giocare correndo sui blocchi e facendosi trovare negli angoli
non dare “fastidio” nel trattare la palla.
Il cambiamento
Negli anni 2000 le cose cominciarono a cambiare.
Sempre più giocatori in grado di coprire due ruoli: i
l playmaker divenne uno dei migliori realizzatori delle squadre
le guardie erano anch’esse dei costruttori di gioco
da qui la definizione di un nuovo ruolo:
La stessa ala piccola deve avere ora nel suo bagaglio tecnico il gioco spalle a canestro per poter sfruttare la sua altezza ma anche per scalare nello spot di 4.
In verità non erano neanche poche le squadre che utilizzavano nella posizione di ala un’altra guardia, situazione tattica che permetteva di avere tre trattatori di palla ed essere meno prevedibili.
Probabilmente il ruolo di centro era l’unico che continuava ad avere una sua collocazione ben precisa sia tecnicamente che tatticamente, sicuramente però più atleta e verticale e con maggiore tecnica, soprattutto nelle ricezioni dinamiche.
è il momento dell’utilizzo quasi esclusivo dei pick&roll come arma principale dei vari attacchi, ed avere un efficace rollante in grado di chiudere i triangoli diventa necessario.
Sicuramente un punto di riferimento per il nostro sport, dove spesso è massima l’evoluzione dei giocatori dal punto di vista tecnico, ma soprattutto fisico.
La velocità del gioco, lo sviluppo atletico dei giocatori, le regole tattiche ma anche il passaggio dall’università di giocatori sempre più giovani ed acerbi tatticamente e ancora in fase di completamento tecnico, ci presentano squadre costruite per concetti e per caratteristiche dei giocatori piuttosto che per ruoli tattici.
Non si cerca il playmaker, il centro o l’ala grande, ma il tiratore, il difensore, il “facilitatore di gioco”, il lungo che apre le difese con il tiro da fuori.
giocatore che “inizia” l’azione, realizzatore dinamico in grado di creare per i compagni attaccando il canestro,
il tiratore 3D
tiratore da tre punti e gran difensore
il popper
colui che si apre dopo una blocco dilatando le spaziature
senza dimenticare il giocatore all round
colui che è in grado di portare palla ma anche essere il miglior rimbalzista e avere la doppia dimensione
In quest’ottica la risposta alla nostra domanda circa l’esistenza o meno dei ruoli nella pallacanestro moderna è:
Infatti si va verso un quintetto con giocatori fisicamente uguali e tutti pericolosi con la palla in mano.
Il rovescio della medagli di questa “evoluzione”
Il gioco tranne alcune squadre è molto standardizzato.
Si fa fatica a riconoscere un sistema di gioco diverso dagli altri.
Le fortune di una partita ma anche di un’intera stagione dipendono dalle singole giocate e sempre meno da un gioco corale e di letture (da qui la costruzione dei super-team).
Non è un caso che quando arrivano le partite decisive per vincere un campionato, coloro che hanno nel roster ancora un playmaker, un centro e giocatori in grado di leggere le situazioni hanno più possibilità di raggiungere i propri obiettivi.
Le squadre migliori sono quelle con le letture più evolute, dove le giocate dei singoli sono delle espressioni di talento all’interno di un gioco corale.
Al di là della cifra tecnica, per me va rispettata una regola che riguarda tutte le dinamiche di gruppo, in particolar modo per quei gruppi che sono formati per il raggiungimento di obiettivi (orchestre, militari, squadre) e questa regola, piaccia o meno, ha a che fare con il concetto di gerarchia.
Milano è un’orchestra di splendidi esecutori ma con un unico difetto:
Un piccolo difetto che sul campo diventa macroscopico specie quando deve compattarsi nelle fasi decisive della battaglia quando ogni piccola decisione può portare a vincere o perdere.
E questo non lo puoi cambiare o modificare in due giorni.
O lo hai individuato ex ante oppure continuerai ad affidarti alla vena dei singoli.
Se a questo aggiungi il fatto di giocare la prima partita in casa, la bilancia avrebbe dovuto pesare tantissimo per la Virtus ed essere molto più leggera dall’altra parte.
Ma gli occhi vitrei di Messina e Datome hanno reso chiaro il fatto che Milano abbia una certa difficoltà a gestire il clima psicologico.
Lo si capisce davanti alle reazioni sui primi errori della squadra.
Non è così che si affronta sul piano mentale una partita.
La parola d’ordine dovrebbe essere: tolleranza; la seconda: positività.
Secondo aspetto (collegato al primo): sicurezza.
Milano (opportunamente) sceglie di cambiare le carte e giocare con un centro puro per alzare l’energia e l’intimidazione di Bologna.
Scelta che produce più solidità, rimbalzi, secondi tiri.
Ma dopo pochi minuti il centro non si vede più in campo.
Chi siamo? Quelli più atletici e dinamici di sempre o quelli più muscolari di stasera?
L’identità della squadra va in vacanza.
Terzo aspetto
Quegli altri difendono ogni palla come se non ci fosse un domani. Risultato: una corazzata come Armani lasciata a 58.
Saranno pure stanchi, ma mi sembra che ci sia anche qualcos’altro.
Quarto aspetto
Qualcuno saprebbe spiegarmi che giocatore è Micov? No, perché io non riesco a definirlo.
Non di poco conto è il fatto che, tranne rarissimi istanti, in tutte e tre le partite, i bolognesi sono per larghi tratti (circa 38 minuti su 40), davanti nel punteggio.
Non voglio parlare di supremazia, ma siamo vicini.
Milano 0 – Bologna 3
Gara 4
La riconoscenza
Il primo pensiero va alla dirigenza di Bologna.
Come si sentiranno dopo aver esonerato e poi aver dovuto ingoiare il richiamo dell’allenatore che poi li ha portati allo scudetto? Un minimo di vergogna sarebbe il minimo, oltre alle scuse.
Il secondo va a un ragazzo di 21 anni che accanto a giganti che hanno vinto titoli europei e mondiali non solo non sfigura ma è quello che dà la carica, difende per tre, non perde una palla e fa canestri decisivi.
