Creare uno staff

CREARE UNO STAFF E LAVORARCI ASSIEME

Prima Parte

Tanti anni da capo allenatore di squadre senior hanno fortificato in me la convinzione che avere uno staff tecnico di alto livello sia la base imprescindibile per impostare una o più  stagioni proficue per il mio lavoro,…

…per il lavoro dei miei collaboratori, per il miglioramento tecnico-fisico dei giocatori che ho a disposizione e per l’ottenimento dei risultati che ogni club legittimamente si aspetta.

Introduzione

Cosa siamo noi allenatori se non manager a cui viene richiesta la capacità di saper utilizzare al meglio le risorse umane che gli vengono messe a disposizione ?

Domenico Sorgentone
Coach Domenico Sorgentone – da roseto.com

Usare le capacità tecniche dei giocatori, per dare un gioco alla squadra, che non sia solo imposto ma che prenda spunto da ciò che i tuoi giocatori sanno fare meglio, è l’unico modo, a mio modo di vedere, per riuscire ad ottenere un risultato tecnico il più vicino possibile al reale potenziale della squadra.

Allo stesso tempo, saper utilizzare i componenti dello staff, secondo le proprie attitudini e fornendo loro le giuste motivazioni che nascono dal reale coinvolgimento nelle scelte e nel lavoro quotidiano, è la via migliore per far si che chi collabora col coach diventi un reale valore aggiunto.

Per ultimare il discorso generale prima di entrare nel merito, vale la pena specificare che le condizioni di professionalità e di organizzazione delle società per cui si lavora sono talmente diversificate.

E’ impossibile per me dare dei concetti comuni a tutti per cui mi limiterò ad indicare i criteri che ho seguito nelle mie esperienze lavorative.

Formare uno staff

Ho sempre cercato di avere al mio fianco persone conosciute direttamente o attraverso le informazioni di colleghi.

Non sempre è possibile portare con sè uno o più componenti dello staff.

E’ quasi sempre possibile, però, conoscere a fondo i collaboratori che una società ti propone attraverso le loro esperienze pregresse.

Vanno, comunque, valutate anche sulla base delle proprie idee sulle persone che forniscono le informazioni.

Costruire una buona rete informativa è un aspetto fondamentale del lavoro di un allenatore perché  può fornire i mezzi per poter scegliere un giocatore o un collaboratore riducendo al minimo la possibilità di errore.

I ruoli fondamentali per formare uno staff che sia in grado di coprire la totalità degli aspetti necessari  sono tre, anche se qualcuno ha la fortuna di poterlo arricchire di ulteriori figure funzionali alla logistica dell’allenamento (appoggi, videoripresa, scouting ecc.).

Nell’ordine (non di importanza) sono:

Le caratterisitche

La caratteristica comune che cerco nei due assistenti è essenzialmente riferita ad una buon livello di conoscenza tecnico-tattica mentre  per tutte le altre qualità mi baso su criteri di complementarietà.

Almeno uno dei due deve:                            

  • essere un professionista per ragioni di tempo utilizzabile
  • avere buone conoscenze informatiche e capacità di match analysis
    • per lavorare sui video propri o degli avversari
  • avere inclinazione verso il lavoro individuale di miglioramento dei giocatori
  • essere un ex giocatore di buon livello
    • perché molti di loro sono in grado di percepire umori e situazioni di possibile rischio nei rapporti tra giocatore e giocatore e tra giocatore e staff.
    • Inoltre sanno guardare le cose dalla prospettiva dell’atleta oltre che da quella dell’allenatore. 

Attenzione però, non mi riferisco a tutti gli ex giocatori ma a quelli ormai formati e temprati dal campo in qualità di tecnici.

La scelta del preparatore fisico

Nella ricerca del preparatore tendo a guardare, con molto interesse,:

  • chi è in possesso di  una conoscenza approfondita della pallacanestro e delle sue specificità tecnicofisiche
  • chi ha una buona dose di esperienza settoriale 
  • colui che ha la capacità di saper mediare tra le proprie esigenze di carichi e tempi di lavoro e quelle dell’allenatore.

Questo ultimo aspetto è secondo me essenziale.

Tanti anni di carriera mi hanno insegnato che qualsiasi allenatore/preparatore che si rispetti è portato ad “accaparrarsi” più ore di allenamento possibili a scapito dell’altro aspetto del lavoro.

Saper mediare con razionalità evita squilibri dannosi e ottimizza la qualità del lavoro.

Tutto quello che ho scritto in relazione alle competenze ed alle qualità che cerco nei miei collaboratori è importantissimo:

ma niente raggiunge l’importanza che ha la statura umana delle persone di cui cerco di circondarmi.

Nota della redazione

Nella seconda parte dell’articolo, che pubblicheremo la settimana prossima (giovedi 2 dicembre 2021), si entrerà nell’ambito delle dinamiche collaborative all’interno dello staff nei vari periodi dell’anno.

di Domenico Sorgentone

Time out

Il Time out nel basket

“Chiama un time out!”, “quando lo chiami il time out?!”.

