I requisiti necessari per giocare a basket a livello competitivo superano di gran lunga quelli necessari ad eseguire le normali attività quotidiane e anche a quelli richiesti nella maggior parte degli altri sport.
Una buona condizione di base da sola non può essere sufficiente.
Una buona elasticità, un buon allenamento del core e la forza sono elementi essenziali per la pratica della pallacanestro, si rende necessario sviluppare anche qualità associate ad una elevata prestazione atletica come:
Tutte e quattro queste qualità atletiche sono in parte determinate dal proprio bagaglio genetico e qualunque inesperto telecronista di pallacanestro definirà “atleta naturale” quei giocatori un po’ più dotati nella media.
Veramente troppi giocatori dotati geneticamente hanno permesso che quelle loro capacità si deteriorassero, mentre altri si sono spinti a limiti estremi del proprio potenziale atletico.
In altre parole se si vuole migliorare la propria velocità, potenza, agilità e coordinazione lo si può fare.
LA VELOCITA’
Velocità, rapidità e abilità nel saltare sono le qualità atletiche considerate più importanti nel basket.
I giocatori che mostrano movimenti eleganti, fluidi, agili ed esplosivi sul campo nel confronto degli avversari sono gli stessi che, generalmente, eccellono in questo sport.
Essi hanno sviluppato abilità superiori nei movimenti fondamentali che consentono loro di spostarsi dal punto A al punto B molto rapidamente.
Le componenti
La velocità ha due componenti di base:
la lunghezza del passo
(la distanza coperta da un solo passo)
la frequenza dell’andatura
(il numero di passi effettuati nell’unità di tempo)
La cadenza alla quale l’atleta muove le sue braccia e le sue gambe e la distanza che ogni andatura copre, determina la velocità di un atleta.
Idealmente un giocatore adotterà un alto livello di frequenza per accompagnare un’ampia andatura.
Questo risulta valido anche per movimenti diversi dallo sprint in linea retta, come ad esempio i movimenti laterali, gli arretramenti e i movimenti combinati della pallacanestro.
Tutti i giocatori hanno delle limitazioni personali che riguardano la velocità e il come muovono braccia e gambe.
Infatti sprinter di fama mondiale e corridori di medio livello sono sorprendentemente simili in termini di frequenza di andatura.
Dato per scontato che ogni atleta potrebbe migliorare la frequenza dell’andatura, da un punto di vista di risparmio del tempo, un maggiore progresso dello sviluppo della velocità viene ottenuto mettendo in evidenza il progredire di un’andatura “esplosiva”.
Importante assicurarsi, però, di non sacrificare la frequenza dell’andatura solo per aumentare la lunghezza del passo.
Se il più grande fattore di limitazione dello sviluppo della velocità è la lunghezza del passo, perché l’atleta allora non può correre semplicemente con un passo più lungo?
Credo che la risposta è che quello che l’atleta guadagna in lunghezza dell’andatura è controbilanciato da una perdita di efficienza nel movimento.
Chiunque può mettersi a correre con un passo più lungo, ma movimenti di scavalcamento, saltelli, oscillazioni e una frequenza ridotta di passi quasi sempre producono un’andatura a passo più lungo a scapito della velocità.
I tre punti chiave per migliorare la lunghezza dell’andatura sono:
Schemi di movimento fondamentali come il correre, il saltellare, lo schivare, il cambiare direzione, il saltare, il saltare in alto e il correre all’indietro sono comuni nel gioco del basket.
Una volta che si conosce l’importanza della specificità e si vuole sviluppare un’andatura più efficace ed ampia, c’è bisogno di includere un programma di esercitazioni ed attività tese al miglioramento della velocità e della rapidità nel piano di allenamento di un atleta, in modo da migliorare anche i movimenti specifici del basket ed incrementando l’appropriato sistema di energia nello stesso tempo.
In quest’articolo ho fatto riferimento ad appunti e concetti, in cui credo, di grandi preparatori fisici della NBA oltre che a teorie sperimentate di alcuni preparatori italiani.
La Pallarmonica è qualcosa che va oltre lo sport e oltre l’intrattenimento fine a sé stesso.
È, più di ogni altra cosa, un messaggio.
Nasce all’interno di una scuola, ed è lì che questo messaggio acquista una valenza ancora più significativa. Perché, è vero,…
…ci sono tutte le componenti di una disciplina sportiva.
Squadra A, Squadra B, una palla e una rete nel mezzo.
È una cosa che abbiamo visto tante volte. Il tennis, la pallavolo, eccetera.
Ma stavolta è diverso.
Nella Pallarmonica viene esaltato, fino a farne una regola,
Non si può tirare la palla al di là della rete se non stando uniti, creando un contatto tra i giocatori in campo.
E si sa, i messaggi hanno spesso più forza delle imposizioni.
E così i giovani giocatori devono entrare in contatto tra di loro se vogliono realizzare il punto.
Non crediamo sia una cosa di poco conto.
In questa epoca di individualismo esasperato in cui ci troviamo, avere la possibilità di far praticare ai ragazzi un gioco che esalti le finalità collettive prima di quelle individuali, pare una piccola rivoluzione.
E le rivoluzioni hanno sempre avuto lo scopo di cambiare quello che c’era prima.
La Pallarmonica, come il nome stesso suggerisce, pratica l’armonia, lo spirito di squadra, a tutto svantaggio della pratica individualista.
Tanti anni da capo allenatore di squadre senior hanno fortificato in me la convinzione che avere uno staff tecnico di alto livello sia la base imprescindibile per impostare una o più stagioni proficue per il mio lavoro,…
…per il lavoro dei miei collaboratori, per il miglioramento tecnico-fisico dei giocatori che ho a disposizione e per l’ottenimento dei risultati che ogni club legittimamente si aspetta.
Introduzione
Cosa siamo noi allenatori se non manager a cui viene richiesta la capacità di saper utilizzare al meglio le risorse umane che gli vengono messe a disposizione ?
Usare le capacità tecniche dei giocatori, per dare un gioco alla squadra, che non sia solo imposto ma che prenda spunto da ciò che i tuoi giocatori sanno fare meglio, è l’unico modo, a mio modo di vedere, per riuscire ad ottenere un risultato tecnico il più vicino possibile al reale potenziale della squadra.
Allo stesso tempo, saper utilizzare i componenti dello staff, secondo le proprie attitudini e fornendo loro le giuste motivazioni che nascono dal reale coinvolgimento nelle scelte e nel lavoro quotidiano, è la via migliore per far si che chi collabora col coach diventi un reale valore aggiunto.
Per ultimare il discorso generale prima di entrare nel merito, vale la pena specificare che le condizioni di professionalità e di organizzazione delle società per cui si lavora sono talmente diversificate.
E’ impossibile per me dare dei concetti comuni a tutti per cui mi limiterò ad indicare i criteri che ho seguito nelle mie esperienze lavorative.
Formare uno staff
Ho sempre cercato di avere al mio fianco persone conosciute direttamente o attraverso le informazioni di colleghi.
Non sempre è possibile portare con sè uno o più componenti dello staff.
E’ quasi sempre possibile, però, conoscere a fondo i collaboratori che una società ti propone attraverso le loro esperienze pregresse.
Vanno, comunque, valutate anche sulla base delle proprie idee sulle persone che forniscono le informazioni.
Costruire una buona rete informativa è un aspetto fondamentale del lavoro di un allenatore perché può fornire i mezzi per poter scegliere un giocatore o un collaboratore riducendo al minimo la possibilità di errore.
