La Pallarmonica è qualcosa che va oltre lo sport e oltre l’intrattenimento fine a sé stesso.
È, più di ogni altra cosa, un messaggio.
Nasce all’interno di una scuola, ed è lì che questo messaggio acquista una valenza ancora più significativa. Perché, è vero,…
…ci sono tutte le componenti di una disciplina sportiva.
Squadra A, Squadra B, una palla e una rete nel mezzo.
È una cosa che abbiamo visto tante volte. Il tennis, la pallavolo, eccetera.
Ma stavolta è diverso.
Nella Pallarmonica viene esaltato, fino a farne una regola,
Non si può tirare la palla al di là della rete se non stando uniti, creando un contatto tra i giocatori in campo.
E si sa, i messaggi hanno spesso più forza delle imposizioni.
E così i giovani giocatori devono entrare in contatto tra di loro se vogliono realizzare il punto.
Non crediamo sia una cosa di poco conto.
In questa epoca di individualismo esasperato in cui ci troviamo, avere la possibilità di far praticare ai ragazzi un gioco che esalti le finalità collettive prima di quelle individuali, pare una piccola rivoluzione.
E le rivoluzioni hanno sempre avuto lo scopo di cambiare quello che c’era prima.
La Pallarmonica, come il nome stesso suggerisce, pratica l’armonia, lo spirito di squadra, a tutto svantaggio della pratica individualista.
Russell Ackoff, massimo studioso e pioniere nel campo delle scienze della complessità e del pensiero sistemico, esprime in questo video (estrapolato da un discorso molto più ampio) alcuni dei concetti fondamentali del pensiero sistemico. Pensiero che si oppone all’approccio riduzionista, al processo di semplificazione dei fenomeni, attraverso il quale spesso ci illudiamo di comprendere la realtà che ci circonda ma in realtà non facciamo altro che crearne un surrogato adatto alle nostre esigenze, al nostro modo di intendere le cose, che spesso, o quasi mai, corrisponde a quanto realmente avviene intorno a noi.
Ritengo che il pensiero sistemico debba essere il presupposto da cui partire, le fondamenta sulle quali costruire il proprio percorso da allenatore. Un percorso tortuoso, tutt’altro che lineare, pieno di imprevisti che vanno accettati perché parte integrante della realtà in cui viviamo.
Allenare significa accettare la complessità dei fenomeni e conviverci, tracciando un percorso a matita, pronti al continuo ri-modellamento sulla base di quella che sarà la nostra continua crescita nella comprensione di ciò che avviene intorno a noi.
Nella parte finale del suo discorso, il professor R. Ackoff dal concetto di complessità si sposta a quello di qualità. Un concetto spesso bistrattato e poco compreso.
La qualità, ci dice Ackoff non può prescindere dal valore. E questo a mio avviso, da allenatori che hanno a che fare spesso con ragazzi giovani e anche molto giovani, dobbiamo sempre tenerlo a mente.
La qualità del nostro percorso da allenatori non può e non deve essere misurata solo sulla base dell’efficienza (risultati) ma anche e soprattutto dai valori che promuove, nell’ottica del raggiungimento di obiettivi molto più grandi e importanti di quelli della semplice vittoria di un campionato.
Ho diviso in alcune parti il discorso di R.Ackoff e di seguito riporterò quanto espresso dal professore durante il suo convegno.
COS’È UN SISTEMA?
“La ragione del fallimento (il professore si riferisce ai processi di miglioramento della qualità dei servizi all’interno delle organizzazioni) è principalmente il fatto che non sono stati inglobati nel pensiero sistemico. Sono stati un’applicazione anti-sistemica. Ora lasciatemi spiegare cosa questo significhi.
Il sistema è un “tutto” che consiste in diverse parti ognuna delle quali può influenzare il suo comportamento o le sue proprietà. Voi per esempio siete un sistema biologico chiamato “organismo”, e voi siete costituti da parti, il cuore, i polmoni, lo stomaco, il pancreas, ecc e ognuna di queste può influenzare il vostro comportamento o le vostre proprietà.”
PARTI INTERDIPENDENTI
“Il secondo requisito è che ogni parte quando influenza il sistema dipende, per il suo effetto, da alcune altre parti del sistema, in altre parole, le parti sono inter-dipendenti. Nessuna parte del sistema, o nessun insieme di parti, hanno un effetto indipendente su di esso. Quindi il modo in cui il cuore ti influenza dipende da cosa stanno facendo i polmoni, da cosa sta facendo il cervello. Le parti sono tutte interconnesse; quindi un sistema è un “tutto” che non può essere diviso in parti indipendenti.”
LA PROPRIETÀ DEL “TUTTO”
“Le proprietà essenziali di tutti i sistemi sono proprietà che ha il “tutto” ma che nessuna della singole parti che lo compongono ha. Per esempio, un classico esempio di sistema elementare con il quale siete abituati ad avere a che fare è l’automobile: la proprietà principale di un’automobile è quella di saperti trasportare da un posto all’altro.
Nessuna parte dell’automobile può fare questo.
Le ruote non possono, l’asse non può, i sedili non possono, il motore non può! Il motore non può trasportarsi da solo da un posto all’altro! Ma l’automobile può.
Voi avete alcune caratteristiche tra le quali la più importante è la vita. Nessuna delle vostre parti vive, voi possedete la vita. Voi potete scrivere, la vostra mano non può scrivere; è facile da dimostrare, tagliatevi la mano, mettetela sul tavolo e guardate cosa riesce a fare! Niente! Voi potete vedere, i vostri occhi no, voi potete pensare, il vostro cervello no.”
IL TUTTO È MAGGIORE DELLA SOMMA DELLE SINGOLE PARTI
E quindi, quando un sistema viene diviso in parti perde le sue proprietà essenziali”
Se dovessi portare un’automobile in questa stanza e smontarla, anche se avessi tutte le singole parti non avrei comunque un’automobile!
Perché il sistema non è la somma dei comportamenti delle sue singole parti, ma il prodotto delle sue interazioni.
MIGLIORARE LE PRESTAZIONI DEL SISTEMA
Se avete un sistema di miglioramento che è diretto a migliorare le singole parti separatamente, potete essere assolutamente certi che la performance del “tutto” NON migliorerà.
La performance del sistema dipende da come le sue parti interagiscono, e non da come agiscono separatamente.
CREATIVITÀ È DISCONTINUITÀ
“La creatività è discontinuità! Un atto creativo rompe con la catena che l’ha preceduto. Non è continuo.”
Su questo concetto vorrei esprimere una mia personale considerazione sperando di stimolare qualche riflessione in merito.
Creativo è il giocatore che “rompe gli schemi”.
La creatività non è solo fantasia, non è una dote esclusivamente innata, ma è anche e sopratutto efficacia.
Risolvere problemi attraverso diverse strategie, anche le più stravaganti, questa è la creatività. E va allenata. E il modo migliore per farlo è consentire agli atleti d’interpretare le situazioni, di scegliere, di assumersi responsabilità, di sbagliare.
Creare è rompere con la routine, è “fare diversamente”. Da allenatori riserviamo degli spazi di allenamento per allenare questa caratteristica?
Se creare è rompere con la continuità, credo che una volte per tutte dovremmo smettere di pronunciare la frase “si è sempre fatto così”.
La frase peggiore, la più stupida, l’espressione più riduttiva e limitata di chi non vuole progredire. Creativo è colui che rompe con la continuità ci dice Ackoff, altro che continuare a fare quello che è sempre stato fatto.
FARE LE COSE BENE NON EQUIVALE A FARE LA COSA GIUSTA
“Quando noi guardiamo ai modelli di qualità e frequentemente lo facciamo guardando i Giapponesi e cosa hanno fatto con le automobili, non ci sono dubbi che loro abbiano migliorato la qualità dell’automobile. Ma è una tipologia sbagliata di qualità.
Peter Drucker ha fatto una distinzione fondamentale tra “fare le cose bene” e “fare la cosa giusta”. I giapponesi stanno facendo le cose bene, ma stanno facendo la cosa sbagliata. Fare bene la cosa sbagliata non è altrettanto positivo come fare male la cosa giusta.
Voi vedete come le automobili stanno distruggendo la vita urbana intorno a noi. Visitate solo Mexico City o qualsiasi altra delle più grandi città dove trovate grande traffico e il livello di inquinamento è cosi alto che i ragazzi devono essere tenuti a casa da scuola poiché non gli è consentito di uscire fuori di casa a causa dell’intensità dell’inquinamento. E poi noi parliamo della qualità delle automobili che guidiamo.
Una corretta educazione al movimento divergente non mira a far correre il più velocemente possibile o a saltare il più in alto possibile ma…
…tende a sviluppare tutte le possibilità motorie della persona sin dalla sua infanzia migliorando le sue capacità relazionali, espressive e creative e avvicinandola al sentire le proprie emozioni.
Iniziare un’educazione in questo senso implica la massima autonomia di sperimentarsi in movimento, in modo che aumentino i propri vissuti motori, si delinea così l’attuale corpo in movimento.
L’immensità del bambino
Ogni bambino è un universo, ricco di:
curiosità,
idee,
interessi,
movimenti,
che va ascoltato singolarmente per fargli scoprire l’armonia tra il suo sentire, pensare e agire.
La voglia del bambino di esprimersi creativamente stimolerà le sue energie interiori.
L’ambiente in cui vive favorisce o inibisce questo processo.
Il secondo ambiente dopo il corpo di cui bisogna avere cura è il quartiere in cui si risiede che dovrebbe avere uno spazio attrezzato e vigilato dove i bambini possano giocare e socializzare.
Non si tratta di dare una verniciatura alle vecchie facciate ed un’aggiustatina generale, ma di cambiare completamente il rapporto con l’esterno valorizzando la strada.