Sono tra le frasi più urlate dagli spettatori a noi allenatori durante la partita, a testimonianza dell’importanza che lo stesso pubblico
attribuisce a questo aspetto del GIOCO.


Facciamo però un passo indietro.

Il significato sportivo del termine Time Out è sospensione del tempo, ed era proprio questo il motivo per cui fu inserito nelle regole del nostro sport,
ovvero dare la possibilità di riposo ai giocatori.

Era quindi una pausa momentanea dal GIOCO.

L’evoluzione della pallacanestro ha reso, invece, questa interruzione del “giocato” una fase concreta della partita, tanto da essere un’arma tattica che tutti noi allenatori dobbiamo essere in grado di sfruttare a pieno.

Il primo aspetto da tener conto è il numero di time out che ogni squadra ha a disposizione.

Excursus tra i vari campionati.
Logo della Federazione Internazionale Pallacanestro

Area FIBA

  • Si hanno un massimo di 5 time out di 60 secondi per ogni team.
  • Sono così distribuiti: 2 nei primi 2 quarti e 3 nei secondi.
  • Negli ultimi 2 minuti della partita se ne possono chiamare massimo 2, più un altro per ogni eventuale supplementare.
  • E’ solo la panchina (allenatore o vice allenatore) a poterlo chiamare.

NBA

  • La situazione è molto diversa.
  • Si hanno un massimo di 7 time out per squadra, ognuno con durata di 75 secondi.
  • Possibilità di chiamare massimo 2 time out negli ultimi 3 minuti, più altri 2 per ogni eventuale supplementare.
  • Oltre la panchina (allenatore o vice allenatore) la richiesta può avvenire anche direttamente dal giocatore che possiede la palla.

Attenzione però, secondo la regola “televison time out“, durante ogni quarto ad ogni squadra viene obbligatoriamente assegnato un time out per ragioni televisivi anche se non chiamato dalle squadre stesse!

Proprio la gestione del numero dei time out, comporta una prima decisione strategica da parte dello staff.

È fondamentale, infatti, avere sempre ben presente quanti ne restano a disposizione, ipotizzando un loro utilizzo nei momenti decisivi della partita.

Questa scelta dipende molto dal feeling che lo staff tecnico ha con la partita e con i momenti di essa, rimanere senza può costare il risultato finale.

Quando chiamarlo?

Non c’è un’unica risposta a questa domanda.

  • Può esserci la volontà di modificare il ritmo della squadra avversaria, interrompendo per esempio un break positivo, ma può anche essere la soluzione per cambiare tatticamente delle scelte che non pagano e che hanno bisogno di essere mostrate con “calma“.
  • Altro significato è il time out chiamato in prossimità degli ultimi secondi di un quarto o per gestire meglio il possesso previa una violazione di tempo, in cui sfruttando una rimessa a favore si mostrano alla squadra le cosiddette situazioni speciali (a.t.o. plays).

Non sempre però la tattica è la protagonista della sospensione, ci sono time out il cui obiettivo è essenzialmente psicologico, dare una scossa ad una squadra o a singoli giocatori in difficoltà.

E’ in questo caso che la conoscenza dei caratteri dei propri uomini è fondamentale per andare a toccare le giuste corde per avere una reazione.

C’è chi ha bisogno del bastone e chi della carota!

La mia esperienza

Nella mia esperienza da assistente ho lavorato con head coach ai quali piaceva avere un mini time out con l’intero staff prima di comunicare con la squadra, richiedendo quindi sintesi e chiarezza nell’esposizione delle idee proposte, altri invece volevano avere tutto chiaro prima di rivolgersi al tavolo per chiamare la sospensione.

Da capo allenatore io ho sempre preferito la prima soluzione, sfruttavo quel momento anche per lasciare dei secondi sola la squadra affinché parlassero tra loro.

Sergio Luise 3
Sergio Luise in un time out

Non raramente, se c’è un’intesa consolidata all’interno dello staff, il capo allenatore lascia condurre il time out al vice, soprattutto se l’indicazione da presentare alla squadra è un’idea dell’assistente.

Importante, comunque, che non ci sia un un’accavallarsi di voci. I giocatori in quei pochi secondi devono avere la massima concentrazione, recepire poche cose ma chiare.

Peggio di non avere time out a disposizione è averlo ma con una squadra che ritorna in campo confusa!

Strategie

Alcune volte si sfruttano i pochi metri che separano le panchine dal campo per suggerire all’orecchio del giocatore le ultime indicazioni mentre il tavolo ha fischiato la fine della sospensione.

Fondamentale ottimizzare tutti i secondi!

Ci sono allenatori, poi, che:

  • preferiscono sedersi.
  • Altri che guardano negli occhi i propri giocatori prima di parlare.
  • Altri che utilizzano solo raramente la lavagnetta.
Conclusione

Ognuno ha la sua tecnica e il suo modus operandi, l’importante è organizzare e sapere cosa si vuol trasmettere in quel momento, senza lasciare nulla all’improvvisazione o chiamare il time out perché lo chiede il
pubblico.

Bisogna sempre essere consapevoli di ciò che si sta facendo.

“Finalmente lo hai chiamato!!”…direbbe qualcuno dagli spalti…

di Sergio Luise