I ruoli fondamentali per formare uno staff che sia in grado di coprire la totalità degli aspetti necessari sono tre, anche se qualcuno ha la fortuna di poterlo arricchire di ulteriori figure funzionali alla logistica dell’allenamento (appoggi, videoripresa, scouting ecc.).
La caratteristica comune che cerco nei due assistenti è essenzialmente riferita ad una buon livello di conoscenza tecnico-tattica mentre per tutte le altre qualità mi baso su criteri di complementarietà.
Almeno uno dei due deve:
essere un professionista per ragioni di tempo utilizzabile
avere buone conoscenze informatiche e capacità di match analysis
per lavorare sui video propri o degli avversari
avere inclinazione verso il lavoro individuale di miglioramento dei giocatori
essere un ex giocatore di buon livello
perché molti di loro sono in grado di percepire umori e situazioni di possibile rischio nei rapporti tra giocatore e giocatore e tra giocatore e staff.
Inoltre sanno guardare le cose dalla prospettiva dell’atleta oltre che da quella dell’allenatore.
La scelta del preparatore fisico
Nella ricerca del preparatore tendo a guardare, con molto interesse,:
chi è in possesso di una conoscenza approfondita della pallacanestro e delle sue specificità tecnicofisiche
chi ha una buona dose di esperienza settoriale
colui che ha la capacità di saper mediare tra le proprie esigenze di carichi e tempi di lavoro e quelle dell’allenatore.
Questo ultimo aspetto è secondo me essenziale.
Tanti anni di carriera mi hanno insegnato che qualsiasi allenatore/preparatore che si rispetti è portato ad “accaparrarsi” più ore di allenamento possibili a scapito dell’altro aspetto del lavoro.
Saper mediare con razionalità evita squilibri dannosi e ottimizza la qualità del lavoro.
Tutto quello che ho scritto in relazione alle competenze ed alle qualità che cerco nei miei collaboratori è importantissimo:
Nota della redazione
Nella seconda parte dell’articolo, che pubblicheremo la settimana prossima (giovedi 2 dicembre 2021), si entrerà nell’ambito delle dinamiche collaborative all’interno dello staff nei vari periodi dell’anno.
L’argomento è dibattuto da tempo senza che vengano individuate con una certa precisione modalità ed effetti.
Spesso si tira in ballo la scuola come organo maestro nell’inculcare i principi dell’educazione, ma…
…non sempre l’istituzione scolastica dà del tu allo sport in quel rapporto virtuoso tra educatori sportivi ed alunni.
Il recupero della cultura sportiva
E allora il problema di recuperare una adeguata “cultura sportiva” lo si tira in ballo ogni volta che assistiamo ai fischi dell’inno nazionale della squadra avversaria o a imprecazioni razziste nei confronti del giocatore che ha una pelle differente da quella a cui si è abituati a vedere a queste latitudini.
Se invece sei un praticante o un addetto ai lavori, come si usa dire, cultura dello sport vuol dire anche la capacità di individuare i tuoi limiti per sapere come e dove intervenire.
Se fai parte di questo mondo sai benissimo che non c’è nulla che si possa anteporre al riconoscimento del merito – ovvero di quella nozione che nel resto della società italiana viene completamente ignorata.
Insomma, lo sport è – o dovrebbe essere – “un’altra cosa”.
È sempre stato così.
Ci dovrebbero essere variabili talmente obiettive da impedire scorciatoie o facilitazioni per chi non ha le caratteristiche per andare avanti, come, in genere accade in altri contesti a cominciare dalla politica, ma non solo.
Le domande
Ma chi dovrebbero essere quelli maggiormente in grado di piantare semi nel terreno?
Di predicare una forma corretta di approccio alla materia sportiva?
Di fare, di un popolo di commissari tecnici, della gente capace di riconoscere cosa sia lo sport ed i suoi valori?
Chi sono queste figure?
Probabilmente coloro i quali hanno un approccio diretto nel mondo sportivo, coloro che hanno delle responsabilità tecniche o dirigenziali ed anche e soprattutto quanti hanno a che fare con la materia della divulgazione.
Il ritratto
Se mescoliamo assieme questi elementi, ne viene fuori un identikit molto chiaro.
L’identikit corrisponde perfettamente alla figura dell’allenatore, a maggior ragione quando questa figura ha sovente attenzioni mediatiche continue:
Quel ruolo non si limita a selezionare i migliori giocatori, a coordinare sedute di allenamento e stabilire principi tecnico tattici per raggiungere i migliori risultati.
Quel ruolo ha una enorme responsabilità anche nei confronti della divulgazione di una certa cultura sportiva.
D’altronde il calcio è lo sport di gran lunga più visto e letto sui mass media e quel ruolo deve essere ben consapevole del fatto che le sue dichiarazioni rivestono un ruolo di enorme rilievo anche nei confronti dei praticanti e nelle tifoserie di altre discipline.
L’affermazione
A tal proposito ho ascoltato le dichiarazioni del Commissario Tecnico italiano dopo la scialba prestazione dell’Italia in Irlanda che non ha consentito alla nazionale di ottenere il passaporto per i prossimi campionati mondiali.
Il C.T. esprime fiducia sulle residue possibilità della nazionale e poi afferma un altro concetto che estrapolo letteralmente:
Non lo può sapere, ma soprattutto non lo può dire.
Un C. T. non può rilasciare una dichiarazione simile.
Perché?
Non ci si aspetta da un uomo di sport che parli come un qualunque politicante che sta per affrontare delle elezioni e che deve mostrare sicurezza e spavalderia perché quegli atteggiamenti possono far presa sull’elettorato.
Un uomo di sport predica la cultura dell’impegno e del sacrificio.
Nessuno meglio di lui sa che solo attraverso quel banco di prova si possono ottenere risultati, non vende la pelle dell’orso prima di averla comprata, e poi quell’orso, a vedere bene, pare ancora vivo e vegeto per essere comprato.
Senza contare il fatto che quella dichiarazione ha un effetto devastante anche nei confronti dei suoi stessi giocatori, i quali psicologicamente sono assolti dalle loro responsabilità.
Un C.T. che non riconosca i limiti della sua squadra, che:
che afferma di aver tenuto il pallino del gioco per tutta la partita
dimenticando che non ha quasi mai impensierito la porta avversaria
le occasioni migliori sono capitate proprio agli avversari
pure se non hanno tenuto in mano il pallino del gioco,
non ha la necessaria lucidità per inquadrare bene che momento sta vivendo la squadra e tutto l’ambiente circostante.
Conclusione
Senza questa obiettività, senza un bagno di umiltà, si è persa una importante occasione di far capire, in un colpo solo, a pubblico e addetti ai lavori, che bisogna ripartire da altre basi, con atteggiamenti differenti e senza mostrare alcuna gratuita arroganza.
Quando si vince c’è fin troppa euforia per costruire messaggi educativi:
la vittoria è esaltante e gioiosa, ma è la sconfitta – o la mancanza di risultati momentanei -il momento migliore nel quale:
E in questo caso l’occasione è andata clamorosamente sprecata.
Negli anni 80-90 era molto facile individuare il ruolo di un giocatore.
Grazie alle sue caratteristiche tecniche e fisiche, infatti, era evidente, osservando il roster di una squadra, chi giocasse nelle varie posizioni, e quale fosse il contributo di ogni singolo componente alla causa della squadra.
Il Playmaker doveva essere soprattutto un giocatore altruista, in grado di “sistemare” i propri compagni in campo, prevedere le situazioni ed essere il braccio dell’allenatore.