La finalità dei giochi tradizionali
Il recupero dei giochi tradizionali di quartiere ha una grande valenza educativa, il bambino diventa protagonista attivo della sua città.
Nei quartieri soffocati dal cemento, dove ci sono palazzi addossati l’uno all’altro, dove non c’è luce, si ha un maggiore tasso di delinquenza. Il sorriso che il gioco regala è un antidoto contro l’aggressività.
Nell’educazione alla creatività, oltre a consegnare il gioco ai bambini, bisogna costruire loro anche un ambiente dove possano praticarlo.
Le finalità degli esercizi sono:
arrivare a sentire il proprio corpo, a saperlo ascoltare
acquisire naturalezza e spontaneità nel movimento
ritrovare la spensieratezza e il divertimento nel giocare con gli altri
migliorare le capacità relazionali con se, con lo spazio e con il gruppo
esplorare le potenzialità espressive e creative.
Il laboratorio per il movimento divergente inizia con alcuni esercizi di libera esplorazione che stimolano l’organizzazione del sistema nervoso centrale.
La libera esplorazione
La cosa importante da fare è evitare forzature ed esercizi obbligati, ma è necessario lasciare il corpo libero di esplorare tutte le possibilità motorie, di trovare attraverso libere prove ed errori il suo adattamento migliore.
La finalità è portare verso l’esterno il proprio mondo interiore, è questo il significato della parola “espressione”.
La libera esplorazione è una risposta del proprio corpo agli stimoli dell’ambiente, si sperimenta il modo in cui gli oggetti entrano in rapporto tra loro e già in questa fase si ha subito creatività.
E’ evidente che ognuno vede e sperimenta le relazioni in modo diverso ed originale rispetto ad un altro:
è fondamentale partire dal movimento spontaneo come è pure importante educare al rispetto dello spazio motorio dell’altro.
Agli esercizi di esplorazione motoria vanno associati poi quelli percettivi, di interiorizzazione del proprio corpo.
Il raffinamento percettivo arricchisce il rapporto con gli altri linguaggi espressivi.
Il corpo è la nostra casa farmaceutica su misura, è il primo ambiente salutare in cui siamo inseriti, una casa definitiva, non in affitto, è l’ambiente più adatto che madre natura ha dato ad ognuno di noi.
Questa casa va rispettata, curata, conosciuta, ma soprattutto rispettata senza accanirsi in complicate ristrutturazioni.
Educazione alla creatività motoria
L’educazione alla creatività motoria deve realizzarsi da subito considerando che nei primi otto anni di vita il cervello è in grado di assorbire nel migliore dei modi, senza sovrastrutture e meccanismi di difesa, le stimolazioni provenienti dall’ambiente esterno.
Nel bambino fino ad otto anni germogliano nuove fibre nervose nella corteccia frontale, che pianificano le azioni.
Questo permette ai neuroni di creare nuove connessioni e di sperimentare la loro flessibilità.
Tutti sono naturalmente predisposti ad essere creativi, ma per poterlo diventare veramente è bene esercitarsi in modo da svegliare i neuroni assopiti ed attivare così nuovi collegamenti cerebrali.
Le animazioni che stimolano la creatività motoria sono infinite, importante è cambiare spesso attività e provare nuove situazioni suggerite dal gruppo classe.
Il cerchio
Proprio per ascoltare tutti è necessario stare spesso in cerchio.
Il cerchio ha un valore fantastico perché in esso si ha la possibilità di osservare ognuno e di trasmettere agli altri le tensioni creative che si vivono.
Conclusione
Per iniziare gli esercizi-gioco bisogna imparare a vedere la realtà non dando niente per scontato.
Dobbiamo pensare che i nostri movimenti non sono solo quelli che ogni giorno meccanicamente ripetiamo, ma che ce ne possono essere altri.
Impariamo a scarabocchiare i nostri movimenti e vediamo cosa ne esce fuori; molte opere d’arte sono nate così.
La cosa importante è pensare con i propri pensieri ed agire con i propri movimenti.
che non fanno il minimo sforzo per comprendere le criticità di unadual career
scarsità di tempo,
stanchezza fisica e mentale,
frequenti spostamenti
né per venire loro incontro concedendo flessibilità sufficiente per conciliare le due vite.
Nel mondo della scuola, anche del lavoro, l’ostacolo maggiore all’integrazione degli studenti-atleti è rappresentato dai pregiudizi nei loro confronti.
È molto diffuso il cosiddetto stereotipo “dell’atleta stupido”: la maggior parte dei professori cioè pensa che se un ragazzo si impegna tanto nello sport, allora lo studio non fa per lui.
Il pensiero inverso è diffuso tra gli allenatori, i quali pensano che se si dedica troppo alla scuola, non riuscirà a prepararsi a sufficienza per le gare.
Su quali basi scientifiche si fonda questa idea?
Nessuna!
Anzi si potrebbero fare molti esempi che è vero il contrario.
Si tratta, quindi, di una convinzione culturale, a priori e profondamente sbagliata, diffusissima in Italia, che impedisce una dual career serena.
La parzialità?
Un’altra credenza diffusa riguarda l’idea del “favoritismo”.
Finalmente negli ultimi anni a livello ministeriale sono stati presi dei tiepidi provvedimenti per sostenere gli studenti-atleti, ma molti docenti e dirigenti ostacolano i progetti perché li vedono come un favoritismo rispetto agli studenti che portano avanti un solo percorso di vita.
Prendendo in esame alcuni importanti documenti, è facile dimostrare come questa idea sia scorretta e che, al contrario, gli studenti-atleti si vedono negati i propri diritti di esseri umani, cittadini e studenti.
“L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana e al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.”
Il diritto allo studio è definito come diritto di tutti, ma la verità è che nella quotidianità non è riconosciuto ai giovani atleti poiché, senza la comprensione di dirigenti scolastici e professori, spesso sono costretti a compromettere la loro istruzione per raggiungere i vertici nello sport.
Ne consegue che ogni individuo è libero di perseguire il proprio sviluppo come meglio crede senza per questo essere discriminato.
Ancora, l’articolo n. 34,
“la scuola è aperta a tutti”,
introduce il principio di uguaglianza di opportunità educative, a prescindere da qualsiasi differenza.
Purtroppo nella realtà avviene di frequente che gli atleti vengano discriminati per la loro scelta di vita, spesso proprio dalle figure che maggiormente dovrebbero sostenerli (insegnanti, allenatori, datori di lavoro).
La Legge di Riforma 53/2003 sottolinea il diritto di tutti gli alunni alla personalizzazione dei percorsi di apprendimento.
Di nuovo, si tratta di un diritto del quale devono godere tutti gli studenti, nessuno escluso.
Altre norme
È possibile rintracciare anche norme più specifiche come la direttiva del 27 dicembre 2012 che
I cosiddetti BES sono ragazzini che si trovano a vivere, per un tempo più o meno lungo e per qualsiasi motivo, una situazione che li ostacola nell’apprendimento e nello sviluppo.
Gli studenti-atleti rientrano a pieno titolo in questo gruppo di allievi.
La dual career, infatti, è un percorso che, sebbene comporti molti benefici, si accompagna anche a notevoli difficoltà le quali, se non adeguatamente fronteggiate, possono tradursi in disagio psico-fisico e/o in abbandono della carriera scolastica o sportiva.
Nonostante ciò ancora oggi l’inclusione viene in genere rivolta soltanto agli allievi che presentano svantaggi motori e/o cognitivi, economici o sociali.
Al contrario, come definito nell’ Index per l’inclusione:
“l’inclusione si riferisce all’educazione di tutti i bambini, ragazzi con BES e con apprendimento normale”
perciò ne consegue che la scuola deve essere un ambiente che risponde ai bisogni di tutti i suoi utenti.
Ogni ragazzo deve avere il diritto di sviluppare tutte le sue potenzialità, mentali ma anche pratiche, fruendo allo stesso tempo dei percorsi didattici grazie ai quali potrà godere di un positivo inserimento nel tessuto sociale, civile e lavorativo.
Conclusione
Infine, se per gli alunni stranieri o con svantaggio socio-economico è riconosciuta e prevista a livello nazionale la stesura di un Piano Didattico Personalizzato, gli atleti, che godono degli stessi diritti di qualsiasi altro studente, devono avere la possibilità, non passeggera e legata a una sperimentazione come accade attualmente, di vedersi redatto un Progetto Formativo Personalizzato.
In modo che individui tutte le criticità della loro condizione, a partire dalle assenze superiori alla media fino ad arrivare al tempo limitato da spendere nello studio individuale.
La richiesta di maggiore comprensione e flessibilità in presenza di una doppia carriera non nasce dal desiderio di avvantaggiare gli sportivi ma ha come obiettivo quello di rispettare le leggi italiane, restituendo loro quello che è un diritto di tutti gli allievi:
Insegnare a insegnare deve essere una componente fondamentale dell’azione dei docenti universitari.
E’ assodato che ogni Docente ha cercato e cerca di sviluppare “le proprie tecniche” per svolgere al meglio questo compito.
Nella maggior parte dei casi ha costruito la propria competenza in solitudine, oppure partecipando a Seminare e a Corsi di formazione.
L’Università non lo ha aiutato molto e non gli ha fornito gli elementi necessari per insegnare.
Bisogna “crescere” nella formazione, formare deve essere l’obiettivo per ogni Docente universitario!
In Università manca un momento di confronto comune con i colleghi:
uno scambio di idee sulle metodologie adottate,
una condivisione di pratiche e strumenti utili a innalzare la qualità della didattica e dell’apprendimento degli studenti.
INSEGNARE A INSEGNARE ATTRAVERSO LA DIDATTICA
Insegnare a insegnare deve essere il MANTRA in Università, per chi deve formare chi ha scelto di Insegnare a scuola, nello sport e nel mondo della disabilità.