Il terzo è per un veterano che in NBA ha fatto i numeri, torna in Italia, accetta la sfida di una società che non vinceva lo scudetto da 16 anni, e nonostante cerchino di asfissiarlo, continua a segnare in ogni modo: da fuori, da sotto, su due piedi e pure palleggiando su un piede solo.
No, sul direttore d’orchestra non dico nulla. Tranne il fatto che continuare a incantare e fare assist come manna dal cielo e punti decisivi non è affatto scontato.
Infine la difesa. Qui basta vedere i parziali dei quarti per capire anche la gara 4 che tipo di trend abbia avuto: 19-24, 22-19, 14-8, 18-11, e capire che Virtus ha progressivamente spento gli avversari come una candela.
E allora se sei un giovane allenatore, chiudi i libri, smetti di andare ai corsi, tagliati la partita e guarda una decina di volte al giorno soltanto le azioni difensive della Virtus. Ne uscirai un allenatore migliore.
Dopo la velocità, continuiamo il nostro viaggio trattando un’altra dote atletica necessaria per diventare un giocatore di basket quantomeno completo.
Un sistema per muoversi più liberamente con maggiore agilità e velocità è quello di sviluppare una buona elasticità.
Inoltre, la capacità di fornire…
…prestazioni senza timori di infortunio si risolve in azioni più poderose.
Cosa origina la potenza?
Il livello di estensione di una banda elastica stabilisce la quantità di energia immagazzinata e la possibilità di emissione di forza.
Per il muscolo non è l’estensione, ma piuttosto la velocità dell’allungamento che determina l’originarsi della potenza.
Quando però un muscolo è allungato fino ai suoi limiti estremi, l’essere in grado di resistere ai rigori di questo allungamento massimale ed eseguire un movimento di grande potenza senza infortunarsi è molto importante per una resistenza e produttività a lungo termine.
L’ampliamento della gamma di movimenti è un fattore molto importante per diventare un atleta completo.
L’importanza dell’agilità
Strettamente collegata con l’equilibrio, l’agilità è necessaria agli atleti per regolare gli spostamenti del centro di gravità mentre in velocità variano le posizioni del corpo.
Un esempio
Immaginiamo un uomo alto circa 2 metri, di 115 Kg, che può sollevare 180 Kg da seduto e 500 Kg in piedi, che ci sprinta in piena velocità davanti a noi e che improvvisamente devia a razzo verso destra o verso sinistra apparentemente senza diminuire il passo.
La maggior parte dei giocatori deve decelerare considerevolmente per assumere un po’ di controllo prima di un rapido cambio di direzione.
Ridurre la decelerazione è un fattore chiave per migliorare l’agilità.
La capacità di cambiare direzione rapidamente spiega in larga misura perché in atletica i saltatori possono balzare così in alto.
Il saltatore, in questo caso, stabilisce la sua velocità durante l’approccio al salto e poi trasferisce questa velocità orizzontale in sollevamento verticale nei due rapidi passi prima del punto di battuta.
Queste stesse caratteristiche possono essere inserite nei movimenti sul campo di basket.
Conclusione
Bisogna includere degli esercizi che richiedono veloci cambi di direzione nello schema quotidiano di allenamento:
Prossimamaente tenteremo d’illustrare – presentare esercizi dediti al miglioramento di questa dote atletica con la speranza di avere uno scambio con i tanti lettori del nostro blog.
Un team di persone o, se vogliamo essere più precisi, di allenatori con dei ruoli stabiliti, che seguono delle regole, che hanno lo stesso obiettivo ultimo ma con competenze e conoscenze diverse.
Devono saper lavorare insieme, condividere e, come del resto i giocatori della propria squadra, anteporre le esigenze del gruppo a quelle personali.
analizzano le dinamiche di gruppo, aiutano i componenti ad esprimersi al meglio collaborando e condividendo
Possono crearsi dei piccoli sottogruppi con i propri coordinatori.
Se pensiamo alle organizzazioni più complesse, quelle delle NBA, lo staff tecnico è composto da decine di persone, ma in cima alla piramide c’è un solo capo ben definito: L’HEAD COACH, il capo allenatore.
Prima di quest’ultimo, che per me è un leader oltre che il capo di uno staff, partirei dagli altri componenti per condividervi le mie personali idee riguardo i ruoli e le competenze.
Ha la responsabilità, in pre-season, di far raggiungere la condizione fisica necessaria ad affrontare l’inizio del campionato, durante la stagione di conservarla per poi arrivare nella migliore situazione possibile alla fine del campionato.
É un lavoro complesso, che vive di diversi momenti lungo la stagione, alcuni richiederanno specifici lavori con carichi ed obiettivi mirati, altri saranno dedicati al recupero di eventuali infortunati e a ltri, ancora, saranno momenti di supporto e di sostegno emotivo.
Non è raro, infatti, che il preparatore sia colui al quale vengono richiesti consigli anche al di fuori del basket giocato, pensando anche che il corpo, il target del proprio lavoro, è una componente che va sempre allenata, anche lontano dal campo.
Nel basket attuale il preparatore lavora sempre più in sinergia ed in simbiosi con la parte tecnica.
Ogni programmazione, sia essa stagionale, mensile, settimanale o quotidiana, deve essere il risultato dell’interazione tra le due parti.
L’assistente allenatore
E’ una figura che, anche se alcune volte lavora lontano dai riflettori, nel basket moderno ha visto ampliare sempre di più le proprie mansioni, non soltanto sul campo di basket, ma anche dietro la scrivania.
In uno staff ve ne sono diversi, e spesso con ruoli specifici.
Infatti ci sono quelli con capacità di analizzare e produrre stats e video certificando così l’importanza delle voci statistiche.
In pratica:
peso ai numeri, non solo nella lettura delle partite e dei risultati, ma anche nella costruzione delle squadre e nella preparazione delle partite da affrontare.
Il basket è uno sport aperto alle contaminazioni e alle evoluzioni:
ha assimilato dal baseball l’importanza dei numeri
dal football, sport estremamente tattico e con alcuni aspetti tecnici in comune con la pallacanestro, si è adottata, invece, la specializzazione tra gli assistenti allenatori all’interno dello staff.