La Guardia non poteva prescindere da essere un realizzatore, principalmente tiratore, in grado di mettere a referto tanti punti;
L’Ala piccola era colui che toccava meno la palla tra gli esterni, finalizzatore, spesso tiratore dagli scarichi, intorno ai 2 mt dava una buona mano ai rimbalzisti;
Proprio l’Ala grande era il ruolo che forse più si stava sviluppando e cambiando.
Spostava gli equilibri, playmaker aggiunto, rimbalzista, un vero e proprio lusso.
Non parliamo di quelli che avevano la doppia dimensione:
gioco spalle a canestro e fronte, negli anni 2000 ampliarono sempre di più il loro raggio d’azione incominciando ad avere anche tiro da 3 punti;
Infine il Pivot, giocatore più alto, intorno ai 210 cm, doveva riempire l’area, intimidire in difesa, fare blocchi in attacco, prendere rimbalzi e non lamentarsi se faceva pochi tiri
Anche il giudizio degli addetti ai lavori era tarato su determinate convinzioni:
Un playmaker realizzatore non era un buon regista,
il lungo con tiro dai 5/6 metri era troppo perimetrale,
l’ala piccola doveva giocare correndo sui blocchi e facendosi trovare negli angoli
non dare “fastidio” nel trattare la palla.
Il cambiamento
Negli anni 2000 le cose cominciarono a cambiare.
Sempre più giocatori in grado di coprire due ruoli: i
l playmaker divenne uno dei migliori realizzatori delle squadre
le guardie erano anch’esse dei costruttori di gioco
da qui la definizione di un nuovo ruolo:
La stessa ala piccola deve avere ora nel suo bagaglio tecnico il gioco spalle a canestro per poter sfruttare la sua altezza ma anche per scalare nello spot di 4.
In verità non erano neanche poche le squadre che utilizzavano nella posizione di ala un’altra guardia, situazione tattica che permetteva di avere tre trattatori di palla ed essere meno prevedibili.
Probabilmente il ruolo di centro era l’unico che continuava ad avere una sua collocazione ben precisa sia tecnicamente che tatticamente, sicuramente però più atleta e verticale e con maggiore tecnica, soprattutto nelle ricezioni dinamiche.
è il momento dell’utilizzo quasi esclusivo dei pick&roll come arma principale dei vari attacchi, ed avere un efficace rollante in grado di chiudere i triangoli diventa necessario.
Sicuramente un punto di riferimento per il nostro sport, dove spesso è massima l’evoluzione dei giocatori dal punto di vista tecnico, ma soprattutto fisico.
La velocità del gioco, lo sviluppo atletico dei giocatori, le regole tattiche ma anche il passaggio dall’università di giocatori sempre più giovani ed acerbi tatticamente e ancora in fase di completamento tecnico, ci presentano squadre costruite per concetti e per caratteristiche dei giocatori piuttosto che per ruoli tattici.
Non si cerca il playmaker, il centro o l’ala grande, ma il tiratore, il difensore, il “facilitatore di gioco”, il lungo che apre le difese con il tiro da fuori.
giocatore che “inizia” l’azione, realizzatore dinamico in grado di creare per i compagni attaccando il canestro,
il tiratore 3D
tiratore da tre punti e gran difensore
il popper
colui che si apre dopo una blocco dilatando le spaziature
senza dimenticare il giocatore all round
colui che è in grado di portare palla ma anche essere il miglior rimbalzista e avere la doppia dimensione
In quest’ottica la risposta alla nostra domanda circa l’esistenza o meno dei ruoli nella pallacanestro moderna è:
Infatti si va verso un quintetto con giocatori fisicamente uguali e tutti pericolosi con la palla in mano.
Il rovescio della medagli di questa “evoluzione”
Il gioco tranne alcune squadre è molto standardizzato.
Si fa fatica a riconoscere un sistema di gioco diverso dagli altri.
Le fortune di una partita ma anche di un’intera stagione dipendono dalle singole giocate e sempre meno da un gioco corale e di letture (da qui la costruzione dei super-team).
Non è un caso che quando arrivano le partite decisive per vincere un campionato, coloro che hanno nel roster ancora un playmaker, un centro e giocatori in grado di leggere le situazioni hanno più possibilità di raggiungere i propri obiettivi.
Le squadre migliori sono quelle con le letture più evolute, dove le giocate dei singoli sono delle espressioni di talento all’interno di un gioco corale.
(la parima parte è possibile leggerla cliccando qui)
Benché la forza assoluta della donna rappresenti solo i due terzi di quella dell’uomo, la qualità delle fibre muscolari, per quanto concerne la capacità di erogare forza,è indipendente dal sesso.
In riferimento allo sviluppo della forza, gli incrementi relativi sono gli stessi, o perfino migliori, di quelli dell’uomo.
Le donne risultano avere muscoli più…
…deboli nel torace, nelle braccia e nelle spalle mentre la differenza e minore negli arti inferiori.
Gli uomini hanno maggiore potenza muscolare nelle gambe, espressa in kg, rispetto alle donne, quando il carico da spostare è basso.
rapportata però alla massa magra comporta valori di forza uguali tra i 2 sessi.
Quella (la forza) max aumenta nello stesso modo sia nell’uomo che nella donna
la differenza è che le donne dopo 7 settimane al massimo devono cambiare strategia di lavoro (Hakkinen).
La forza max è determinante nelle donne
in cui la correlazione tra forza max e forza esplosiva è elevata, più che negli uomini. (Hakkinen)
Il fenomeno dell’ipertrofia a parità di lavoro è meno pronunciata nella donna, a causa dei suoi più bassi livelli di testosterone.
Nella donna la forza massima è molto più legata alla sezione trasversale del muscolo, quindi molto più al fattore ipertrofia e deve continuare a stimolarlo e non abbandonarlo mai anche quando si fanno periodi dove si allenano maggiormente le qualità neuromuscolari.
Estensori – flessori
Dopo la maturazionesi ha un aumento del rapporto estensori/flessori cioè i muscoli flessori sono molto più deboli degli estensori.
Nelle giovani donne questo rapporto è molto più sbilanciato rispetto ai maschi della stessa età.
L’accelerazione di questo squilibrio avviene nei momenti immediatamente precedenti e immediatamente successivi all’apparizione del menarca.
Questa differenza si ripercuote in tutte le attività esplosive e di balzo.
Le bambine pre-puberi e post-puberi hanno negli atterraggi dai salti un minor piegamento e una maggiore adduzione.
Cause
La maggior parte di questi avvengono dopo atterraggio da salto in condizioni di ginocchio varo o valgo o nei cambi di direzione.
diversa attivazione del quadricipite rispetto al bicipite femorale nelle donne
Ischiocrurali nettamente inferiori e in ritardo di attivazione.
L’’attivazione anticipata del quadricipite aumenta lo stress sul legamento crociato, non sufficientemente compensato dalla carenza di forza e dal ritardo di attivazione dei muscoli ischiocrurali.
La co-contrazione protettiva di muscoli agonisti e antagonisti dipende dalla repentina attivazione neuromuscolare.
LASSITÀ LEGAMENTOSA e POCA STIFFNESS contrastano con la stabilità articolare
L’allenamento modifica le strategie di atterraggio in particolare aumenta la flessione del ginocchio e diminuisce le forze di reazione al suolo. (Hewett 1996)
L’allenamento della forza risulta inoltre di fondamentale importanza per il mantenimento dello stato di salute del sistema scheletrico
E’ stato dimostrato che gli stimoli meccanici ricevuti durante l’allenamento con sovraccarichi (e parzialmente anche durante altri tipi di allenamento) riescono a rallentare il processo di invecchiamento dello scheletro (McArdle W.D. et al. 1998).