Un Mantra che mira a rafforzare le competenze didattiche dei Docenti Universitari (Formatori), per innalzare la qualità degli insegnamenti e incoraggiare una didattica innovativa.
Si deve fare affidamento alle più recenti teorie della ricerca in campo didattico:
puntare alla centralità di chi apprende, attraverso modelli riflessivi (“reflective learning”)
esperienziali (“experiential learning”)
trasformativi (“trasformative learning”).
I PRINCIPALI OBIETTIVI
Ad esempio gli obiettivi fondamentali da fornire ai futuri Insegnanti durante le lezioni sono:
fornire loro le competenze di base per
progettare, condurre, comunicare e valutare l’attività di insegnamento e apprendimento svolta in aula;
costruire una comunità professionale che, interagendo attivamente al suo interno,
elabori, approcci, strategie, metodologie e pratiche volte a migliorare costantemente la propria pratica didattica.
La laurea ti abilita all’insegnamento?
La laurea non ti abilita all’insegnamento.
Sarebbe molto utile predisporre, post-laurea, un Corso di preparazione all’insegnamento per chi insegnerà nella Scuola Primaria, nella Scuola Secondaria oppure a livello universitario.
Pertanto basta con le lezioni frontali, con gli esami a crocette, con materie che servono a poco, con il didatticismo.
E’ opportuno attuare un percorso formativo che si struttura secondo un’organizzazione modulare costituita da temi importanti quali:
incontri frontali condotti in forma interattiva;
workshop pratici finalizzati alla sperimentazione di procedure, tecniche e strumenti per l’azione didattica;
valorizzazione delle disabilità e i percorsi da attuare.
Proposta formativa
Questa proposta formativa deve essere un impegno delle Università per cambiare gli ordinamenti delle materie contemplate nel percorso degli studi.
Deve essere rivolta a tutti i Docenti interessati a migliorare la qualità didattica e professionale attraverso:
progettazioni di corsi di insegnamento a seconda della scuola;
in F.I.B.A. in qualità di Formatore degli Istruttori Minibasket;
migliaia di Corsi di Formazione, Clinic, Convegni, Forum in Italia e nel mondo;
vi presento alcune Regole fondamentali da seguire maturate in questi anni di esperienza diretta.
Cercare di superare la paura di parlare in pubblico
Per superare questo ostacolo ci si deve allenare costantemente e grazie all’esercizio continuo, “il parlare in pubblico” diventerà un piacere e non un’angoscia. Nella maggior parte dei casi il timore di affrontare la platea è legato all’inesperienza.
Lo stress colpisce soprattutto i neofiti che si sentono inadeguati in quella determinata circostanza.
Occorre prepararsi in modo adeguato
E’ sbagliato imparare a memoria il discorso, ai fini di evitare improvvisi vuoti mentali e se si memorizza il discorso parola per parola, si rischia di dimenticare tutto non appena si inizia a parlare.
L’importante è avere in testa i “concetti chiave” da cui partire per elaborare un’esposizione efficace:
Organizzare il discorso in sequenza
Ogni discorso (che deve essere preparato precedentemente), per essere più chiaro ed efficace, deve essere “strutturato” secondo una sequenza basata sullo spazio, sul tempo o su specifiche tematiche:
l’atteggiamento mentale dell’oratore influenza anche quello degli ascoltatori.
Se l’oratore è indifferente, anche gli ascoltatori saranno indifferenti, quindi per suscitare sensazioni positive bisogna credere profondamente in ciò che si dice, mostrando spontaneità e sincerità.
Durante il discorso è importante raccontare le esperienze “vissute” e utilizzare supporti visivi.
Un segreto per “essere vincenti” e catturare l’attenzione del pubblico in sala, è quello di parlare del proprio “background”, raccontando alcuni episodi della propria esperienza personale.
Se si vuole “catturare” l’attenzione della platea, è importante puntare non solo sul valore delle parole, ma anche sulle emozioni che le immagini e i video trasmettono
Conclusioni
Queste sono le “mie” regole per parlare in pubblico, spero di avervi trasmesso un po’ più di sicurezza e determinazione!
Lo sfondo integratore è la migliore applicazione della didattica enattiva nella scuola dell’infanzia.
Ribalta la dinamica insegnamento – apprendimento in quanto pone lo studente nella condizione psicologica di dover capire per poter prendere parte alla vita della sezione o della classe.
La motivazione ad apprendere non è attivata e supportata da premi o da castighi, ma dalla necessità di crescere insieme ai…
…compagni e, soprattutto, con l’immagine adottata come sfondo.
Di solito si sceglie un personaggio fantastico che proviene dal mondo della fiaba, della fantascienza o della tradizione popolare.
Io ho scelto un giocatore di calcio fantastico:
Organizzazione e scenario
Organizziamo la classe come un pianeta a forma di palla che ci contiene tutti e dove possiamo ammirare come nel mondo che ci sostiene i magnifici tramonti, annusare il profumo dei fiori e apprezzare la bellezza di un arcobaleno.
In un piccolo punto della Terra, alla periferia del mondo è nato Pelè, un vispo bambino brasiliano.
A lui piaceva giocare con la palla, fatta arrotolando stracci o fogli di carta, ogni bambino è invitato a costruire il suo pallone appallottolando alcuni fogli di carta colorati.
Descrizione
Ogni pallone verrà scambiato perché Pelè non era egoista ma gli piaceva passare la palla.
Dopo aver esplorato la dinamica dei movimenti, quando si cammina, si accelera, quando si sta fermi o a riposo, si passerà a disegnare il protagonista.
L’insegnante leggerà lentamente la sua storia, ogni parola sarà scandita, quasi sillabata.
Si passerà poi ad osservare le illustrazioni del libro confrontandole con i disegni dei bambini.
Una volta letto tutto il racconto le parole saranno riviste e analizzate, per consentire a ciascuno di decodificarle.
Si potrà giocare con il suono e il tono della voce e saranno mimati tutti i movimenti della palla, per tradurre quelli poco comprensibili, alla ricerca dello stile ginga, l’azione tipica dei calciatori che sembrano danzare con la palla attaccata al piede.
Ogni bambino deve individuare le informazioni principali:
chi (il personaggio),
che cosa fa (le sue azioni),
quando (in che tempo),
dove (in quale luogo)
perché (per quale motivo)”.
Mimo e drammatizzazione
La storia sarà successivamente mimata e drammatizzata, riconoscendo la fondamentale valenza comunicativa di queste modalità di apprendimento, che si aprono, trasversalmente, all’educazione motoria, all’organizzazione spazio-temporale, all’equilibrio delle forze ed al rispetto degli altri.
Ampio spazio sarò dato alle sensazioni, alle percezioni, alla riproduzione di semplici sequenze ritmiche.
Le attività manuali
Di fondamentale importanza anche la fase di rielaborazione attraverso le attività manuali, prima libere e poi in forma guidata, con l’impiego di materiali diversi:
pasta di sale,
creta,
cera,
di riciclo creativo
per agevolare la riproduzione del personaggio nelle diverse fasi del suo gioco con la palla.
Conclusione
Le avventure del grande calciatore daranno colore, così, a tutte le fasi del processo di apprendimento che è partito dalla conoscenza del proprio corpo per arrivare alla rappresentazione mentale, attraverso:
la manipolazione e riproduzione dei movimenti della palla,
la gestione dello spazio e del tempo in relazione con gli altri,
l’analisi dei significati,
la riproduzione grafica,
l’interiorizzazione dell’esperienza,
la modifica dei comportamenti
la costruzione di nuove modalità di movimento con lo stile di gioco ginga.
Si può configurare, in sintesi, una esperienza completa che
La scuola italiana si appresta all’inizio delle lezioni in un’atmosfera di grande incertezza e preoccupazione.
Le rassicurazioni che il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi dispensa quotidianamente a piene mani sui Media, TV, Tgcom2, FB e Social, le sue strombazzate del tipo:…
Le scelte del governo sono?
E’ chiaro che le scelte del Governo non permettono ancora una volta un inizio delle lezioni sereno e sicuro, perchè:
Su nessuno di questi problemi fondamentali si sono fatti passi avanti significativi e pensare che il Governo ha avuto l’estate a disposizione per porvi rimedio.
E ancora
La “cabina di regia” ha concordato il “green pass” obbligatorio per:
il personale della scuola (Dirigenti, Insegnanti e Personale ATA e chi non è in regola sarà considerato assente ingiustificato e …… perderà lo stipendio);
i docenti universitari;
gli studenti universitari;
gli allievi delle scuole superiori con più di 16 anni.
Per quanto riguarda la vaccinazione obbligatoria resta aperta la discussione in merito al tampone (con prezzi calmierati).
L’ipotesi della gratuità dei test anti-Covid, spiegano fonti di governo, è stata scartata perché avrebbe potuto disincentivare i più giovani a immunizzarsi.
E allora cosa fa il Ministro MIUR Patrizio Bianchi?
Fa scattare disposizioni ipocrite come quella del metro (flessibile) di distanziamento,
così nessuno dei Dirigenti Scolastici sa come effettuare i tanti controlli previsti e soprattutto, ancora una volta, non è garantita la copertura di tutte le cattedre in autunno e forse fino a Natale.
Vuole creare un’app “ad hoc” per controllare il “green pass” degli Insegnanti e personale scolastico che funzionerà con un sistema a semaforo:
disco verde per chi è in regola;
quello rosso per chi ha il certificato scaduto.
Afferma inoltre:
“E’ tempo di fare una RIFORMA DELLA SCUOLA e non ho paura di usare questa parola.
Nel programma “Scuola d’estate” abbiamo messo molte risorse, soprattutto al Sud e abbiamo risposto a problemi specifici dei ragazzi.
Uno dei nostri punti di forza è stata l’inclusione sociale unita alla nostra tradizione umanistica, che siamo riusciti a “legare” ai nuovi approcci tecnologici.