E’ sempre più comune, anche in società meno strutturate di quelle della NBA, trovare allenatori responsabili delle scelte difensive o di quelle offensive, nonché coordinatori del lavoro individuale (player development coach).
Questi assistenti hanno un contatto molto diretto con i giocatori, è necessario che si manifestino nei confronti di essi come dei capo allenatori a tutti gli effetti e devono essere riconosciuti dai giocatori come tali.
Obiettivi comuni
In soldoni non deve mai instaurarsi nella mente degli atleti la convinzione di avere di fronte un allenatore meno “valido” o meno importante del head coach.
Senza invadere le competenze né prevaricare i ruoli, ritengo che uno staff tecnico sia molto più forte e credibile quando si mostra alla squadra senza differenze di valori, quando parla un assistente è come se parlasse il capo allenatore!
L’assistente non deve, però, “solo” proporre soluzioni tecnico-tattiche ai problemi che si manifestano, ma, a mio parere, in alcuni determinati momenti,
Deve, quindi, alimentare e stimolare un confronto sulle idee dal quale deve uscire una sintesi che poi renda più forte le convinzioni e le scelte adottate.
È fondamentale non sbagliare i momenti.
Il capo allenatore è colui che decide, che si assume le responsabilità e le proposte o le considerazioni devono essere fatte prima della sua scelta, dopo di essa tutti devono lavorare nella stessa direzione affinché la resa sia la massima possibile.
Alla squadra va trasferita un’idea unica, consolidata e motivata!
Un aspetto del lavoro degli assistenti, in particolare di quelli più vicini al capo allenatore, che è meno tangibile e a volte sottovalutato, è il saper fare da connettori tra la squadra e il coach.
É un compito molto delicato, invece, che in alcune circostanze si manifesta attraverso il rafforzare i messaggi, sia tecnici che motivazionali, dell’allenatore nei confronti degli atleti, in altre raccogliendo i vari feedback proveniente dalla squadra.
Ed è qui che vorrei sottolineare come l’assistente debba anche avere la sensibilità per analizzare ciò che gli viene detto e filtrare i messaggi per l’head coach…
Deve capire ciò che è funzionale al raggiungimento dell’obiettivo comune, deve prevenire possibili problemi, risolverne altri.
L’Head Coach
E’ indubbiamente il capo dello staff.
Viene chiesto di:
prendere le decisioni e la responsabilità della gestione della squadra
coordinare il lavoro dei vari allenatori
come abbiamo visto non solo tecnico
deve dare una linea e stabilire un metodo di lavoro a cui tutti devono adeguarsi.
Ritengo, però, che debba essere anche il LEADER della squadra, colui che non solo stabilisca le regole, ma che sia il punto di riferimento, non sia al di fuori del gruppo, ma parte integrante ed esempio per lo stesso!
Non deve necessariamente avere più conoscenze degli altri membri dello staff (pensiamo ad esempio, ma non solo, nei confronti del preparatore o del mental coach), ma deve avere una visione che sia Il 100% di ciò di cui ha bisogno la squadra.
Non può permettersi di non essere focalizzato sull’obiettivo comune, anzi deve avere la capacità di riportare eventualmente tutti sulla stessa “pagina del libro”.
Una dote importante è, per me, la sensibilità nel capire come e in che modo far rendere al meglio le risorse che ha a disposizione; le risorse non sono, ovviamente, solo i giocatori, ma anche i propri assistenti.
Come abbiamo detto in precedenza, essi hanno competenze e capacità diverse, fondamentale è metterli nelle migliori condizioni possibili per aumentarne l’efficienza.
Conclusioni
In ottica dell’obiettivo comune:
l’head coach potrebbe, per esempio, lasciare al proprio assistente la conduzione dell’allenamento settimanale o solo di alcune parti di esso.
La domanda
Potrebbe essere visto come un passo in dietro da parte del capo allenatore?
Da leader deve sapere che uno staff coinvolto e contento del proprio ruolo è in grado di dare quel qualcosa in più che, in un lavoro dove ogni settimana c’è un confronto tra uomini prima che atleti e tecnici, può fare veramente la differenza.
Parlando della pallacanestro di area FIBA si possano individuare alcuni turning points, ovvero alcuni cambiamenti regolamentari che hanno notevolmente cambiato il GIOCO.
La conseguenza è che ne sono state modificati gli approcci tecnici e tattici delle varie squadre e giocatori, nonché le strategie nella costruzione delle squadre.
Vediamo…
…quali sono, a mio avviso, quelli più determinanti.
Le modifiche nel tempo
1984 introduzione del tiro da 3 punti;
2004 il passaggio per i campionati FIBA dalla regola dei 30 secondi a quella dei 24 secondi.
Infatti, mentre in NBA, dopo un primo periodo in cui non vi erano limiti di tempo per concludere un’azione di attacco, nella stagione 1954/55 si decise immediatamente per i 24 secondi.
Nei paesi Europei, ma più in generale in quelli di area FIBA, ci fu prima il limite dei 30 secondi per poi adeguarsi alla regola NBA;
2010 arretramento linea dei tre punti alla distanza di 6,75 mt e modifica delle dimensioni dell’area dei 3 secondi;
2014 reset del cronometro a 14 secondi dopo un rimbalzo offensivo;
2018 l’introduzione del concetto “passo zero”
ovvero la possibilità di compiere, in determinate circostanze, un passo senza mettere la palla a terra che non rientri nel conto per il fischio della violazione di passi.
Tralasciando per ora, ne parleremo magari nei prossimi articoli, i significativi effetti degli altri cambiamenti regolamentari (alla lista precedente aggiungerei anche l’introduzione dello “SMILE”).
Le conseguenze del cambiamento del limite di tempo
In queste righe vorrei sottolineare come il cambiamento del limite di tempo per l’azione offensiva abbia influenzato a tal punto la pallacanestro “moderna” da pensare ad un vero e proprio spartiacque!
Le conseguenze sono state diverse e di grande impatto.
Parto proprio da quest’ultimo aspetto per condividere con voi alcune mie riflessioni.
La mia passione per questo sport è nata ben prima del 2004, quando le squadre erano composte da un quintetto base ben definito ed una panchina in cui era facile identificare il sesto uomo.