In effetti, la fisiologica stimolazione meccanica indotta dall’esercizio, si rivela particolarmente utile nel limitare la perdita di matrice ossea, nel migliorare le strutture ossee e nello stimolare l’incremento della massa ossea stessa (Voloshin A.S. 2000).
La spiegazione del benefico effetto dell’esercizio fisico risiederebbe nel fatto che la struttura ossea sottoposta ad un alto livello di stress meccanico, come nel caso dell’esercizio con sovraccarichi, sarebbe in grado di sopprimere il meccanismo di rimodellamento osseo facilitandone in tal modo il processo conservativo (McArdle W.D. et al. 1998).
Gli studiosi, infatti, sono tutti concordi nello stabilire che l’elemento essenziale della morfogenesi di un osso sta nelle stimolazioni meccaniche alle quali è sottoposto (Voloshin A.S. 2000), particolarmente nelle alternanze di pressione, riposo e trazione (Valobra G.N. 2000).
Dati e conclusioni
Per quanto riguarda i dati di cui disponiamo finora in merito all’allenamento sportivo indicano che la frequenza, la durata e l’intensità di questo hanno effetti simili in entrambi i sessi.
In altre parole possono essere indotte modificazioni fisiologiche e biochimiche comparabili, risultanti in un’accresciuta capacità di lavoro sia nell’uno che nell’altro sesso adottando programmi similari ma individualizzati.
Modello da Behnke, “ Le maggiori differenze tra uomo e donna”
Statura media inferiore di 7-11 cm
Peso tessuto osseo inferiore di 4 kg, vale a dire del 12% – 15%3)
Valori inferiori di emoglobina ematica – Vo2 max minore, limitazione biochimica (capacità di usare l’ossigeno perprodurre energia)
Metabolismo basale inferiore del 5% – 10% (consumo delle calorie a riposo)
Minori mitocondri per miofibrilla (cellula muscolare)
Meno massa corporea, in media – 11 kg – 13,5 kg
Minore massa magra – 13 kg (ma la % è simile all’uomo)
Meno muscolo – 11 kg (44,7% nell’uomo 36% nella donna)
La cosa curiosa dei tabelloni segnapunti (e segnatempo) è che se potessero registrare gli sguardi, diventerebbero incandescenti a mano a mano che la partita volge verso la fine.
Se fossi un esperto in matematica direi che il tabellone lo si guarda in maniera inversamente proporzionale allo scorrere del tempo.
il primo per l’evento agonistico in sé che si svolge sul campo,
il secondo per il tabellone,
il terzo per il tavolo dei giudici (a cui ci si interfaccia per le operazioni amministrative della partita).
Ebbene sì, anche una partita ha le sue pratiche burocratiche da espletare.
Il tabellone
Eppure quel tabellone che fa sospirare e penare, dannare e gioire, quei piccoli cristalli rossi che si illuminano formando sostanzialmente numeri, tutta quella roba lì è un grande ingannatore.
Non perché sia bugiardo in sé (non c’è cosa più veritiera dei numeri, com’è noto), ma perché quel tabellone,
Il risultato finale
Sto parlando del risultato finale.
Quale unico ed assoluto giudice di ogni valutazione ex post di una prestazione?
E sto anche cercando (e sarà impresa non poco faticosa) di dimostrare che quel tabellone deve iniziare ad avere un’importanza relativa e non già assoluta nelle valutazioni di uno staff tecnico e di una società circa la performance della squadra.
Va bene, lo ammetto che la questione è spinosa assai e che investe direttamente la vecchia dicotomia tra fare sport per il gusto di farlo e farlo esclusivamente per vincere.
E’ esattamente il metro con cui si valuta lo sport semiprofessionistico e professionistico.
È questione spinosa anche perché deve ribaltare uno degli assiomi più antichi dello sport e cioè che quest’ultimo è vero solo in funzione dei risultati e che nulla conta al di fuori di quelli, che chiunque viene valutato per quanto ha vinto, eccetera eccetera.
Che se mi permettete, questa è solo una delle variabili in gioco (importante certo, ma ce ne sono anche delle altre).
Quante volte:
ci siamo sentiti dire che la nostra squadra meritava di vincere?
il pubblico ci ha applauditi anche dopo una sconfitta?
gli allenatori avversari si sono sinceramente complimentati per la prestazione fatta anche quando siamo usciti dal campo con le pive nel sacco?
La formalità
Orbene, il mio tentativo da queste colonne sarà tutto teso a dimostrare che tutta quella roba lì, che è accaduta a tutti, certamente anche più di qualche volta, è tutt’altro che formale e che la vittoria non è assolutamente l’unico parametro di valutazione per arrivare a definire se la nostra programmazione, la nostra conduzione di una gara e – purtroppo – non l’epilogo della stessa non sono da buttar via soltanto perché alla fine il punteggio ci vede sconfitti.
Ovvio considerare che se abbiamo perso ci manca ancora qualcosa, ma facciamo veramente attenzione ogni volta ad entrare nel merito della prestazione per sottoporla ad una attenta scannerizzazione che riguarda i quaranta minuti di gioco e non, magari, l’ultimo sfortunato episodio.
Proviamo anche a mettere in atto un’altra strategia.
Quel tabellone fatto di led luminosi rossi che cambiano vertiginosamente con il variare del punteggio, dei tempi di gioco e dei falli, proviamo a guardarlo un po’ meno spesso.
Quel tabellone ci condiziona tremendamente, inconsciamente, subliminalmente.
Faccio un esempio.
A inizio terzo quarto siamo avanti di venticinque:
Ritengo che il tabellone sia paradossalmente un nemico più della squadra che è avanti nel punteggio di quella che è in svantaggio.
Quei numeri dicono cose che possono entrare prepotentemente in quella delicata cosa che sono le motivazioni agonistiche che molto spesso spostano gli equilibri con la stessa facilità con cu si ribalta la famosa “inerzia”.
Ovvero quella miscela chimica e psicologica che nessuno ha mai capito fino in fondo ma che tutti gli allenatori conoscono e la “sentono” nell’aria prima che la situazione venga poi di fatto ribaltata sul campo anche se fino a pochi minuti prima il risultato sembrava aver preso una direzione precisa.
Conclusione
E allora, per concludere, qui nessuno vuole scomodare De Coubertin e assecondare quel suo cavalleresco e assai poco attuale aforisma,
in un’epoca nella quale, non solo nello sport, tutti vogliono spudoratamente vincere, sempre e comunque, con ogni mezzo, perfino quelli illeciti.
Tutto si giustifica nella moderna società della competizione sull’altare del “vincere e vinceremo”. (Duce, ci scusi la citazione).
Eppure sento che la vera e profonda ragione per giudicare cosa siamo veramente, cosa abbiamo realizzato veramente in quella partita, cosa serve veramente per trasformare quel granello di sabbia che è mancato nella valanga che occorre per superare la corrente:
Due considerazioni finali
La prima è che nessuno gioca mai a perdere e tutto questo non riguarda affatto l’aspetto delle giustificazioni o degli alibi per una sconfitta
quella sì, che sarebbe una cosa esecrabile.
La seconda è una parziale correzione della storia, ovvero del detto di De Coubertin e del senso che voleva dire.