Da questo partiremo quest’anno per fare un grande cambiamento”.
E bravo il Ministro, ha trovato la “formula magica”: Riformare la Scuola Italiana!
In questi ultimi anni sono cambiati tanti Ministri dell’Istruzione (a seconda dei “colori politici”) e ognuno ha parlato di riforme, di programmi (“La Buona Scuola, sic!), di ………, ma non è cambiato niente o quasi.
Conclusioni
Invece di controllare il “green pass” per il personale scolastico, sarebbe ora di:
costruire nuovi edifici scolastici;
creare classi aperte, funzionali, moderne, a misura di alunno, studente;
costruire nuove palestre, piscine e impianti polivalenti;
predisporre nuovi programmi “al passo dei tempi”, moderni;
preoccuparsi delle disabilità scolastiche e creare strutture idonee “ad hoc”;
migliorare i trasporti;
rivalutare la professionalità del personale scolastico (Dirigenti, Insegnanti e personale ATA).
Ma purtroppo quest’anno all’inizio della scuola si delinea la seguente situazione e …….. questo è il quadro che il Governo ci ha preparato una scuola:
meno sicura;
che colpisce il diritto allo studio dei ragazzi/e più fragili;
che registra carichi di lavoro fuori da ogni contrattazione per docenti e personale ATA;
IN ITALIA A LIVELLO GIOVANILE SI PRATICA POCA ATTIVITA’ SPORTIVA E L’ABBANDONO AUMENTA
In Italia, a 18 anni, meno di 1 adolescente su 3 pratica qualche attività sportiva o fisica e i tassi di sedentarietà sono da record.
Il problema è…
…il cosiddetto “drop out” (abbandono precoce) che inizia già a 11 anni:
a 15 anni meno di un ragazzo su 2 pratica attività sportiva continuativa,
a 18 la pratica poco più di uno su 3 e i tassi di sedentarietà nel nostro Paese sono tripli rispetto a quelli delle altre nazioni europee.
Per non parlare della Scuola Primaria dove il movimento
Dopo la Scuola Primaria
Dopo la Scuola Primaria i ragazzi italiani cominciano ad allontanarsi dalla pratica sportiva continuativa e ingrossano le fila dei sedentari.
A maggior ragione da marzo 2020 con la pandemia, che ha fatto crollare il gioco, il movimento, l’E.F. e ha aumentato di fatto la sedentarietà con conseguente aumento di peso, noia e ……. è meglio rimanere nella “bolla” di casa” e giocare con:
lo smartphone
il telefonino
la TV
Lo spartiacque
E se finora l’età spartiacque era quella tra i 14 e i 15 anni, negli ultimi anni si è osservato che il trend negativo comincia già a 10- 11 anni.
Infatti tra il 2018 e il 2019 la quota di ragazzi/e praticanti un’attività sportiva in modo continuativo è diminuita nella fascia d’età 11-14 anni, passando dal 53% al 60,4%, percentuale che tra i 15 e i 17 anni diventa del 52,5% e si assesta al 40,7%, tra i 18 e i 19 anni:
una parabola discendente preoccupante con il crescere dell’età!
Non abbiamo i dati dal 2020, ma sicuramente la percentuale è aumentata di sicuro!
L’abbandono e la sedentarietà
Preoccupante non è solo l’abbandono della pratica sportiva in età preadolescenziale e adolescenziale, ma quello che è pericoloso è l’elevato numero di sedentari assoluti, di coloro che non praticano nessuno sport, né alcuna attività fisica e questo fenomeno riguarda soprattutto le ragazze, in una percentuale che va dal 28% (tra i 15 e 17 anni) al 36% (tra i 18 e i 19 anni).
Per non parlare dei bambini!
Le nuove tecnologie
I sociologi, gli psicologi, i pediatri non hanno dubbi sui colpevoli del divorzio tra adolescenti e sport: le nuove tecnologie!
Infatti i giovani d’oggi trascorrono dalle 3 alle 4 ore al giorno davanti a uno schermo TV, computer o smartphone che sia.
Ma questo non basta a spiegare perché il tasso di sedentarietà degli adolescenti italiani sia più che triplo rispetto a quello dei loro coetanei europei (24,6% contro 7% nella fascia di età 15-24 anni), che non sono da meno dei ragazzi italiani nell’uso di tecnologie digitali, né per abilità né per tempo trascorso.
Alcune indagini svolte a “random” tra i giovani adolescenti in alcune città italiane, hanno evidenziato due principali motivi di abbandono sportivo:
uno legato all’eccessivo impegno richiesto dallo studio (56,5%);
l’altro riconducibile alle modalità di svolgimento dell’attività fisica.
Perché?
Queste le risposte relative all’indagine svolta: perchè
“fare sport è venuto a noia” (65,4%);
“costa troppa fatica” (24,4%);
costa troppo in termini economici (32%);
“gli Istruttori e gli Allenatori sono troppo esigenti”
e non sanno insegnare (19,4%).
Cosa bisogna fare?
Per riavvicinare gli adolescenti all’attività fisica e sportiva, bisogna offrire loro nuovi stimoli.
L’agonismo esasperato dei giorni nostri, le aspettative e le pressioni eccessive dei genitori e degli Allenatori, rischiano di allontanare i giovani dallo sport.
Occorre valorizzare di più l’attività fisica anche non strutturata e la pratica sportiva non agonistica e questa è una sfida che deve coinvolgere anche le Società Sportive.
E partire anche dai bambini?
E riscoprire la Multilateralità e il “giocare a tutto” e poi scegliere?
La Scuola
Ma il ruolo centrale di questa valorizzazione spetta alla SCUOLA, soprattutto in quella secondaria inferiore e superiore.
L’Educazione Fisica è parte integrante dello sviluppo psicofisico degli adolescenti:
lo sanno bene Paesi come la Francia che dedicano a questa attività il 15% dell’orario complessivo scolastico, percentuale che scende al 7% per gli studenti italiani.
Circa un terzo dei Paesi europei sta lavorando oggi a riforme che riguardano l’Educazione Fisica con interventi di vario tipo volti ad aumentare l’orario minimo, diversificare l’offerta, promuovere la formazione di coloro che la insegnano.
Per non parlare della Scuola Primaria e della “non importanza” dell’E.F. nel contesto delle altre Educazioni!
E in Italia?
Due ore di E.F. (scusate Scienze Motorie!) nella Scuola Secondaria di 1° e di 2° grado, poco o niente di Educazione Fisica (così giustamente si chiama) nella Scuola Primaria, niente nella Scuola d’Infanzia.
L’apprendimento è la nostra capacità di adattarci a situazioni diverse cercando sempre la soluzione adeguata.
Ogni risposta è la base di un nuovo apprendimento.
Apprendere è il verbo all’infinito più usato nella scuola perché è la finalità di ogni insegnamento, è il fratello gemello dell’altro verbo all’infinito imparare.
Apprendere, da ad-prehendere, significa acquisire, afferrare, catturare, se un ragazzo impara qualcosa quella diventa sua, gli appartiene, se ne impossessa, farà parte del suo…
…bagaglio culturale e non lo lascerà più, quella cosa insieme alle altre porterà alla costruzione di una nuova conoscenza che costruirà la sua persona definendola.
L’esempio
Infinite sono le possibilità di apprendere e l’apprendimento cooperativo è la modalità di insegnamento più adatta perché si basa sull’interazione all’interno di un gruppo di allievi che collaborano, cooperano, al fine di raggiungere un obiettivo comune.
Io ho imparato a portare la bicicletta senza rotelle e senza rompermi i denti a 4 anni, osservando e giocando con un mio amico della mia stessa età che la guidava con sicurezza, dopo che qualche giorno prima avevo frantumato i vetri del corridoio a casa.
Attività cooperativa non lavoro di gruppo
Con l’apprendimento cooperativo si insegna e si apprende insieme a, si fa squadra, svolgendo attività in coppie o terzetti, con un numero maggiore ci sarà sempre chi cerca di imboscarsi.
Nelle coppie e nei terzetti cooperativi la comunicazione è facilitata:
si sottolinea un testo ma anche si discute
si fanno insieme mappe o riassunti cooperativi
ci si esercita insieme
si ragiona o si scrive insieme
ognuno deve offrire il suo contributo altrimenti l’attività cooperativa non si potrebbe portare a termine.
L’attività cooperativa si differenzia dal lavoro di gruppo, dove a cooperare sono dai 4 studenti in su, perché in questo caso c’è un maggiore rischio di dispersione, sovrapposizione, con qualcuno che cerca di imboscarsi lasciando fare il lavoro agli altri.
Gli studenti si aiutano reciprocamente, sentendosi corresponsabili del reciproco percorso.
Il lavoro congiunto e il confronto con coetanei che vivono la stessa esperienza sono risorse preziose per la costruzione di una identità personale e sociale integrale.
Confrontandosi con il pensiero degli altri sulla base delle proprie idee e del proprio bagaglio esperienziale, anche gli studenti più impegnativi possono essere valorizzati come autori legittimi di conoscenza e acquisire la consapevolezza di essere considerati persone portatori di storie, interessi e finalità soggettive.
Tali risultati positivi sono più facilmente conseguibili quanto più l’insegnante prepara accuratamente le coppie e i terzetti.
Quando l’incoraggia ad impegnarsi in controversie e confronti di punti di vista piuttosto che a perseguire l’unanimità e il conformismo.
Percorrere una strada in un solo senso di marcia non permette il confronto e non ti fa apprezzare il paesaggio ma soprattutto impoverisce la costruzione di relazioni sociali.
John Dewey e Lev Vygotsky
Si potrebbe sinteticamente richiamare il pensiero di John Dewey e di Lev Vygotsky fortemente convinti che
Fondamentali sono le attività in coppia o terzetti possibilmente eterogenei, almeno per mezz’ora al giorno, dove non verranno stabiliti ruoli permanenti per consentire a tutti di scambiarseli in base alle diverse esigenze, tutti saranno leader e gregari.