Quest’ultimo poteva tranquillamente far parte dello starting five, ma uscendo dal “pino” aveva un impatto sulla partita ancora maggiore tale da cambiarla.
Il resto dei panchinari (il roster era di 10 giocatori) era soprattuto giocatori di ruolo (Role Player) con compiti ben specifici, spesso con mansioni chiaramente difensive, con l’obiettivo di far rifiatare il titolare e di supporto anche morale per i primi cinque.
In seguito l’evoluzione della pallacanestro ha influenzato la costruzione del roster.
Con la riduzione di ben 6 secondi per concludere un attacco, si è visto notevolmente velocizzare il gioco con una diminuzione dei tempi di esecuzione sia fisici che mentali, tale da richiedere sforzi più intensi con conseguenti riposi brevi ma più frequenti.
Ecco la necessità di avere 12 giocatori, ma soprattutto aumentare le cosiddette rotazioni e avere un maggior apporto dai giocatori definiti rincalzi.
Nasce anche una vera e propria nuova definizione, quella di “SECOND UNIT”, cioè quintetti che iniziano la partita subentrando, ma che hanno la possibilità di giocare diversi minuti e quindi essere determinanti.
Ovviamente parte tutto da un concetto di tempo ridotto, ma non è solo una questione fisica:
non invadendo competenze altrui, non credo di essere smentito dicendo che i lavori di endurance in pres-season sono stati sempre di più sostituiti da lavori più intensi e anaerobici e da una maggiore attenzione allo sviluppo della resistenza veloce.
Infatti essendo uno sport di situazioni, l’aspetto tecnico ha risentito in maniera importante di questo cambiamento.
Analizziamo più nel dettaglio alcuni effetti
COSTRUZIONE GIOCATORI
In giro per i campi europei, a tutti i livelli, si vedono sempre più dei veri atleti.
Giocatori che potrebbero competere in qualsiasi disciplina di atletica leggera per le loro capacità anche purtroppo a scapito di una tecnica e una conoscenza dei fondamentali non precisa.
Questo è il vero obiettivo dei nostri settori giovanili, ovvero formare giocatori che sappiano abbinare a doti fisiche e atletiche di primo livello una tecnica altrettanto eccellente.
Come?
Prima insegnando in maniera precisa il gesto, aumentando solo in seguito la velocità di esecuzione e di pensiero!
E’ fondamentale avere una tecnica che ci permetta di avere un rilascio della palla efficace ed efficiente, con la palla che esce dalle mani con la giusta rotazione e parabola, con la corretta coordinazione piedi, gambe, braccia e mani.
Ciò è possibile con ripetizioni e una metodologia di allenamento che gli allenatori ben conoscono.
E’ necessario, però, che, una volta acquisita la tecnica, essa venga eseguita in tempi rapidissimi.
Quanto tempo ha il giocatore per eseguire un tiro prima di essere ostacolato?
E quanto per mettere i piedi “a posto”?
Quanti tiri sono effettivamente liberi o senza la pressione del difensore?
Quanto tempo ha per decidere il tipo di tiro da effettuare in relazione alla situazione di gioco?
Pochissimo, sicuramente molto meno di quanto ne aveva con i 30 secondi a disposizione per concludere l’azione d’attacco.
Sicuramente ha meno libertà di movimento dovendo affrontare difese più atletiche che riempiono gli spazi molto più velocemente. (Basti pensare ai “CLOSE OUT”).
GIOCHI OFFENSIVI
Prima della variazione regolamentare era norma sviluppare giochi d’attacco nei cui primi secondi c’era soprattutto un movimento di palla non sempre accompagnato da quello dei giocatori, o comunque non tale da creare un vantaggio immediato da poter sfruttare andando a canestro o concludendo.
Il vero pericolo per le difese infatti arrivava negli ultimi secondi dell’azione
Con i 24 secondi c’è stato uno sviluppo di set offensivi che dai primissimi istanti dell’azione permettono di mettere sotto pressione la difesa (concretizzare i vantaggi).
Alcuni consentono di raggiungere una conclusione dopo un solo passaggio e un movimento di un solo giocatore (si vedono sempre più isolamenti), altri hanno obiettivi chiari ed immediati che coinvolgono non tutti gli attaccanti (pensiamo a come nascono diversi pick&roll centrali).
Così come, (per necessità o per “pigrizia” di noi allenatori?), non è inusuale avere diverse chiamate dello stesso gioco a secondo del giocatore che vogliamo coinvolgere limitando, così, al minimo il tempo di esecuzione, ma anche la capacità di scelta dei nostri atleti.
Scelte che potrebbero rallentare l’esecuzione del gioco, con la conseguenza in questo caso, personale considerazione, di un impoverimento della qualità dell’attacco e del giocatore stesso.
Con un attacco pericoloso già nei primi secondi, con una ricerca sempre maggiore di attaccare in contropiede, attraverso anche transizioni offensive sempre più efficaci, è fondamentale avere giocatori in grado di passare da una fase all’altra immediatamente.
Da qui l’attenzione per le transizioni difensive e per costruire una mentalità difensiva che non sia passiva, ma anzi permetta di aggredire l’attacco nei primissimi metri del campo (con difese tutto campo, raddoppi, blitz sulla palla…)
In particolare le qualità atletiche di ormai tutti i giocatori, indipendentemente dai ruoli, e i meno secondi a disposizione dell’attacco, permettono di utilizzare cambi difensivi anche tra diversi ruoli.
Molto efficaci per spezzare il flusso in attacco e costringerlo a soluzioni rapide e meno efficaci, condizionato anche dalla SHOT CLOCK VIOLATION.
Le cosiddette SPECIAL PLAYS
Per le scelte difensive dette in precedenze, ma anche per gli ulteriori cambiamenti regolamentari (pensiamo il reset ai 14 secondi), non possono mancare nel playbook delle varie squadre quelle situazioni a gioco rotto o quelle rimesse, sia laterali che da fondo, per la ricerca di una conclusione veloce.
Ciò ha permesso una notevole specializzazione per queste chiamate “speciali”.
Conslusione
Il basket per sua natura e per come è stato ideato, è sempre incline ai cambiamenti, avvicinandosi a quelle che sono le richieste di modernità.