Quel detto non è affatto farina del suo sacco: lo pronunciò per primo nella storia un filosofo greco che non avrebbe mai detto una cosa così scontata, perché quel filosofo disse in realtà:
“L’importante non è vincere, ma partecipare con spirito vincente”.
Parlando della pallacanestro di area FIBA si possano individuare alcuni turning points, ovvero alcuni cambiamenti regolamentari che hanno notevolmente cambiato il GIOCO.
La conseguenza è che ne sono state modificati gli approcci tecnici e tattici delle varie squadre e giocatori, nonché le strategie nella costruzione delle squadre.
Vediamo…
…quali sono, a mio avviso, quelli più determinanti.
Le modifiche nel tempo
1984 introduzione del tiro da 3 punti;
2004 il passaggio per i campionati FIBA dalla regola dei 30 secondi a quella dei 24 secondi.
Infatti, mentre in NBA, dopo un primo periodo in cui non vi erano limiti di tempo per concludere un’azione di attacco, nella stagione 1954/55 si decise immediatamente per i 24 secondi.
Nei paesi Europei, ma più in generale in quelli di area FIBA, ci fu prima il limite dei 30 secondi per poi adeguarsi alla regola NBA;
2010 arretramento linea dei tre punti alla distanza di 6,75 mt e modifica delle dimensioni dell’area dei 3 secondi;
2014 reset del cronometro a 14 secondi dopo un rimbalzo offensivo;
2018 l’introduzione del concetto “passo zero”
ovvero la possibilità di compiere, in determinate circostanze, un passo senza mettere la palla a terra che non rientri nel conto per il fischio della violazione di passi.
Tralasciando per ora, ne parleremo magari nei prossimi articoli, i significativi effetti degli altri cambiamenti regolamentari (alla lista precedente aggiungerei anche l’introduzione dello “SMILE”).
Le conseguenze del cambiamento del limite di tempo
In queste righe vorrei sottolineare come il cambiamento del limite di tempo per l’azione offensiva abbia influenzato a tal punto la pallacanestro “moderna” da pensare ad un vero e proprio spartiacque!
Le conseguenze sono state diverse e di grande impatto.
Parto proprio da quest’ultimo aspetto per condividere con voi alcune mie riflessioni.
La mia passione per questo sport è nata ben prima del 2004, quando le squadre erano composte da un quintetto base ben definito ed una panchina in cui era facile identificare il sesto uomo.
Quest’ultimo poteva tranquillamente far parte dello starting five, ma uscendo dal “pino” aveva un impatto sulla partita ancora maggiore tale da cambiarla.
Il resto dei panchinari (il roster era di 10 giocatori) era soprattuto giocatori di ruolo (Role Player) con compiti ben specifici, spesso con mansioni chiaramente difensive, con l’obiettivo di far rifiatare il titolare e di supporto anche morale per i primi cinque.
In seguito l’evoluzione della pallacanestro ha influenzato la costruzione del roster.
Con la riduzione di ben 6 secondi per concludere un attacco, si è visto notevolmente velocizzare il gioco con una diminuzione dei tempi di esecuzione sia fisici che mentali, tale da richiedere sforzi più intensi con conseguenti riposi brevi ma più frequenti.
Ecco la necessità di avere 12 giocatori, ma soprattutto aumentare le cosiddette rotazioni e avere un maggior apporto dai giocatori definiti rincalzi.
Nasce anche una vera e propria nuova definizione, quella di “SECOND UNIT”, cioè quintetti che iniziano la partita subentrando, ma che hanno la possibilità di giocare diversi minuti e quindi essere determinanti.
Ovviamente parte tutto da un concetto di tempo ridotto, ma non è solo una questione fisica:
non invadendo competenze altrui, non credo di essere smentito dicendo che i lavori di endurance in pres-season sono stati sempre di più sostituiti da lavori più intensi e anaerobici e da una maggiore attenzione allo sviluppo della resistenza veloce.
Infatti essendo uno sport di situazioni, l’aspetto tecnico ha risentito in maniera importante di questo cambiamento.
Analizziamo più nel dettaglio alcuni effetti
COSTRUZIONE GIOCATORI
In giro per i campi europei, a tutti i livelli, si vedono sempre più dei veri atleti.
Giocatori che potrebbero competere in qualsiasi disciplina di atletica leggera per le loro capacità anche purtroppo a scapito di una tecnica e una conoscenza dei fondamentali non precisa.
Questo è il vero obiettivo dei nostri settori giovanili, ovvero formare giocatori che sappiano abbinare a doti fisiche e atletiche di primo livello una tecnica altrettanto eccellente.
Come?
Prima insegnando in maniera precisa il gesto, aumentando solo in seguito la velocità di esecuzione e di pensiero!
E’ fondamentale avere una tecnica che ci permetta di avere un rilascio della palla efficace ed efficiente, con la palla che esce dalle mani con la giusta rotazione e parabola, con la corretta coordinazione piedi, gambe, braccia e mani.
Ciò è possibile con ripetizioni e una metodologia di allenamento che gli allenatori ben conoscono.
E’ necessario, però, che, una volta acquisita la tecnica, essa venga eseguita in tempi rapidissimi.
Quanto tempo ha il giocatore per eseguire un tiro prima di essere ostacolato?
E quanto per mettere i piedi “a posto”?
Quanti tiri sono effettivamente liberi o senza la pressione del difensore?
Quanto tempo ha per decidere il tipo di tiro da effettuare in relazione alla situazione di gioco?
Pochissimo, sicuramente molto meno di quanto ne aveva con i 30 secondi a disposizione per concludere l’azione d’attacco.
Sicuramente ha meno libertà di movimento dovendo affrontare difese più atletiche che riempiono gli spazi molto più velocemente. (Basti pensare ai “CLOSE OUT”).
GIOCHI OFFENSIVI
Prima della variazione regolamentare era norma sviluppare giochi d’attacco nei cui primi secondi c’era soprattutto un movimento di palla non sempre accompagnato da quello dei giocatori, o comunque non tale da creare un vantaggio immediato da poter sfruttare andando a canestro o concludendo.
Il vero pericolo per le difese infatti arrivava negli ultimi secondi dell’azione
Con i 24 secondi c’è stato uno sviluppo di set offensivi che dai primissimi istanti dell’azione permettono di mettere sotto pressione la difesa (concretizzare i vantaggi).
Alcuni consentono di raggiungere una conclusione dopo un solo passaggio e un movimento di un solo giocatore (si vedono sempre più isolamenti), altri hanno obiettivi chiari ed immediati che coinvolgono non tutti gli attaccanti (pensiamo a come nascono diversi pick&roll centrali).
Così come, (per necessità o per “pigrizia” di noi allenatori?), non è inusuale avere diverse chiamate dello stesso gioco a secondo del giocatore che vogliamo coinvolgere limitando, così, al minimo il tempo di esecuzione, ma anche la capacità di scelta dei nostri atleti.
Scelte che potrebbero rallentare l’esecuzione del gioco, con la conseguenza in questo caso, personale considerazione, di un impoverimento della qualità dell’attacco e del giocatore stesso.
Con un attacco pericoloso già nei primi secondi, con una ricerca sempre maggiore di attaccare in contropiede, attraverso anche transizioni offensive sempre più efficaci, è fondamentale avere giocatori in grado di passare da una fase all’altra immediatamente.