Nel ciclismo ho sempre apprezzato il ruolo dei gregari quelli che stanno a fianco del loro compagno leader a cui tirano la volata, lui taglia il traguardo ma a vincere sono tutti insieme.
L’apprendimento cooperativo permette più facilmente di dimostrare le competenze acquisite in base alle proprie potenzialità.
Lo studente impara insieme al compagno ad utilizzare le sue conoscenze ed abilità in situazioni diverse perché nel confronto ha imparato a distinguerle.
Le occasioni
Studiare regolarmente in coppia o terzetti insegna a ragionare sui:
problemi da prospettive diverse
a riorganizzare il proprio modo di pensare
ad attribuire un nuovo significato alle proprie esperienze
a modificare i comportamenti
e questo implica una capacità di cambiamento e di adattamento che facilita una didattica veramente inclusiva.
Una scuola esclusivamente competitiva ed individualistica spinge gli studenti all’abbandono scolastico perché crea un ambiente ostile che non ispira fiducia.
Una scuola cooperativa ed altruistica spinge, invece, al confronto, alla relazione, alla comunicazione, al ragionamento, alla soluzione dei problemi, alla creatività, allo sviluppo delle idee.
L’insegnante avrà il compito di osservare, stimolare, orientare, facilitare la partecipazione di ognuno, senza mai offrire soluzioni preconfezionate, in modo che tutti possano apprendere.
In questo modo si sviluppa la competenza di convivenza civile strettamente legata all’intelligenza legata alla capacità di mettersi in relazione con il mondo e con gli altri.
La forma di intelligenza più importante quella che sviluppa l’abilità sociale, la caratteristica maggiormente richiesta in ogni curriculum.
La competenza non può compiersi fuori da un contesto relazionale.
L’intoppo
La difficoltà spesso è degli insegnanti che sono abituati, per tradizione ed esperienza personale, alla lezione di tipo frontale.
Nella maggior parte delle volte utilizzano un’unica modalità espressiva per trasmettere agli studenti informazioni e contenuti.
Si aggiunge, poi, a questa la loro inesperienza a lavorare in gruppo perché non sono stati formati all’insegnamento di squadra (team teaching).
Il modello è stato ed è spesso ancora questo:
l’insegnante ha un carico di sue conoscenze, lo scarica in classe, assegna agli studenti il compito di trasportare per un po’ il peso a casa per poi farselo riconsegnare senza nessuno sconto alla prossima fermata, la prova di verifica.
Conclusioni
La valutazione delle conoscenze acquisite si basa sulla restituzione fedele dello stesso carico.
Seppure la soluzione è intuitiva, basterebbe suddividere il carico in modo da renderlo più leggero tra gli studenti, quelli con le spalle più larghe potrebbero aiutare i più gracili chiedendogli solo di aiutarli con le forze che possono impegnare.
Il segreto è che tutti devono metterci almeno una mano.
In questo modo vengono rispettate le difficoltà e i tempi di apprendimento dei singoli studenti.
“Non la verità di cui ci si crede in possesso, ma il sincero sforzo per giungervi determina il valore dell’individuo…L’illusione del possesso rende pigri e presuntuosi; solo la ricerca tiene desti e insonni”.
La ricerca scientifica attribuisce una stretta relazione tra il corpo e la psiche, l’uno non esiste senza l’altra.
E’ una crudeltà separare ciò che è unito per natura ma, nonostante questo, i bambini, i ragazzi, gli adolescenti nella scuola italiana si muovono pochissimo. Ed è così che…
…si creano dei corti circuiti nell’apprendimento, a volte irreparabili.
L’animazione alla divergenza restituisce il corpo al movimento e il movimento alla psiche.
Il sistema scolastico, se vuole veramente formare la persona nella sua interezza, non può più rinunciare all’educazione motoria delegandola alle società sportive.
La socializzazione dei bambini nella scuola dell’infanzia si facilita con la corretta comunicazione non verbale dell’insegnante fatta di sorrisi e gesti accoglienti e si misura dall’ampiezza dell’apertura delle braccia che vogliono dire con chiarezza:
Tutto parte da un dialogo centrato sul movimento.
L’insegnante è il digitus pueri, indica ai bambini la strada giusta da seguire cercando di fargli evitare buche, scivoloni e sbandamenti.
Nella scuola primaria, allo stesso modo, l’educazione motoria deve essere promossa per insegnare comportamenti organizzati, finalizzati e regolati, capaci di indirizzare l’istintiva esuberanza dei bambini.
Gli studenti imparano a stare meglio insieme vivendo negli spazi laboratoriali, allontanandosi ogni tanto dalla staticità dei banchi.
Le stesse attività considerate “di testa” come la lettura e la scrittura sono apprendimenti complessi che necessitano “del corpo”, dell’integrità delle aree motorie.
Per saper leggere è necessaria una buona organizzazione spazio-temporale e per saper scrivere una corretta postura e una coordinazione oculo-manuale, sono poi indispensabili una equilibrata lateralizzazione, un controllo neuromuscolare, un senso del ritmo, in sintesi:
Il giusto incontro
Quando il laboratorio linguistico si incontra con quello motorio i risultati sono straordinari:
una corretta educazione motoria di base,
una buona percezione del proprio corpo
permettono al bambino di controllare, coordinare ed equilibrare i gesti motori per avviarsi ad un sereno apprendimento della lettura e della scrittura.
Le fasi del progetto di ricerca-azione prevedono:
un’analisi dei bisogni e delle esigenze di formazione in relazione al contesto scolastico;
l’individuazione dei traguardi, degli obiettivi e dei risultati di apprendimento;
la pianificazione delle attività, dell’ambiente di apprendimento, della gestione del gruppo, delle scelte didattiche;
la realizzazione dell’attività progettata e suddivisa in fasi di sviluppo;
il monitoraggio e la verifica del processo di apprendimento;
la documentazione e la valutazione dei risultati.
Il processo di insegnamento-apprendimento sarà basato su un approccio ludico che dia voce all’energia vitale positiva degli allievi capace di attivare e sostenere la loro maturazione e la loro socializzazione.
I docenti devono costantemente vivificare questa energia con la proposta di attività piacevoli, divertenti e, nello stesso tempo, formative.
Imparare giocando
Diventa sempre più necessario realizzare una “scuola ludica” nella quale il tradizionale schema di “imparare con fatica” si trasformi in “fare con piacere” e “apprendere con gioia”.
In tal modo la scuola può porre davvero l’alunno al centro del suo processo di formazione perché crea le condizioni ideali affinché ciascuno diventi attore della propria crescita, evidenziando le sue caratteristiche, le sue preferenze o, per dirla con Gardner, le sue intelligenze dominanti.
Una scuola così intesa apre percorsi educativi di grande interesse perché gli strumenti:
della conoscenza,
le abilità tecniche,
le competenze
vengono conquistate attraverso azioni di ricerca, di libera espressione creativa, di personale valutazione critica e non mediante l’azione ripetitiva e l’atteggiamento passivo di chi deve solo ascoltare per ripetere ciò che ha appreso.
La stessa dinamica educativa che, da sempre, ha caratterizzato un particolare modello di scuola caratterizzato da:
spiegazione,
approfondimento,
interrogazione,
valutazione
trova, così, le sue spinte di azione in:
identificazione di un problema,
ricerca degli elementi necessari per risolverlo,
valutazione dei risultati raggiunti
per l’assunzione concorde di un nuovo problema da affrontare.
Conclusioni
La società a tecnologia avanzata e a rapido sviluppo delle conoscenze nella quale viviamo pone alla scuola sfide continue che non possono essere ignorate trincerandosi nel valore della tradizione e nella visione quasi mistica dell’educazione.
La scuola dove configurarsi sempre più come un laboratorio ludico, dove ogni alunno possa fare le proprie esperienze nel confronto e, perché no, anche nello scontro con i compagni, ma sempre
…la lingua inglese offre grandi possibilità di usare poche parole che rimandano a vasti significati e allora anche io utilizzo la versatilità di questa lingua cambiando “brain” con “motion”.
E’ un cambio-scambio visto che la mente e il movimento interagiscono in continuazione, produco il mio:…
Il motionstorming è una tecnica che facilita la creazione di movimenti divergenti e quindi deve essere inserita in un programma di creatività motoria.
Il procedimento
Si forma un gruppo di 10-12 ragazzi, disposti in cerchio, coordinati da un insegnante.
Si parte da un movimento libero di un ragazzo, sul quale si innestano i movimenti degli altri.
La durata di ogni seduta sarà di circa un’ora.
Il ragazzo da cui si parte va al centro del cerchio ed esegue su un materassino un movimento libero, gli altri ragazzi, dopo un’attenta osservazione ed una ripetizione del movimento, producono azioni collegate a quello che hanno visto e vissuto.
I ragazzi si alzano a turno ed eseguono un movimento richiamato da quello del compagno.
L’insegnante deve stabilire un clima in cui ognuno possa esprimersi liberamente.
Nel gruppo ognuno dà il suo contributo creativo e trae spunti che possono arricchirlo individualmente.
Una volta completato il giro del gruppo l’insegnante, che ha annotato tutti i movimenti, cerca di vedere insieme ai ragazzi i punti di unione che si possono trovare tra di essi, in modo tale che si riesca a lavorare nella seconda fase su un campo più determinato.
Alla fine uscirà il movimento del gruppo, un’azione che tutti condivideranno, da eseguire coralmente.
La variante
Dall’esecuzione collettiva, poi, si può pensare di creare un gioco, un’attività che coinvolga tutti.