Si può tranquillamente affermare che sia uno sport “progressista”.
Così come lo devono essere tutti i suoi attori protagonisti, pronti ad adeguare la propria metodologia di lavoro, come abbiamo visto, sia dal punto di vista atletico che tecnico (non tralasciando il lavoro degli arbitri, a cui è richiesto di adattarsi ad un gioco più veloce e con più contatti).
In particolare con l’introduzione dei 24 secondi, il gioco ne ha sicuramente guadagnato in spettacolarità.
Sicuramente risulta essere più moderno e fruibile per un pubblico sempre più alla ricerca della giocata spettacolare e poco amante dei tempi morti.
Uno dei più classici oggetti che fanno parte della vita di un allenatore e che lo accompagna non solo la domenica, è il taccuino.
Sul taccuino l’allenatore ci scrive DI TUTTO.
Non si può fidare della sua sola memoria, e allora il taccuino serve a raccogliere ogni tipo di informazione che gli servirà a definire meglio il suo lavoro quotidiano e i suoi obiettivi.
Su quei taccuini si sono…
…vinte più partite di molte faticose sedute di allenamento e in quelle pagine non ci sono soltanto schemi ed esercizi.
Ci sono anche frasi e annotazioni che aiutano il coach a focalizzare meglio i suoi obiettivi.
Gli sbagli
Nei lunghi decenni in cui ho avuto la fortuna di allenare, trascrivevo ogni anno alla prima pagina di ogni nuovo taccuino la seguente frase, mutuata da un sillogismo aristotelico:
Questo monito serviva a ricordarmi, ogni giorno della mia carriera, che un allenatore è, prima di tutto, quello che sbaglierà più di tutti.
La ragione di questo è molto semplice.
Il basket è lo sport in cui per eccellenza un allenatore opera delle scelte continuativamente:
mentre qui possiamo, sì e no, limitarci a dare dei piccoli input, soggettivi e limitati alla sola esperienza di chi scrive.
Le gerarchie
La dinamica insita nelle scelte di chi far giocare prima, chi dopo, e chi solo se scende la Madonna, la definizione di chi giocherà i minuti decisivi, sono decisioni connesse ad un altro sacramento non scritto che vige nello sport in generale e in particolare nel basket:
la presenza di gerarchie indispensabili.
Ogni squadra ha la sua intrinseca chimica dei fattori interni, nella quale si può intravedere chiaramente un mix tra giocatori di esperienza, giocatori di media affidabilità, la presenza di una o più star, e giovani.
Questo mix definisce le dinamiche di una squadra e la àncora ad un principio gerarchico che è necessario conoscere, definire e condividere.
Qui pure si aprirebbe un capitolo che si trova a metà strada tra la chimica e le dinamiche di gruppo.
La chiarezza
È altamente raccomandabile che l’allenatore chiarisca preliminarmente alla squadra il criterio gerarchico da lui individuato per risolvere immediatamente la prima e più importante minaccia a cui il gruppo è sottoposto:
Ciascun giocatore deve sapere esattamente il suo peso all’interno della squadra: “l’accettazione di quel ruolo (non in senso tecnico ma come rilevanza) definirà il grado di compattezza di tutto l’assieme”.
Se sono un giocatore importante devo sapere che la squadra, l’allenatore e i compagni, si aspettano da me:
che giochi un certo minutaggio
che mi assuma determinate responsabilità
che porti sulle mie spalle un certo peso sul buon andamento della partita
e che sia pronto a farmi pienamente carico di tutto questo.
Se sono un giocatore giovane, arrivato per fare esperienza, devo sapere:
di non aspettarmi grandi minutaggi
che dovrò faticare per conquistare la fiducia di tutti
che devo aiutare gli altri ad allenarsi bene
tutto quello che verrà di più sarà guadagnato.
Il motivo della gerarchia
Dentro queste gerarchie si suddividono proporzionalmente anche le percentuali di merito/demerito che vanno redistribuite di pari passo con i successi o gli insuccessi della squadra.
La pallacanestro da questo punto di vista raramente ha commesso errori nell’attribuzione esatta delle responsabilità, nel fermo convincimento che è poi tutta la squadra a far fronte comune davanti ai successi o agli insuccessi.
La definizione delle gerarchie aiuta l’allenatore anche a compiere le scelte migliori nei famosi frangenti decisivi delle partite.
Se devo scegliere a chi affidare la conclusione che mi farà andare in paradiso o all’inferno, credo sia difficile che quella conclusione possa metterla nelle mani di un giovane con poca esperienza:
Questo è quello che capita nella stragrande maggioranza delle squadre.
L’eccezione che conferma la regola
Poi un giorno, un allenatore di Caserta che allena la squadra della sua città, arriva a giocarsi una finale scudetto in trasferta a Milano, e sul time out della quinta e decisiva partita, a meno di due minuti dal termine della gara che avrebbe assegnato l’unico scudetto della storia ad una squadra del Sud, si avvicina non al giocatore esperto, ma ad un ragazzo poco più che ventenne e gli chiede:
Nell’articolo precedente ho trattato quella parte del lavoro di noi allenatori che riguarda la diffusione e la condivisione dei giochi avversari, le varie modalità in cui avvengono, gli obiettivi che ci prefiggiamo di ottenere e la collocazione temporale all’interno di una settimana lavorativa.
In questo nuovo contributo vorrei porre l’attenzione, invece, sull’importanza che assumono le caratteristiche individuali dei giocatori avversari.
Individual skills / Stats
Buona parte, infatti, delle informazioni degli avversari che lo staff tecnico trasmette alla propria squadra, riguardano le cosiddette individual skills accompagnate dalle “stats”.
Le prime rappresentano non solo ciò che il giocatore “sa fare”:
quindi i suoi pregi e i suoi difetti dal punto di vista tecnico;
il suo ruolo tattico
“ma anche”:
ciò che egli rappresenta per la propria squadra;
se è un punto di riferimento in attacco o in difesa;
Ovviamente la visione delle partite è altrettanto importante come quando bisogna redigere il playbook della squadra avversaria ed è facilmente intuibile che, in questo caso, il numero delle partite visionate è di fondamentale importanza.