Da qui l’attenzione per le transizioni difensive e per costruire una mentalità difensiva che non sia passiva, ma anzi permetta di aggredire l’attacco nei primissimi metri del campo (con difese tutto campo, raddoppi, blitz sulla palla…)
In particolare le qualità atletiche di ormai tutti i giocatori, indipendentemente dai ruoli, e i meno secondi a disposizione dell’attacco, permettono di utilizzare cambi difensivi anche tra diversi ruoli.
Molto efficaci per spezzare il flusso in attacco e costringerlo a soluzioni rapide e meno efficaci, condizionato anche dalla SHOT CLOCK VIOLATION.
Le cosiddette SPECIAL PLAYS
Per le scelte difensive dette in precedenze, ma anche per gli ulteriori cambiamenti regolamentari (pensiamo il reset ai 14 secondi), non possono mancare nel playbook delle varie squadre quelle situazioni a gioco rotto o quelle rimesse, sia laterali che da fondo, per la ricerca di una conclusione veloce.
Ciò ha permesso una notevole specializzazione per queste chiamate “speciali”.
Conslusione
Il basket per sua natura e per come è stato ideato, è sempre incline ai cambiamenti, avvicinandosi a quelle che sono le richieste di modernità.
Si può tranquillamente affermare che sia uno sport “progressista”.
Così come lo devono essere tutti i suoi attori protagonisti, pronti ad adeguare la propria metodologia di lavoro, come abbiamo visto, sia dal punto di vista atletico che tecnico (non tralasciando il lavoro degli arbitri, a cui è richiesto di adattarsi ad un gioco più veloce e con più contatti).
In particolare con l’introduzione dei 24 secondi, il gioco ne ha sicuramente guadagnato in spettacolarità.
Sicuramente risulta essere più moderno e fruibile per un pubblico sempre più alla ricerca della giocata spettacolare e poco amante dei tempi morti.
Nell’articolo precedente ho trattato quella parte del lavoro di noi allenatori che riguarda la diffusione e la condivisione dei giochi avversari, le varie modalità in cui avvengono, gli obiettivi che ci prefiggiamo di ottenere e la collocazione temporale all’interno di una settimana lavorativa.
In questo nuovo contributo vorrei porre l’attenzione, invece, sull’importanza che assumono le caratteristiche individuali dei giocatori avversari.
Individual skills / Stats
Buona parte, infatti, delle informazioni degli avversari che lo staff tecnico trasmette alla propria squadra, riguardano le cosiddette individual skills accompagnate dalle “stats”.
Le prime rappresentano non solo ciò che il giocatore “sa fare”:
quindi i suoi pregi e i suoi difetti dal punto di vista tecnico;
il suo ruolo tattico
“ma anche”:
ciò che egli rappresenta per la propria squadra;
se è un punto di riferimento in attacco o in difesa;
Ovviamente la visione delle partite è altrettanto importante come quando bisogna redigere il playbook della squadra avversaria ed è facilmente intuibile che, in questo caso, il numero delle partite visionate è di fondamentale importanza.
Poche potrebbero dare false indicazioni (fake news), mentre un numero adeguato ci permette di avere maggiore certezza nello scegliere cosa condividere con i propri atleti dei futuri avversari.
Spesso gioca un aspetto fondamentale la conoscenza diretta del giocatore e, se non è possibile riscontrarla all’interno dello staff, ecco che ritornano d’aiuto le telefonate fatte, magari, in passato con altri colleghi che ci permettono di aggiungere anche delle note caratteriali al profilo dell’avversario.
Le seconde, ovvero le statistiche, nel basket moderno acquistano anno dopo anno, stagione dopo stagione, sempre più rilevanza.
Esse sono, non solo di supporto al giudizio circa l’efficacia, ma, grazie ai dati numerosi ed approfonditi che siamo mi grado di ricavare dai vari siti specializzati, anche indicative circa le abitudini dei singoli giocatori.
Esempio
oggi di un avversario possiamo sapere, con un’elevata accuratezza:
quante volte attacca il ferro con la mano destra;
quante con la sinistra;
in che percentuale utilizza quel tipo di conclusione
se è in uscita dal lato destro piuttosto che sinistro
cosa fa dopo un blocco
cosa preferisce fare negli ultimi secondi dell’azione e così via!
Tutto merito della famosa arte di scoutizzare una partita.
Vi sono colleghi all’interno degli staff tecnici che si sono specializzati in questo compito.
Il report
Ritorniamo ora al materiale che si sceglie di condividere con la propria squadra.
Come per i giochi avversari, non c’è una regola valida per tutti e per tutte le situazioni.
Nell’organizzare le informazioni da trasmettere alla squadra parto da una quasi certezza:
la prima voce del report che i giocatori vanno a guardare sono le stats degli avversari, in particolare dei giocatori che immaginano di dover marcare!
Ed è questo il motivo per cui è fondamentale la scelta e la modalità dei “numeri” che si propongono.
Essi devono essere di supporto e non dare cattive indicazioni, meglio non fornirli se non siamo sicuri di ciò che evidenziamo!
Dobbiamo avere chiaro in mente il messaggio che vogliamo condividere e l’obiettivo che vogliamo raggiungere.
Inutile sottolineare le buone percentuali di un giocatore da tre punti
se i suoi tentativi non sono significativi
Al contrario, è un errore non mettere in guardia sulla pericolosità di un tiratore che in carriera ha avuto sempre alte percentuali
magari meno fino a quel punto della stagione e quindi riportare anche i dati delle altre annate oltre a quella attuale.
Il sapere quali sono le soluzioni più efficaci a seguito di un preciso movimento o di uno schema, hanno più valenza di una “fredda” media aritmetica.
Il tutto deve essere coerente con le indicazioni che diamo per presentare le caratteristiche di un giocatore avversario e con le immagini che nelle varie riunioni presentiamo alla squadra.
non credo sia un messaggio chiaro riportare clip in cui un giocatore mostra una skill che statisticamente non è un dato significativo.
Organizzazione del report
Le indicazioni scritte preferisco siano dei flash, molto sintetiche, in stile linguaggio sms, devono catturare l’attenzione di una generazione abituata a vedere video più che leggere.
Le clips devono essere mirate, di ogni singolo giocatore.
Devono:
mostrare le caratteristiche principali, legate alle statistiche;
più brevi possibile
giusto il tempo d’ individuare il giocatore e di capire in che contesto tecnico e tattico si sviluppano;
mostrare anche i punti deboli
che messaggio diamo alla squadra se mostriamo solo canestri di un avversario?!.
Influenza della categoria del campionato
In un campionato di medio livello troveremo giocatori con qualità e difetti ben riconoscibili su cui speculare e dove la conoscenza specifica di ogni avversario può veramente fare la differenza e indirizzare il risultato di una partita.
Diverso il discorso quando il livello sale.
In questo caso dovremo confrontarci con giocatori dal talento elevato con un bagaglio tecnico importante e completo, magari roster molto lunghi e con infinite possibilità.
Nel primo caso credo che il tempo da dedicare al trasferimento delle informazioni individuali debba coprire una fetta importante del lavoro di uno staff.
Credo sia importante coinvolgere i singoli giocatori informandoli il prima possibile dei propri diretti avversari, farlo nei primissimi giorni della settimana dedicati alla squadra avversaria, anche prima dei riferimenti agli schemi.
Nel secondo caso, invece, si parla di limitare la pericolosità di un avversario, magari necessita di un lavoro di squadra piuttosto che singolo, non si parlerà più di speculare sui difetti, ma bensì di accorgimenti tattici, di una difesa di squadra e quindi di collaborazioni.