In questa fase non c’è la regola di alzarsi uno alla volta, ma più persone possono sperimentare e condividere i propri movimenti, si creeranno così dei piccoli gruppi spontanei.
Per ogni movimento ci sarà un tempo determinato in modo che tutti possano esprimersi.
I gesti spezzati nella loro semplicità, vengono di nuovo uniti per comporre un originale mosaico di movimenti, più complessi e articolati, il movimento di ognuno si dilata e aiuta a strutturare il movimento del gruppo.
E’ un cammino progressivo verso se stessi e gli altri.
Conclusione
Questa fondamentale svolta ha portato a cercare nel movimento divergente l’equilibrio tra i due inquilini:
il pensiero e l’emozione.
La divergenza fa confluire nella creatività il pensiero e l’emozione ed alla fine si determina nell’unione il giusto equilibrio dell’apparato fisico con quello psichico ed emotivo, del corpo con la mente.
I vari insegnamenti devono comunicare maggiormente tra di loro e non restare chiuse nel loro compartimento stagno.
Il tecnicismo, la specializzazione, il pensiero convergente, il ripetere meccanicamente cose già apprese, non ci permette di seguire un percorso diverso.
Lo sviluppo del pensiero divergente arricchisce le nostre competenze comunicative e la nostra efficacia espressiva
Spesso il pensiero divergente è usato come sinonimo di creatività ma la capacità di creare è qualcosa di più complesso in quanto in essa intervengono fattori socio-culturali ed altri aspetti della personalità non solo cognitivi ma anche affettivi ed emotivi.
E’ certo però che il pensiero divergente indica la giusta direzione da seguire per arrivare al nucleo centrale della creatività in quanto i suoi tratti caratteristici sono:
la fluidità
facilita lo spostamento di un’idea da un luogo all’altro e da una produzione all’altra;
la flessibilità
un pensiero elastico, capace di piegarsi, di adattarsi alle differenti situazioni;
l’originalità
che non dipende e non ha somiglianza con esempi, modelli ed idee precostituiti, convenzionali, ed ha quindi una sua novità, un suo carattere proprio;
l’elaborazione
l’insieme delle operazioni (l’associazione delle idee, l’astrazione, l’immaginazione costruttiva e riproduttiva, il giudizio, il ragionamento, ecc…), con le quali organizziamo e trasformiamo il materiale fornito dall’esperienza.
Il percorso specifico
I tratti tipici del pensiero divergente sono gli stessi della dimensione della creatività ecco perché per diversi autori il pensiero divergente indica il pensiero creativo.
Le nuove strade non escludono le vecchie, ma si possono unire con esse illuminando alcuni tratti del circuito cerebrale, rendendo così, il traffico più vario e veloce.
La creatività non è una capacità di pochi artisti, pittori, musicisti, inventori, scienziati, ma è una possibilità per tutti, ognuno è in grado di trovare nuove e diverse associazioni tra le cose ogni giorno.
La creatività è una dote innata che tutti posseggono ma che non in tutti si manifesta immediatamente ed istintivamente.
Aiuta molto educare i bambini fin da piccolissimi alla ricerca personale, alla flessibilità, alla liberazione della creatività, perché loro, in particolare dagli zero ai tre anni, hanno una mente assorbente, “superassorbente”.
Si è dovuto aspettare l’arrivo di Maria Montessori che ha creato una “casa dei bambini”, un luogo di rivelazione e di espressione del bambino mediante:
la creazione di un ambiente a lui proporzionato;
una disciplina attiva che lo abitui ad essere padrone di sé, a sapersi imporre il limite dell’interesse collettivo e la forma delle buone maniere materiali;
la consapevolezza che il bambino ha un’intensa vita psichica, inconscia e subconscia e che è tanto grande nella sua piccolezza, è capace di intenzione e di pensiero, di azioni pratiche e creative;
la sua mente è assorbente, ma non come la spugna che lascia passare l’acqua e non la trattiene.
La mente del bambino, invece, arriva ad assorbire ed a conservare molte e difficili cose:
il linguaggio
le abitudini
i sentimenti
per cui occorre saper utilizzare questa forza creativa e inconscia.
La curiosità del bambino è il vero motore dell’apprendimento e questa curiosità nasce dalla stimolazione, dalla motivazione e non dall’ esigenza di riempire la sua mente con informazioni che spesso non capisce e che fa fatica a ricordare.
Conclusione
La scuola è impegnata in una costante, continua, inarrestabile, ricerca per individuare le formule organizzative e gli interventi educativi più efficaci affinché i bambini possano svincolarsi dalla dipendenza delle cose già fatte, già pronte, ed aprirsi a nuove possibilità capaci di evolvere in un percorso che è sempre dinamico.
Conoscere significa stabilire nessi, collegamenti, connessioni, essere capaci di fare sintesi in un mare di informazioni e questa capacità può essere insegnata solo a scuola e bisogna farlo il prima possibile.
I bambini devono essere educati fin dal momento della nascita, nei primi anni di vita, per alcuni neuro scienziati entro i tre anni si formano le sue modalità cognitive ed emotive che gli permetteranno di conoscere il mondo e di relazionarsi agli altri.
Chi bazzica nel mondo sportivo forse si sarà imbattuto nell’espressione dual career, ma al grande pubblico (e perfino ai diretti interessati) è perlopiù sconosciuta.
Letteralmente si traduce con “doppia carriera” e si riferisce a tutti coloro che percorrono contemporaneamente due strade.
Ad esempio…
…chi:
si occupa di tenere in ordine la casa ma ha anche un lavoro;
Nell’ambiente sportivo la definizione ha preso particolarmente piede poiché molto spesso gli atleti sono costretti a condurre, insieme alla carriera agonistica, quella scolastica prima e lavorativa poi.
Destreggiarsi tra due vite, quella sportiva e quella scolastica/lavorativa, non è assolutamente facile, richiede dedizione completa, impegno e molti sacrifici.
La routine di un atleta con dual career è estenuante:
la sveglia al mattino suona alle 5:00
quando il sole non è ancora sorto, per recarsi in società per il primo allenamento della giornata.
Tra le 8:00 e le 9:00 il ragazzo si farà una doccia rapidissima
e poi di corsa a scuola o al lavoro dove, anziché riposarsi e ricaricare le energie, dovrà mantenere alto il livello di attenzione e continuare ad impegnarsi mentalmente e/o fisicamente.
Dopo un pranzo veloce (al quale invece si dovrebbe prestare molta attenzione per fornire al corpo il giusto apporto di nutrienti) correrà verso un nuovo allenamento pomeridiano, spesso più intenso del precedente.
A sera il nostro atleta sarà esausto, eppure dovrà trovare il tempo e le energie per svolgere i compiti scolastici e frequentare famigliari e amici. Può accadere che sia troppo stanco e decidere di sacrificare il tempo con i compagni in favore di una bella dormita ma, se da un lato questo giova al suo corpo, dall’altro porta ad un impoverimento della sfera sociale e un accumulo di stress.
Condurre una simile vita è molto faticoso.
Su questo argomento sono stati svolti vari studi che hanno portato alla luce numerose motivazioni.
La prima risulta essere il lavoro, visto come la necessità di avere una fonte di sostentamento alta rispetto allo sport.
Questa esigenza è così sentita per due ragioni:
da un lato, soprattutto per le discipline dilettantistiche, le vittorie da sole non bastano al sostentamento di una famiglia,
dall’altro c’è l’incertezza legata al raggiungimento o meno dello status di atleta d’elite
(al quale è legata un’entrata economica di peso molto variabile in base alla disciplina praticata).
L’atleta è anche costretto a tener conto della durata della sua carriera sportiva.
Quando questa sarà finita, termineranno pure i premi economici e dovrà trovarsi un impiego che difficilmente gli verrà concesso se non avrà portato a termine gli studi.
Assicurarsi un futuro al di fuori dello sport non è l’unica motivazione emersa dalle ricerche:
queste hanno evidenziato che molti atleti preferiscono essere coinvolti in entrambe le carriere perché ciò fornisce loro un maggiore livello di stimolazione cognitiva, soddisfazione personale e fiducia in se stessi.
Cosa dicono le ricerche
Gli studiosi hanno evidenziato che gli sportivi impegnati in dual career presentano un maggiore senso di unità di identità, un più alto livello di benessere psico-fisico e, quando la loro carriera giunge al termine, una migliore transizione dal mondo sportivo a quello lavorativo.
Da quanto detto appare evidente come sia importante favorire la doppia carriera, eppure nella maggior parte dei casi, soprattutto in Italia, questa viene scoraggiata.
Per i giovani, queste sono le figure principali di riferimento e pertanto si lasciano influenzare dalle loro opinioni.
In particolare, tra gli allenatori è frequente l’idea che la scuola non sia importante, ma anzi una perdita di tempo che sottrae ore agli allenamenti.
Più o meno lo stesso è il pensiero dei docenti tra i quali è ancora molto vivo lo stereotipo dell’ “atleta stupido”, visto cioè come alunno meno cognitivamente dotato semplicemente perché si dedica con fervore all’attività fisica.
Conseguenze psicologiche
Queste idee sono quanto mai dannose per l’autostima e il senso di autoefficacia dei ragazzi e possono favorire sentimenti di inadeguatezza verso la scuola o lo sport, disistima di sé e depressione al punto tale da abbandonare uno dei due percorsi.
L’allontanamento da una carriera non rappresenta semplicemente la morte di un sogno e la perdita di una possibilità, ma ha conseguenze anche sulla psiche dei ragazzi.
La rinuncia a un percorso, infatti, fa nascere insicurezze che portano a una diminuzione dell’autostima e a un maggiore senso di incapacità.
Naturalmente questa situazione genera malessere che porta a un vero e proprio abbassamento della qualità della vita del ragazzo.
Nel caso della rinuncia allo studio, a carriera sportiva terminata, senza una laurea ed esperienze lavorative, lo sportivo avrà serie difficoltà a trovare un lavoro stabile.