Poche potrebbero dare false indicazioni (fake news), mentre un numero adeguato ci permette di avere maggiore certezza nello scegliere cosa condividere con i propri atleti dei futuri avversari.
Spesso gioca un aspetto fondamentale la conoscenza diretta del giocatore e, se non è possibile riscontrarla all’interno dello staff, ecco che ritornano d’aiuto le telefonate fatte, magari, in passato con altri colleghi che ci permettono di aggiungere anche delle note caratteriali al profilo dell’avversario.
Le seconde, ovvero le statistiche, nel basket moderno acquistano anno dopo anno, stagione dopo stagione, sempre più rilevanza.
Esse sono, non solo di supporto al giudizio circa l’efficacia, ma, grazie ai dati numerosi ed approfonditi che siamo mi grado di ricavare dai vari siti specializzati, anche indicative circa le abitudini dei singoli giocatori.
Esempio
oggi di un avversario possiamo sapere, con un’elevata accuratezza:
quante volte attacca il ferro con la mano destra;
quante con la sinistra;
in che percentuale utilizza quel tipo di conclusione
se è in uscita dal lato destro piuttosto che sinistro
cosa fa dopo un blocco
cosa preferisce fare negli ultimi secondi dell’azione e così via!
Tutto merito della famosa arte di scoutizzare una partita.
Vi sono colleghi all’interno degli staff tecnici che si sono specializzati in questo compito.
Il report
Ritorniamo ora al materiale che si sceglie di condividere con la propria squadra.
Come per i giochi avversari, non c’è una regola valida per tutti e per tutte le situazioni.
Nell’organizzare le informazioni da trasmettere alla squadra parto da una quasi certezza:
la prima voce del report che i giocatori vanno a guardare sono le stats degli avversari, in particolare dei giocatori che immaginano di dover marcare!
Ed è questo il motivo per cui è fondamentale la scelta e la modalità dei “numeri” che si propongono.
Essi devono essere di supporto e non dare cattive indicazioni, meglio non fornirli se non siamo sicuri di ciò che evidenziamo!
Dobbiamo avere chiaro in mente il messaggio che vogliamo condividere e l’obiettivo che vogliamo raggiungere.
Inutile sottolineare le buone percentuali di un giocatore da tre punti
se i suoi tentativi non sono significativi
Al contrario, è un errore non mettere in guardia sulla pericolosità di un tiratore che in carriera ha avuto sempre alte percentuali
magari meno fino a quel punto della stagione e quindi riportare anche i dati delle altre annate oltre a quella attuale.
Il sapere quali sono le soluzioni più efficaci a seguito di un preciso movimento o di uno schema, hanno più valenza di una “fredda” media aritmetica.
Il tutto deve essere coerente con le indicazioni che diamo per presentare le caratteristiche di un giocatore avversario e con le immagini che nelle varie riunioni presentiamo alla squadra.
non credo sia un messaggio chiaro riportare clip in cui un giocatore mostra una skill che statisticamente non è un dato significativo.
Organizzazione del report
Le indicazioni scritte preferisco siano dei flash, molto sintetiche, in stile linguaggio sms, devono catturare l’attenzione di una generazione abituata a vedere video più che leggere.
Le clips devono essere mirate, di ogni singolo giocatore.
Devono:
mostrare le caratteristiche principali, legate alle statistiche;
più brevi possibile
giusto il tempo d’ individuare il giocatore e di capire in che contesto tecnico e tattico si sviluppano;
mostrare anche i punti deboli
che messaggio diamo alla squadra se mostriamo solo canestri di un avversario?!.
Influenza della categoria del campionato
In un campionato di medio livello troveremo giocatori con qualità e difetti ben riconoscibili su cui speculare e dove la conoscenza specifica di ogni avversario può veramente fare la differenza e indirizzare il risultato di una partita.
Diverso il discorso quando il livello sale.
In questo caso dovremo confrontarci con giocatori dal talento elevato con un bagaglio tecnico importante e completo, magari roster molto lunghi e con infinite possibilità.
Nel primo caso credo che il tempo da dedicare al trasferimento delle informazioni individuali debba coprire una fetta importante del lavoro di uno staff.
Credo sia importante coinvolgere i singoli giocatori informandoli il prima possibile dei propri diretti avversari, farlo nei primissimi giorni della settimana dedicati alla squadra avversaria, anche prima dei riferimenti agli schemi.
Nel secondo caso, invece, si parla di limitare la pericolosità di un avversario, magari necessita di un lavoro di squadra piuttosto che singolo, non si parlerà più di speculare sui difetti, ma bensì di accorgimenti tattici, di una difesa di squadra e quindi di collaborazioni.
É opportuno, quindi, informare e coinvolgere tutta la squadra, operare delle scelte di cui siano consapevoli tutti i giocatori dedicandovi del tempo sul campo importante.
Conclusione
In ogni caso, alla base di qualsiasi ragionamento e programmazione, non bisogna mai dimenticare che la pallacanestro è un Gioco di squadra, per il sottoscritto la più alta espressione.
Quando smetteremo di parlare di sport femminile e inizieremo a riconoscere le donne al pari degli uomini anche nello sport, allora si potrà cambiare il tono della domanda.
Lo sport è per tutti ed è di tutti: maschi e femmine, ma è solo un miraggio in Italia!
Nel mondo dello sport italiano ci sono discipline considerate appannaggio esclusivo degli uomini o delle donne…
In questo Report il 38,5 % degli uomini pratica il calcio contro l’1,2 % delle donne, il 16,8 % delle donne pratica danza contro il 2 % degli uomini, il 4% degli uomini pratica il volley rispetto all’85% delle donne e così di seguito.
Un lavoro del Centro Studi di C.O.N.I. Servizi del 2017, relativo alle caratteristiche demografiche degli atleti e degli Operatori delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate, evidenzia elementi di fortissima differenziazione di genere:
le atlete donne erano il 28,2 % contro il 71,8 degli atleti maschi (su 4,7 milioni di tesserati complessivi);
tra gli Operatori Sportivi (Istruttori, Allenatori, Dirigenti), 4 su 5 erano di sesso maschile (80,2 % Allenatori, Istruttori, Direttori Sportivi, 81,8 % Ufficiali di Gara e Arbitri, 87,6 % Dirigenti Federali e 84,6 % Dirigenti Societari).