É opportuno, quindi, informare e coinvolgere tutta la squadra, operare delle scelte di cui siano consapevoli tutti i giocatori dedicandovi del tempo sul campo importante.
Conclusione
In ogni caso, alla base di qualsiasi ragionamento e programmazione, non bisogna mai dimenticare che la pallacanestro è un Gioco di squadra, per il sottoscritto la più alta espressione.
L’argomento che il nostro coach, Sergio Luise, tratterà fa parte di un aspetto del lavoro di allenatore professionista che meriterebbe diversi approfondimenti, ognuno dei quali potrebbe essere il principale tema di successivi articoli.
“Si potrebbe, infatti, riflettere sull’effettiva funzionalità di trasmettere ai giocatori i report tecnici della squadra avversaria, cosa trasmettere, quando trasmettere e ovviamente come trasmetterli”.
La mia opinione
A volte si attribuisce troppa importanza, da parte di noi allenatori, alla condivisione con i giocatori di ciò che fanno gli altri.
Già nell’organizzazione della settimana durante la pre-season diverso spazio viene riservato a quelle che noi chiamiamo riunioni tecniche, ovvero, lo sharing di clips, prontamente realizzate dallo staff, alla squadra.
Sono proprio quest’ultime che permettono ai propri giocatori di conoscere il più possibile degli avversari, sia dal punto di vista tecnico che tattico.
Ogni stagione, nel programmare il lavoro settimanale, mi faccio alcune domande:
cosa facciamo vedere alla nostra squadra degli avversari?
In che momento della settimana?
Quanto tempo dedicare a cosa fanno gli altri?
Cosa voglio che memorizzino da utilizzare durante una partita?
Non si hanno risposte univoche
Dipende dal tipo di roster che si ha a disposizione;
Dal livello di conoscenza della pallacanestro dei propri giocatori
(magari una squadra esperta riconosce più facilmente le situazioni di gioco);
dal vissuto insieme della propria squadra
(una squadra nuova ha probabilmente più bisogno di lavorare sulle proprie situazioni).
Ci sarebbe, appunto, da scrivere diversi articoli per esprimere meglio i vari punti di vista!
Idea su come agevolare la memorizzazione delle situazioni di gioco d’attacco della squadra avversaria.
Il grosso del lavoro è ovviamente svolto dallo staff nei giorni precedenti, spesso anche nella settimana precedente, rispetto al momento in cui si decide di esporlo alla squadra.
Dopo aver analizzato diverse partite, si esegue lo scout dei giochi degli avversari, si opera dello screening e si decide cosa proporre.
Normalmente è la seconda parte della settimana il momento in cui vengono trasferite le informazioni, anche se personalmente, preferisco, dalle primissime ore di allenamento, estrapolare un paio di situazioni di attacco degli avversari e lavorarci su
(in questa fase parliamo di lavori a secco, arrivando al massimo al 2 vs 2, senza specificare le chiamate o l’intera esecuzione del gioco!).
In pratica si lavora su PRINCIPI.
Entriamo, ora, nel vivo del trasferimento delle informazioni ai giocatori
Ogni allenatore, ogni staff tecnico, ha un suo modus operandi, per me, come dicevo prima, molto dipende anche dal tipo di squadra che si sta allenando.
Primo momento
Preferisco, a metà settimana, lavorare in maniera analitica (non oltre il 4 vs 4) “spezzettando” i giochi avversari e focalizzando l’attenzione dei miei giocatori solo sul movimento:
Tutti i giocatori proveranno attacco e difesa, mostrando le varie opzioni del set offensivo.
Rinforzeremo le nostre scelte anche facendo riferimento alle caratteristiche individuali degli avversari, dando gli accoppiamenti.
In questo caso si chiederà al giocatore di memorizzare anche la chiamata.
Di quanti giochi?
Avendo lavorato molto per obiettivi durante la settimana non voglio siano troppe le chiamate da ricordare,
preferisco un maggior sforzo circa il riconoscere la situazione di attacco e quindi operare la scelta difensiva allenata!
In ogni caso, dalla prima riunione incentrata sui giochi avversari, si fornisce anche del materiale in cui vengono disegnati i movimenti avversari, oltre a ritrovarli nello spogliatoio affissi nelle varie bacheche.
Conclusione
All’inizio della mia carriera l’unico metodo era distribuire del materiale cartaceo, dove oltre i disegni vi erano anche spiegazioni circa le varie scelte.
Ora si utilizzano applicazioni, software, che permettono lo sharing dei montaggi video (lavoriamo sempre di più con giovani abituati più a vedere che a leggere.. è fondamentale adeguarsi!).
Questa è solo una proposta di lavoro.
Proposta da modellare sulle qualità degli avversari e soprattutto sulle capacità della propria squadra, ma mi piacerebbe, invero,
Il sacerdote e i chierichetti sono nella sagrestia, prima che inizi la funzione religiosa.
È domenica: dalla porta principale della chiesa il vociare è sempre composto data la sacralità del luogo, ma nella sagrestia arriva lo stesso quel brusio tipico di quando la gente riempie i banchi.
La gente, quella massa che non riesci mai a distinguere quando stanno tutti assieme che sembrano formare un tutt’uno, quando non è ancora diventata una massa, la avverti, pure in un…
luogo di raccoglimento come quello.
Lo spogliatoio di una squadra di basket prima della funzione (pardon, prima della partita), ha molto di quel raccoglimento.
Questo luogo inviolabile e invalicabile a chi non fa parte di una ristretta cerchia di eletti, è uno dei luoghi più delicati, importanti e simbolici dello sport, sia di squadra che individuale.
Naturalmente le dinamiche tra sport individuale e di squadra sono diverse, ma quei muri, quelle panche e quegli armadietti, quegli attaccapanni e quella porta che delimita il confine, hanno visto e udito cose inenarrabili. Le hanno udite anche quando dentro quelle mura non parlava nessuno.
Il rito del pre-partita è uno dei momenti che nel basket, e in pochissime altre discipline, assume una sacralità totale. Più la partita assume un significato, più quel rito si fa intenso, assoluto, liturgico.
Il sacerdote che deve dare le disposizioni, nel basket si chiama in un altro modo, all’italiana è l’allenatore, ma è sempre più usato il nome di coach. Coach è la guida – ed è proprio una guida, in tutti i sensi il ruolo che lui esercita.
In genere il coach non è, come forse si può pensare, quello che tiene le chiavi dello spogliatoio, anzi è bene che si accosti a quel luogo anche lui con il rispetto che si deve a coloro i quali sono i veri protagonisti della funzione sportiva, che sono ovviamente i giocatori.
Lì dentro, dentro quella che è la loro casa temporanea, ciascun giocatore deve avvertire il suo spazio come se fosse il proprio habitat, egli deve contrassegnare il proprio territorio e sapere che nessuno – neppure il Coach – potrà usurparlo.
È una questione di sentirsi a proprio agio – una delle condizioni essenziali perché la sua prestazione sia ottimale. Non c’è giocatore al mondo che possa giocare bene, allenarsi bene, avere un buon rapporto con sé stesso, con i compagni e con lo staff, se non trova dentro quel rifugio una condizione di assoluta padronanza.
Il coach è bene che chieda permesso prima di entrare, non solo se si tratta di squadra femminile – lì scattano altri meccanismi -, ma anche se si tratta di una squadra di uomini, adulti o ragazzi che siano.
È un’antica forma di rispetto quella che deve usare, è anche attraverso questo simbolismo che lui dà il messaggio di non oltrepassare a suo piacimento quella linea immaginaria che separa il ruolo di guida dalla considerazione che deve avere per ciascuno dei suoi atleti.