Questo aumenterà le incertezze, lo stress e le ansie relative al futuro, fino ad arrivare a un’auto-svalutazione di sé che porterà a una diminuzione dell’autostima che potrà arrivare a veri e propri sintomi psicopatologici.
Nel caso dell’abbandono dell’attività sportiva,
il ragazzo vedrà distruggersi il sogno di vestire la maglia nazionale, si chiederà per sempre se:
avrebbe potuto farcela
si sentirà monco di un’esperienza di vita che aveva desiderato con fervore e per la quale stava lottando
si vedrà come un buono a nulla per non essere riuscito a portare avanti la dual career.
proverà un senso d’ inferiorità verso chi ce l’ha fatta
Dare agli atleti la possibilità di portare avanti la carriera sportiva, unita all’istruzione e/o al lavoro, significa dar loro la possibilità di sviluppare una personalità sana affinché possano svolgere il proprio ruolo nella società, garantirsi un reddito soddisfacente, arrivare alla gratificazione affettiva e sociale.
Conclusioni
Per raggiungere questo obiettivo bisogna puntare su ciò che nelle ricerche gli studiosi chiamano “facilitatori”
Quegli attori che, gravitando intorno allo sportivo, lo spronano a portare avanti entrambe le carriere.
Paradossalmente è emerso che si tratta degli stessi personaggi che costituivano le barriere: famiglia, insegnanti e allenatori.
Quando questi individui hanno pareri discordanti tra loro e sono contrari ad una delle due carriere, l’atleta ne è influenzato negativamente e può demoralizzarsi fino al ritiro da una delle due;
al contrario, quando gli adulti di riferimento lavorano in armonia, senza pregiudizi gli uni verso gli altri, allora il giovane trae beneficio dal clima sereno e aperto.
Per fare in modo che le principali barriere alladual career si trasformino in facilitatori è necessaria
la differenza tra ciò che è bene e ciò che è male …… anche nello sport!
Come gestire il gap generazionale coi nostri giovani ed aiutarli a crescere al meglio?
Spesso i giovani d’oggi smarriscono la differenza tra ciò che è bene e ciò che è male a causa della moltitudine di stimoli esterni.
A 14-15-16 anni arrivano già i primi segnali di indifferenza emotiva, per cui sembra che un ragazzo non riesca più a provare emozioni di fronte a gesti o a fatti che avvengono.
A quest’età, a molti interessa solo ciò che procura: …
…una gioia istantanea
l’adesso e non il futuro
l’essere bugiardi per ottenere qualcosa
i sentimenti positivi sembrano essere scomparsi e commettere azioni sbagliate appare per loro come una cosa normale e giusta.
Nell’adolescenza, età molto difficile, avviene un’importante crescita emotiva e gli “input” esterni sono più affascinanti dei moniti e degli insegnamenti degli adulti.
I giovani d’oggi si sentono i padroni del mondo e cominciano a chiudersi in sé stessi.
A scuola spesso si comportano male con gl’insegnanti;
Il loro mondo è troppo spesso occupato da “cose materiali”:
il telefonino
gli amici
il fare il contrario del normale
perché è giusto così, il loro “mondo virtuale”
che di certo non sono dimostrazione dell’amore genitoriale, dell’affetto e della stima degl’insegnanti e degli allenatori, che dovrebbe essere la base di ogni processo educativo e che possono sembrare la soluzione al problema.
Come dimenticare il cambiamento nel modo di vestire!
Si dà sempre più importanza all’aspetto esteriore e alle marche all’ultimo grido, mentre prima si badava soprattutto alla personalità dell’individuo.
Agli allenamenti spesso ci si presenta con:
le scarpe slacciate la bandana
la fascetta
i “fantasmini”
una volta si arrivava sempre in orario, ben vestiti e con i calzettoni lunghi fino quasi al ginocchio.
Oltre alle relazioni profondamente rivisitate, anche i luoghi hanno avuto un cambiamento radicale:
ad esempio prima i parchi e gli oratori erano i luoghi di ritrovo per i giovani
Un altro fattore fondamentale, non concesso ai giovani nel passato, è l’eccessiva libertà offerta da quei genitori, che non curanti dei rischi a cui i propri figli vanno incontro, rischiano di finire in vere e proprie tragedie.
Infine, negli ultimi anni si è diffusa a dismisura la moda dei “selfie”.
Bisogna,tuttavia, sottolineare che questo fenomeno non riguarda tutto il mondo adolescenziale:
Il loro mondo virtuale
Il “loro mondo virtuale” si trasforma in reale ……… e gli scherzi, le scampagnate con gli amici, le “suonate di campanelli e poi via di corsa, i “cori” e gli sfottò, che hanno reso le adolescenze passate indimenticabili, sembrano ormai aver perso il confronto!
I giovani d’oggi (non tutti, meno male!) si chiudono in un mondo tutto loro, governando il loro stato mentale e cancellando le relazioni con il mondo esterno.
In passato le amicizie venivano instaurate e consolidate con il puro contatto e dialogo, ora il contatto avviene attraverso uno schermo e influenza notevolmente i rapporti tra coetanei, provocando spesso amicizie virtuali, che si rivelano rischiose.
Pur non dimenticando che il “gap generazionale” è sempre esistito, che l’adolescenza di tutti noi è sempre stato un problema per gli adulti di ogni tempo, pare che oggi si sia dilatato a dismisura.
Con il passare del tempo è diminuita la corretta comunicazione che i giovani dovrebbe avere con i genitori, con gl’insegnanti e con gli allenatori, molti giovani non si prendono più le loro responsabilità e non sanno valutare la differenza tra il dare e l’avere,
per loro conta solo l’avere!
Conclusioni
Penso che un buon contributo al miglioramento della situazione potrebbe fornirlo la Scuola e……..tra tutte le materie che si studiano a scuola non ci sono quelle che dovrebbe essere ritenute importanti e fondamentali:
Sono convinto che in un futuro non lontano, si possa riuscire a capire l’importanza di ciò, perché i giovani d’oggi non sono e non possono essere delle “macchine”, ma hanno forti stimoli che bisogna imparare ad alimentare in modo positivo.
Come lo sport, a livello agonistico, può convivere con la scuola.
L’attività motoria rappresenta un elemento fondamentale della crescita psico-fisica dei più piccoli, nonché uno strumento primario per la tutela della salute dei giovani e meno giovani.
Tra i suo tanti benefici, aiuta a dosare l’energia e liberare la fantasia, maturando l’importanza dell’osservare gli altri e ad interagire con le differenze.
Le attività motorie e sportive,…
…in tal senso, possono contribuire allo sviluppo dell’autonomia personale e, parallelamente, alla formazione di una coscienza civica, in grado di influire sugli stili di vita con interventi educativi.
Equilibrio
Durante la mia carriera sportiva ho conosciuto molti ragazzi e ragazze che spesso non riescono a calibrare la propria vita tra la sfera sportiva e quella scolastica.
Sviluppano emozioni contrastanti:
gioia
soddisfazione
entusiasmo
ma anche:
sensi di colpa
di inadeguatezza
autosvalutazione di sé.
Purtroppo, ancora oggi, l’annosa rivalità tra i risultati sportivi e quelli scolastici è all’ordine del giorno.
Non è certo un limite il conseguire risultati in campo sportivo, semmai una risorsa.
Quest’ultima incide molto negli adolescenti che con fatica riescono ad avere fiducia delle proprie potenzialità e credere in se stessi.
Lo sport e la scuola sono le due colonne portanti per la costruzione di un individuo.
Gli ottimi risultati ottenuti da entrambi non possono far altro che accrescere la sua autostima giorno per giorno ma, in egual modo, qualora dovessero presentarsi delle difficoltà, questo potrebbe scaturire una condizione di malessere e di disagio psicologico
Un esempio
Il successo e il fallimento sono i principali elementi che alimentano lo sviluppo del Sé, la formazione dell’ identità personale.
Le ricerche
Numerose ricerche evidenziano che tanti bambini/e e ragazzi/e, che a scuola riportano delle difficoltà più o meno riconosciute, come un disturbo dell’apprendimento oppure la difficoltà di concentrazione, spesso trovano nello sport un aiuto e una sana alternativa che possa agevolarli nel campo scolastico.
Una ricerca del 2014 presso l’Harvard Medical School di Boston, in collaborazione con il Dana-Farber Cancer Institute, ha rilevato che appena il 54% delle scuole prevede lo svolgimento di attività motoria extracurricolare e solo 1 scuola su 3 ha coinvolto i genitori in iniziative favorenti una corretta alimentazione e l’attività motoria.
In termini scientifici, è importante stimolare attraverso la pratica sportiva la sintesi di una molecola neuroprotettiva (irisina) che potenzia le funzioni cognitive.
È una molecola scoperta recentemente prodotta dal muscolo scheletrico durante l’esercizio fisico, spiegando gli effetti positivi dell’esercizio sul metabolismo dell’organismo in toto, che riduce la probabilità dell’insorgenza di malattie metaboliche, quali il diabete mellito, l’obesità e la sindrome metabolica.
Bisogna imparare a non mettere sempre a confronto scuola e sport, ma farle sussistere in un reciproco rapporto di compresenza.
Conclusione
I genitori, attraverso la loro educazione, devono trasmettere questo valore ai loro figli e aiutarli nell’organizzazione della loro giornata, sia scolastica che sportiva, dando un valore equiparato ad entrambe le discipline, senza mai influenzarlo o condizionarlo, bensì guidarlo nelle scelte.
In conclusione, credo che sia necessario stimolare nel ragazzo/a un’idea di “auto-esigenza”, cioè cercare di dare sempre il meglio di sé stessi, sapersi organizzare e, se necessario, fare piccoli sacrifici per raggiungere i propri obiettivi.