Questi sono i dati ufficiali del 2017, ma nel 2020 i risultati sono diversi, è aumentata la percentuale delle atlete donne nel calcio, nello sci, nel rugby, ecc., sono aumentate le donne “coach”, le donne “Dirigenti”, insomma è cresciuto il numero delle donne al timone del comando!
Ma non esiste ancora parità!
La storia dello sport della donna, infatti, non è stata ancora scritta in Italia in maniera compiuta.
Un po’ perché la storia dello sport, in generale, si è sempre occupata di questo fenomeno dal punto di vista maschile, ma anche perché la storia dello sport femminile è stata finora circoscritta, avendo considerato le vicende di qualche atleta illustre, o di qualche disciplina, o di qualche episodio eclatante, senza una visione d’insieme.
È anche mancato il materiale su cui indagare, perché la donna, solo di recente, ha avuto una propria storia, relegata però in quella del costume.
Infine non bisogna dimenticare il contesto in cui ha vissuto per secoli la donna nel nostro Paese, soggetta a pregiudizi di tipo culturale di difficile superamento, condizionata, come negli altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, dalle sue prerogative di madre e sposa, prerogative che la hanno relegata ad un ruolo secondario della vita civile.
Però all’estero la situazione è migliore, sia perché sono più avanzati gli studi di storia dello sport in generale, sia perché questo fenomeno è entrato nella cultura comune e nel modo di vita quotidiano.
Ora però anche in Italia qualcosa sta cambiando, la dimostrazione è che la bi-campionessa olimpica di ciclismo Antonella Bellutti si presenterà come sfidante di Giovanni Malagò alle prossime elezioni per la presidenza del CONI
Nel lavoro
Nel lavoro esiste la parità dei sessi?
Quando smetteremo di parlare di lavoro “al femminile” e inizieremo a riconoscere le donne al pari degli uomini anche nel lavoro, allora si potrà cambiare il tono della domanda.
Il lavoro è per tutti ed è di tutti: maschi e femmine, ma è solo un miraggio in Italia!
Le donne hanno il 25% in meno di diritti sul lavoro rispetto agli uomini, così afferma il nuovo rapporto “Women, business and the law 2019”, pubblicato dalla Banca Mondiale, nel quale si prendono in considerazione le decisioni economiche e legislative che i Paesi hanno intrapreso negli ultimi 10 anni per migliorare la situazione delle donne nel contesto lavorativo.
La media mondiale è intorno ai 74 punti: in pratica le donne ricevono un quarto in meno di diritti sul lavoro rispetto agli uomini.
Nel 2018 ci sono sei Paesi che hanno raggiunto il punteggio di 100 nel rapporto della Banca Mondiale:
Belgio
Danimarca
Francia
Lettonia
Lussemburgo
Svezia
Nel 2020 il numero dei Paesi che ha raggiunto il punteggio di 100 è aumentato specialmente nel nord Europa e nel nord America.
Dando uno sguardo in generale alla situazione, si può notare un progresso dal punto di vista del “gender equality” ma esistono diversi Paesi, soprattutto in Africa e Medio Oriente, che non raggiungono nemmeno la metà del punteggio massimo.
Secondo il rapporto, le donne iniziano la propria carriera lavorativa più tardi degli uomini e a 25 anni e la scelta del lavoro per loro è condizionata da tre fattori principali:
la sicurezza economica;
la possibilità di crescita;
l’equilibrio tra il lavoro e la vita privata.
Le politiche economiche di ogni Paese sono state analizzate attraverso alcuni indicatori che prendono in considerazione ogni fase della vita lavorativa della donna:
i vincoli sulla libertà di movimento (sia la possibilità di andare concretamente al lavoro, sia la capacità di viaggiare);
la valutazione delle leggi e degli strumenti che permettono alle donne di entrare nel mondo del lavoro.
il matrimonio;
la maternità;
la posizione pensionistica delle donne.
L’Italia, in questo contesto ha un punteggio mediamente alto, stabilizzatosi da 4-5 anni al 94,38.
Ma non esiste ancora parità!
L’importanza del ruolo della donna nel mondo del lavoro sembra un fatto ormai pacificamente riconosciuto.
Numerosi sono gli studi che dimostrano come il ruolo femminile, sia in ambito lavorativo, economico, finanziario, sociale e sportivo, abbia un impatto significativo sullo sviluppo e sulla crescita di un Paese.
In Italia l’impianto normativo esistente sembra garantire una sostanziale parità giuridica per quanto riguarda le regole di accesso al lavoro unitamente alle regole di svolgimento dello stesso e da tempo ci si muove in un’ottica di progressiva eliminazione delle discriminazioni fondate sul genere.
Da lungo tempo si combatte contro le disparità tuttora riscontrabili nella pratica e contro il fenomeno della scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Disparità sovente riscontrabili in quei contesti ove, a parità di tutele normative, permangono notevoli differenze tra uomini e donne a livello di prospettive di carriera, di qualificazione professionale, di formazione imprenditoriale, di parità di retribuzione.
Tali disparità consentono, purtroppo, di affermare che il cammino sinora percorso è stato contrassegnato da numerosi successi, ma che la strada da percorrere è ancora lunga.
Occorre quindi adottare ulteriori, nuovi e diversi strumenti per superare, nei fatti, effettive disuguaglianze.
E’ infatti indispensabile che nell’ambito di una collettività si lavori tutti insieme, sia sotto il profilo dei cambiamenti culturali, economici e sportivi, sia sotto il profilo dei cambiamenti materiali.
I cambiamenti di breve respiro, sovente tamponano soltanto un’emergenza, quelli più duraturi si possono realizzare solo con il contributo di tutte e di tutti.
Arriveremo in tempi brevi alla parità tra uomini e donne nello sport e nel mondo del lavoro?
“Proprio giorni fa il Ministro dello Sport Vincenzo Spadafora ha assicurato che a gennaio 2021 il professionismo dello sport femminile sarà legge. Potrebbe essere una svolta importante che rivoluzionerebbe il mondo dello sport anche se conosciamo tutti i tempi e gli imprevisti della politica.