Ci sono codici che non si imparano in nessun corso, che nessuna regola ti impone, ma che sono scritte indelebilmente dentro un rapporto trigonometrico: allenatori – staff -giocatori, che ha le sue regole precise, al violare delle quali si perde qualcosa dentro quelle formule che mantengono in equilibrio la cosa più delicata che vige all’interno di un team: il rispetto reciproco dei ruoli.
E poi, quando alla fine, lui varca quella porta, e la sacrestia si prepara alla funzione che avverrà poco dopo, è lì che il miracolo eucaristico dello sport trova la sua più intensa realizzazione.
Una volta usciti tutti assieme, la squadra ha perso le sue singole individualità e si trasforma in una macchina perfetta nella quale ciascuno ha un compito preciso.
La gente – quella massa indistinguibile che nel frattempo ha preso posto sui banchi – a quel punto, saprà che il rito è pronto per il suo compimento.
In questo articolo affronterò un aspetto del mio lavoro che ritengo avere un significato ed un’importanza fondamentale nell’organizzazione e nella realizzazione di una stagione lavorativa: il lavoro svolto ancora prima dell’inizio del raduno.
Faccio riferimento ad un periodo di circa 2 mesi, immediatamente dopo la formazione dello staff tecnico e ben lontani dal campo e dalla palestra in cui la conoscenza e l’intesa tra il capo allenatore ed i suoi assistenti viene affinata e, dalla quale, attraverso il confronto, vengono pensate e gettate le fondamenta della squadra.
L’allenatore, di concerto con i suoi collaboratori,…
stabilisce le linee guida sia tecniche che gestionali, l’organizzazione delle settimane lavorative, il numero di allenamenti, gli orari, il numero degli atleti del settore giovanile aggregati alla prima squadra, in particolar modo, durante il periodo della preparazione pre – season.
Tanti sono gli incontri, anche con i dirigenti che lavorano a più stretto contatto con lo staff, con il fine di creare un corpo unico, punto focale per il raggiungimento degli obiettivi.
Le riunioni e l’organizzazione del lavoro sulle quali in questo contesto voglio porre maggiormente l’attenzione e sottolineare, avendo un ruolo fondamentale per la riuscita positiva della stagione, sono quelle che avvengono nei primissimi giorni dopo la formazione dello staff: la scelta del roster.
È un momento molto delicato, dove gli eventuali errori che possono verificarsi nella scelta dei giocatori, si ripercuoteranno con conseguenze negative per tutto l’anno; sbagliare la chimica di una squadra può essere fatale, non avendo tempo per porvi rimedio.
In uno sport di squadra, in questo caso la pallacanestro, ma, passatemi la mia affermazione critica “a causa della presunta -cultura- sportiva italiana”, il risultato deve essere immediato.
Si parla di pochi mesi se non settimane e, molto spesso, non si ha nemmeno il tempo per rimediare ad un errore di costruzione pagando con il posto di lavoro, il cosiddetto ESONERO.
Ciò nonostante è un lavoro molto stimolante, dove si uniscono speranze e convinzioni, dove nelle menti degli allenatori e dei suoi assistenti si forma il disegno del team e di come si vorrebbe che si giocasse.
Si visionano parecchi video, è il momento in cui si traggono i frutti di un lavoro che ormai tutti gli allenatori e gli assistenti svolgono durante l’anno, il lavoro di scouting!
Ognuno ha il suo sistema per dar vita ad un vero e proprio database.
I giocatori vengono divisi in base ai ruoli, alla nazionalità o in altri casi per passaporto, in base ai campionati in cui hanno giocato, per poi assegnarli un giudizio sulle proprie caratteristiche e sulla loro possibile adattabilità al campionato.
Discorso leggermente diverso per gli atleti seguiti da diversi anni, a cui viene assegnato, oltre a quanto detto prima, anche un giudizio riguardo i loro miglioramenti e la loro crescita. Può verificarsi che non sono adatti o pronti in un determinato anno, ma che diventano i prescelti per un altro.
É il momento di intensificare, con cadenza quotidiana, i contatti con le varie agenzie di procuratori che forniscono le loro liste di giocatori e i video dei loro assistiti. È il momento di continui confronti e di redarre report da presentare ai dirigenti responsabili.
Giornate lunghe, spesso finiscono a notte fonda, alcune positive, molte altre deludenti per non essere riusciti a “firmare” un obiettivo, ma sempre utili per accrescere le proprie conoscenze in termini di giocatori.
Negli ultimi anni la difficoltà di reperire video e immagini di giocatori è notevolmente ridotta. Non è più una sorpresa ritrovarsi a visionare highlights o partite con poco significato. Qui la critica, sempre costruttiva, è verso i procuratori che, nel tentativo di promuovere i loro clienti , esaltano in maniera troppo evidente le gesta, rischiando di essere poco attendibili e funzionali alla causa.
Credo, invece, sia importante verificare anche il perché un determinato giocatore abbia giocato male e in che modo sia stato messo in difficoltà.
Per ovviare un pò a questa problematica entra in gioco la rete di contatti con altri colleghi o dirigenti di fiducia che ogni allenatore deve avere per poter prendere informazioni (reciproche) anche e soprattutto personali su un possibile acquisto.
La differenza, in un gioco di squadra, la fa il gruppo, la chimica che si riesce ad instaurare, insomma: il giusto equilibrio tra ruoli e uomini.
L’assistente deve operare una prima scrematura dei vari profili da sottoporre al capo allenatore e al manager e tutto ciò richiede una totale fiducia nelle capacità del collaboratore. Da qui la necessità di scoutizzare in maniera autonoma i giocatori e di redigere report precisi che forniscano una valutazione ben codificata (si possono usare punteggi, stelline e stilare classifiche ruolo per ruolo).
É fondamentale, quindi, il confronto sincero e schietto, in alcuni casi anche intenso, ma sempre nel rispetto dei ruoli e degli obiettivi comuni.
Fatta la squadra, si prendono contatti con i giocatori singolarmente, fornendo loro utili informazioni tecniche e tabelle di lavoro personalizzato affinché si presentino al raduno già con una condizione generale “accettabile”. Il tempo è tiranno in molti casi come in questo.
Ultimo aspetto a cui voglio far riferimento è l’organizzazione delle amichevoli e dei tornei preseason, lavoro più arduo di cui si possa pensare.
Negli ultimi anni si deve sempre più convivere con esigenze economiche restrittive nel trovare non meno di 10 partite amichevoli prima del campionato, ricerca che impiega molto tempo e fatica.
Anche in questo caso i contatti con colleghi e dirigenti ci vengono in soccorso, ed è bene mantenerli ed alimentarli durante tutto l’anno, sia per una miglioria reciproca che per interessi lavorativi di entrambi.
Spero sia stato in grado di far capire che mole di lavoro bisogna affrontare, dove si avverte la responsabilità di ciò che si sta facendo, si ha la percezione di dover sbagliare il meno possibile e, aspetto quasi incredibile, è un lavoro che molto spesso le società di appartenenza non riconoscono contrattualmente.
Infatti, nella maggior parte dei nostri contratti, si fa riferimento al raduno come inizio della stagione, dimenticando di tutto ciò che viene prima, che, come più volte sottolineato, ha un valore estremamente importante.
Credo sia il periodo lavorativo più condizionante, in cui si pongono le basi affinché si possa avere una stagione di successo.