In questo modo accresce nel ragazzo la responsabilità delle proprie scelte e avere la maturità necessaria per affrontare le difficoltà, nel caso in cui dovessero presentarsi, senza ricorrere ad alibi morale o l’intervento di un adulto.
Con Tiziano abbiamo lavorato a diversi progetti che vanno dallo sport alla scuola, dalla cultura alla formazione. Per questa ragione abbiamo pensato di far transitare questo mio piccolo progetto di narrazione sulle pagine del suo nuovo blog.
Perché alla fine è sempre di sport che si tratta.
Ho cercato di spiegare le ragioni del gesto di due sportivi che è una delle cose più forti di questo secolo.
Soltanto che quel gesto che si consuma dentro una pista di atletica leggera durante la finale di un’olimpiade ma non è un’impresa sportiva.
È qualcosa che va molto oltre….
…Ci sono molte cose che sono veicolate attraverso il mondo dello sport, che spesso è stata vetrina di fenomeni sociali che hanno riguardato delle cose essenziali delle nostre vite, come la libertà, l’eguaglianza, i diritti umani.
È di queste cose che parleremo in questi video a puntate, una volta alla settimana.
E come sempre grazie a Tiziano per ospitare una cosa piccola, fatta artigianalmente, ma con il cuore, come si fanno le cose semplici e vere.
E grazie ad un cantautore trevigiano, Alberto Cantone, che con una sua canzone (meravigliosa) ha messo in moto tutto quello che vedrete.
Il (solo) responsabile di questo blog . TrainingConcept.it
Ho scritto questa presentazione nel 2014, riproposta a tutti con la presentazione di questo spazio dopo 6 anni e ancora piuttosto attuale:..
scrivo un po’ per scherzo, un po’ per passione, un po’ per divertimento ma molto per dare e farmi dare una mano a chi lavora nel mondo dello sport o della scuola e ha a che fare con il fisico e con la salute di tante persone;
non sopporto quelli che “intorbidiscono l’acqua per farla sembrare profonda”;
ho una laurea in Scienze motorie, ma ciò che mi ha formato veramente, è stato lavorare sui campi con i tanti atleti in 30 anni di attività (atletica leggera, pallavolo, calcio, tennis e tanto nella pallacanestro);
abuso di internet dal 1995 (grazie a mio fratello), ma ammiro quelli che lo odiano per farli ricredere e capire che usato bene è una ricchezza da tenersi stretto;
sono stato proprietario di palestra, direttore di centri sportivi, proprietario di società di servizi per lo sport ed il turismo, animatore Valtur, allenatore/istruttore (atletica, pallavolo, pallacanestro) oltre che educatore;
sono insegnante di scienze motorie e attività per il sostegno e preparatore fisico;
odio dover leggere “le condizioni e la privacy” quando si sottoscrive un contratto perché è sempre scritto con un carattere piccolo e spesso illeggibile;
amo tutto ciò che ha a che fare con il mare;
ho pensato di far partire questo blog per svariati motivi più o meno seri.
Ecco una mia “bio” più istituzionale per i più curiosi.
Se sei alla ricerca di qualcuno con cui scambiare punti di vista, con cui riflettere su argomenti in tema con il blog, in maniera totalmente gratuita, scrivici pure.
Pasquale Iezza è: un organizzatore, ideatore, inventore, tutto ciò che si propone di fare diventa una possibilità.
È un dirigente scolastico per professione ma formatore nell’anima, la sua migliore abilità è riuscire ad instaurare intese molto positive con chi incrocia il suo percorso.
Si diverte a sperimentare nuovi giochisport le cui particolarità vengono esplicate in alcuni testi come ”Il Movimento divergente” edito dalla Aranblu editore.
Diplomato ISEF, laureato in Filosofia e formatore IRSSAE per insegnanti di educazione fisica, ha scritto:
“Salviamo la scuola” con Giuseppe Palumbo e Anna di Capua, Edizione Nuova Atlantis, Vibo Valentia;
“Trenobiografia“, cortoromanzo di intrattenimento, Robin editore.
Appassionato di sport, sarà un onore avere il suo contributo e approfittare della sua abilità nella scrittura per farci guidare nella realizzazione di giochi, movimenti, esercizi da proporre in palestra a tutti i livelli, in tutte le discipline e per tutte le età.
Queste le sue parole in una sua presentazione del libro “il movimento divergente”:
Nel mondo della scuola, scherzando ma non troppo, tra insegnanti, ricorre una battuta intorno agli allievi: noi li prendiamo vivaci, attivi, liberi, curiosi e creativi e man mano che vanno avanti, classe dopo classe, ce li ritroviamo smorti, passivi, condizionati, disinteressati e annoiati. Al di là della battuta, il pensiero ‘convergente’ finisce sempre per prendere il sopravvento con il risultato di mortificare l’entusiasmo dei giovani verso la scoperta, l’intuizione e l’elaborazione. Nel migliore dei casi si hanno allievi buoni e ottimi ripetitori di schemi e di modelli precostituiti. Lo stesso accade anche nelle attività ludiche e sportive che diventano così un eccellente campo di sperimentazione
Sono Pasquale Iezza, cerco di svolgere al meglio il mio compito di Dirigente scolastico in una città collinare con un’aria purissima come i suoi bambini, Lettere, in provincia di Napoli.
Lavoro nella scuola da 35 anni e sono arrivato alla conclusione che è possibile creare nuovi giochisport.
Ho avuto questa intuizione sulla spiaggia di Vico Equense.
La mia schiena scottata dal sole era ormai diventata una perfetta piastra per la cucina cinese, potevo con semplicità trasformare un ghiacciolo…
in un gelato fritto. Sdraiato in quella posizione stavo osservando i nuovi esercizi di Acquagym che un bravo istruttore di educazione motoria faceva svolgere ad un gruppo di bagnanti. Ebbene sono rimasto quasi ipnotizzato dai movimenti, che avevano una cadenza fissa, divisa in otto tempi.
Alla quinta serie di esercizi stavo quasi per assopirmi e, per restare sveglio, e non farmi rosolare completamente dai raggi solari, attivai un residuo circuito cerebrale scuotendo repentinamente a destra e a sinistra la testa, come quando si oscilla velocemente il polso in modo da far ripartire gli orologi automatici.
Rimasi in uno stato di dormiveglia e fu proprio in quel momento, in uno stato di illuminazione, che pensai: “l’avventura delle idee deve partire dal movimento”.
Questo è stato il primo passo verso la creazione del nuovo giocosport: la Pallarmonica.
Il movimento è quasi sempre spezzettato in esercizi meccanici cadenzati in due, quattro, dodici e più spesso otto tempi, una successione precisa di azioni divise da seguire a ritmi regolari con un esperto di fitness da imitare a specchio.
Il frazionamento del movimento, il suo spezzettamento, e l’imitazione di un preciso modello da seguire, imbriglia l’ascolto del movimento libero, naturale, spontaneo, proprio di ogni persona.
La motricità così è paralizzata e perde la sua originalità, il suo pensiero, la sua emozione. Pensiero, emozione e movimento pagano, in parti uguali, i costi del condominio al nostro corpo, la coabitazione non è forzata, non si vive da separati in casa, ma loro stanno insieme in modo piacevole e produttivo.
Le emozioni e il movimento fanno maggiore confusione ma è proprio questa vivacità che alimenta il pensiero e facilita l’apprendimento.
Attraverso l’attività motoria una persona impara a percepirsi integralmente, ascolta le sensazioni, i pensieri, le emozioni, esplora il proprio corpo e le sue possibilità di relazionarsi al ritmo e all’armonia dell’ambiente esterno.
Il movimento permette l’unione del mondo interiore, affettivo ed emotivo, con quello esteriore, razionale e socio-ambientale. La mia visione scolastica innovativa è partita da questa giornata al mare.
La mattina dopo ho ideato un nuovo gioco sportivo, la PALLARMONICA, che facilita il superamento della divisione, tra ragazzi e ragazze, nella pratica delle attività motorie. La pallarmonica unisce creando armonia (da cui il nome del gioco).
L’armonia si realizza tra i giocatori della stessa squadra, obbligatoriamente un maschio ed una femmina (nel doppio due maschi e due femmine), che entrano in contatto, mano – mano oppure con una presa mano – avambraccio, per ricacciare la palla nel campo avversario e conquistare il punto.
Il gioco è semplice da imparare, è alla portata di tutti e favorisce l’inclusione, fondamentale è imparare a collaborare alla pari. Ho presentato la pallarmonica nelle classi quarte e quinte della scuola primaria e nelle classi prime della scuola secondaria di primo grado.
Il gioco ha suscitato da subito curiosità e tutti hanno voluto provare, attualmente è una delle pratiche sportive dell’Istituto e rientra nella programmazione degli insegnanti di educazione fisica.
L’intera comunità educante ha partecipato, nei vari anni scolastici, grazie a progetti promossi dal professore Tiziano Megaro, al primo torneo di pallarmonica cittadino.
Il nuovo giocosport è stato presentato, all’interno di una conferenza, alla tre giorni per la scuola a Città della Scienza a Napoli, per diffonderlo tra tutti i docenti della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado della Campania che avessero la voglia di esplorare e sperimentare nuove pratiche motorie.
La diffusione nelle scuole della pallarmonica, attraverso il supporto del portale “Movimento Divergente” (da configurare), sarà uno stimolo per motivare gli studenti a proporre altre idee relative a pratiche sportive originali e rispondenti ai loro bisogni motori.
Le nuove tecnologie permetteranno agli studenti, da subito curiosi, indagatori, costruttori, inventori, di avviare una ricerca sul movimento liberando la creatività e le loro intelligenze multiple.
Le proposte più votate sulla piattaforma verranno regolamentate e implementate nelle scuole del territorio nazionale.