Ad ogni modo in un momento così difficile e confuso per lo sport in generale si comincia ad intravedere una piccola speranza”.
La parità di genere è strettamente legata alla giustizia sociale e rappresenta uno degli Obietti cardine dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile.
Sottolineare quanto sia importante mantenere sotto controllo certi segnali, come la difficoltà a recuperare dopo una sessione di allenamento particolarmente dura, è di una importanza estrema.
I sintomi più evidenti sono:
irritazione muscolare che continua oltre le 48 ore dopo l’esercizio;
cambiamenti notevoli nelle normali funzioni del corpo;
mancanza di motivazione.
Se si nota qualcuno di questi, bisogna modificare:
l’intensità
la durata
la frequenza degli esercizi
e continuare ad osservare qualunque cambiamento.
In seguito a sedute di superallenamento è necessario inserire, in un programma di allenamento, un giorno o due alla settimana esclusivamente dedicati al riposo.
Nel programma di periodizzazione è assolutamente previsto un paio di periodi di riposo “attivo “ che seguono la stagione pre – agonistica e la stagione regolare (o post – agonistica)
E’ il programma pianificato di allenamento di un atleta o di una squadra durante tutto l’anno che culmina in un ottimale livello di condizionamento atletico o in una buona prestazione complessiva in un periodo prestabilito della stagione.
Nello specifico nel basket, che è uno sport in cui ogni partita conta, un allenamento stagionale teso a raggiungere il culmine della forma nei play – off, non è realistico.
Perciò un piano sistematico di allenamento fornisce delle variazioni:
Nell’ Intensità di allenamento (gradi di difficoltà dell’esercizio; la qualità del lavoro);
Nel volume (la quantità di lavoro);
Nella tecnica (abilità specifica al basket e capacità atletiche)
Le variazioni sono attuate per massimizzare l’effetto dell’allenamento e le prestazioni altamente positive.
“Chiama un time out!”, “quando lo chiami il time out?!”.
Sono tra le frasi più urlate dagli spettatori a noi allenatori durante la partita, a testimonianza dell’importanza che lo stesso pubblico attribuisce a questo aspetto del GIOCO.
Facciamo però un passo indietro.
Il significato sportivo del termine Time Out è sospensione del tempo, ed era proprio questo il motivo per cui fu inserito nelle regole del nostro sport, ovvero dare la possibilità di riposo ai giocatori.
Era quindi una pausa momentanea dal GIOCO.
L’evoluzione della pallacanestro ha reso, invece, questa interruzione del “giocato” una fase concreta della partita, tanto da essere un’arma tattica che tutti noi allenatori dobbiamo essere in grado di sfruttare a pieno.
Il primo aspetto da tener conto è il numero di time out che ogni squadra ha a disposizione.
Si hanno un massimo di 7 time out per squadra, ognuno con durata di 75 secondi.
Possibilità di chiamare massimo 2 time out negli ultimi 3 minuti, più altri 2 per ogni eventuale supplementare.
Oltre la panchina (allenatore o vice allenatore) la richiesta può avvenire anche direttamente dal giocatore che possiede la palla.
Attenzione però, secondo la regola “televison time out“, durante ogni quarto ad ogni squadra viene obbligatoriamente assegnato un time out per ragioni televisivi anche se non chiamato dalle squadre stesse!
Proprio la gestione del numero dei time out, comporta una prima decisione strategica da parte dello staff.
È fondamentale, infatti, avere sempre ben presente quanti ne restano a disposizione, ipotizzando un loro utilizzo nei momenti decisivi della partita.
Questa scelta dipende molto dal feeling che lo staff tecnico ha con la partita e con i momenti di essa, rimanere senza può costare il risultato finale.
Quando chiamarlo?
Non c’è un’unica risposta a questa domanda.
Può esserci la volontà di modificare il ritmo della squadra avversaria, interrompendo per esempio un break positivo, ma può anche essere la soluzione per cambiare tatticamente delle scelte che non pagano e che hanno bisogno di essere mostrate con “calma“.
Altro significato è il time out chiamato in prossimità degli ultimi secondi di un quarto o per gestire meglio il possesso previa una violazione di tempo, in cui sfruttando una rimessa a favore si mostrano alla squadra le cosiddette situazioni speciali (a.t.o. plays).
Non sempre però la tattica è la protagonista della sospensione, ci sono time out il cui obiettivo è essenzialmente psicologico, dare una scossa ad una squadra o a singoli giocatori in difficoltà.
E’ in questo caso che la conoscenza dei caratteri dei propri uomini è fondamentale per andare a toccare le giuste corde per avere una reazione.
C’è chi ha bisogno del bastone e chi della carota!
Nella mia esperienza da assistente ho lavorato con head coach ai quali piaceva avere un mini time out con l’intero staff prima di comunicare con la squadra, richiedendo quindi sintesi e chiarezza nell’esposizione delle idee proposte, altri invece volevano avere tutto chiaro prima di rivolgersi al tavolo per chiamare la sospensione.
Da capo allenatore io ho sempre preferito la prima soluzione, sfruttavo quel momento anche per lasciare dei secondi sola la squadra affinché parlassero tra loro.
Non raramente, se c’è un’intesa consolidata all’interno dello staff, il capo allenatore lascia condurre il time out al vice, soprattutto se l’indicazione da presentare alla squadra è un’idea dell’assistente.
Importante, comunque, che non ci sia un un’accavallarsi di voci. I giocatori in quei pochi secondi devono avere la massima concentrazione, recepire poche cose ma chiare.
Strategie
Alcune volte si sfruttano i pochi metri che separano le panchine dal campo per suggerire all’orecchio del giocatore le ultime indicazioni mentre il tavolo ha fischiato la fine della sospensione.
Altri che guardano negli occhi i propri giocatori prima di parlare.
Altri che utilizzano solo raramente la lavagnetta.
Conclusione
Ognuno ha la sua tecnica e il suo modus operandi, l’importante è organizzare e sapere cosa si vuol trasmettere in quel momento, senza lasciare nulla all’improvvisazione o chiamare il time out perché lo chiede il pubblico.
Bisogna sempre essere consapevoli di ciò che si sta facendo.